28/11/2017
Roberto Rampi
2-02043

  I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:

nei giorni del 26 e del 27 ottobre 2017, si è svolta, nelle carceri di Torino ed Asti la proiezione del docu-film «Spes contra spem – Liberi dentro»;

al dibattito ha partecipato anche Sergio Segio, del Consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino, la cui presenza è stata oggetto di contestazioni da parte di alcune sigle sindacali;

il giorno 26 ottobre, il sindacato di polizia penitenziaria Osapp, ha diramato un comunicato stampa dal titolo «L'assassino Sergio Segio in passarella al carcere di Torino per recarsi al teatro» arrivando a chiedere addirittura le dimissioni del Ministro della giustizia. Un secondo comunicato di analogo tenore è stato diramato il 27 ottobre;

il 27 ottobre, un altro sindacato autonomo Sappe, ha diffuso un comunicato stampa in cui ha dichiarato: «Questa è gente, che per il loro passato, per le pesanti responsabilità che ha avuto e che ancora ha, anche moralmente, dovrebbe essere espunta dal contesto sociale»;

successivamente è intervenuto anche il segretario generale del Sappe, che pure ha auspicato che «chi ha macchiato le strade con il sangue degli innocenti dovrebbe nascondersi ed essere espunto dalla società civile» affermando altresì che «A coloro che auspicano che nelle carceri si organizzi la proiezione del docufilm Spem contra Spem l'invito è andare nei cimiteri d'Italia a portare un fiore sulle centinaia e centinaia di tombe di appartenenti alle Forze dell'Ordine, della Magistratura, dell'Avvocatura, della Società civile uccisi dalla follia terrorista e dalla ideologia assassina del terrore di cui erano imbevuti, nel recente passato, tanti che oggi vorrebbero gettare un colpo di spugna sul passato confondendo le acque su chi era vittima e chi carnefice. Un ex terrorista non sarà mai un ex omicida o un ex assassino. Non accettiamo alcuna lezione, men che meno morale, da assassini materiali e morali che tentano oggi di riciclarsi come maestri di democrazia e tutela dei diritti»;

il giorno 28 ottobre 2017, con dichiarazioni riprese dalle agenzie e dalla stampa, una nota del procuratore di Torino ha informato di aver richiesto al direttore della casa circondariale l'invio,«ove non osti alcuna diversa esigenza, del carteggio relativo all'evento, alle domande di autorizzazione all'ingresso del carcere di chi ha già partecipato e ai conseguenti provvedimenti», auspicando che per gli «ex terroristi responsabili di gravi reati in futuro possa essere richiesto ai dirigenti degli uffici requirenti, in un'ottica di collaborazione istituzionale, di esprimere eventualmente le loro valutazioni, per quanto non previste da alcuna normativa»;

Sergio Segio, ex militante di Prima Linea che ha scontato per intero la condanna ricevuta, è da considerarsi un esempio di pieno successo da parte dello Stato nel recupero di una persona che ha commesso un reato e ha scontato la sua pena, secondo quanto prescrive la Costituzione all'articolo 27, oltre che le convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall'Italia. Tra i tanti, va ricordato un dato che testimonia il successo per lo Stato del suo ineccepibile percorso di risocializzazione: Sergio Segio ha lavorato da circa un quarto di secolo con il gruppo Abele di Torino, col quale tuttora collabora; tra i diversi incarichi avuti, è stato peraltro responsabile per i progetti sul carcere e coordinatore di «Narcomafie», il primo mensile di informazione contro la criminalità organizzata, oltre a essere stato uno dei principali collaboratori di don Luigi Ciotti; da 15 anni, inoltre, con il proprio centro studi e ricerche, realizza per la Cgil un ponderoso rapporto annuale sulla globalizzazione e sui diritti umani;

le dichiarazioni dei segretari dei sindacati autonomi della polizia penitenziaria, oltre ad alimentare una retorica dell'odio, evidenziando una cultura dell'esecuzione penale, e dunque del proprio ruolo professionale, difficilmente compatibile con le finalità che la Costituzione della Repubblica attribuisce alla pena reclusiva, rimarcando semmai una logica che non si può che definire vendicativa e che arriva ad estendersi anche alla post-detenzione. In particolare, l'auspicio e la convinzione che i colpevoli, pur dopo aver espiato le condanne ricevute e dopo essersi positivamente reinseriti, debbano invece «nascondersi» ed «essere espunti dalla società civile» appare in contrasto non solo con le leggi vigenti ma con la stessa cultura democratica e con gli standard internazionali e come tali devono essere contenute;

il problema degli «abusi verbali» da parte di agenti di custodia è stato rilevato anche nell'ultimo rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura sull'Italia dove si raccomanda alle autorità italiane di «rivolgere al personale di custodia il chiaro messaggio che i maltrattamenti fisici, l'uso eccessivo della forza e l'abuso verbale rivolto ai detenuti non sono ammissibili e che saranno trattati di conseguenza» –:

se e quali iniziative il Governo intenda assumere per contrastare la retorica dell'odio e una cultura vendicativa della pena (e del dopo pena), che confligge con l'ordinamento nazionale e sovranazionale, per come si è manifestata, a giudizio dell'interrogante, nelle parole dei dirigenti di taluni sindacati di polizia penitenziaria;

se e come si intenda ottemperare alla raccomandazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura di «rivolgere al personale di custodia il chiaro messaggio che i maltrattamenti fisici, l'uso eccessivo della forza e l'abuso verbale rivolto ai detenuti non sono ammissibili e che saranno trattati di conseguenza»;

quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto alle richieste formulate all'amministrazione penitenziaria da parte della procura di Torino e quali iniziative di competenze intenda assumere al riguardo.