Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro dell'istruzione e del merito. – Per sapere – premesso che:
proprio perché ritenuti responsabili dell'aggravamento del divario fra Nord e Sud, da oltre cinquant'anni, in Italia non vi sono più stipendi differenziati su base regionale o provinciale per prestazioni di lavoro dello stesso tipo;
tale evoluzione culturale, in più riprese, ad avviso degli interroganti, è stata messa in discussione dall'Esecutivo: nel febbraio 2023, a pochi mesi dall'insediamento, il Ministro Valditara ipotizzava di varare stipendi diversi per gli insegnanti a seconda delle zone dove prestano servizio e – in fase di approvazione della proposta di legge delega sul salario minimo – il Governo si è sostanzialmente impegnato, con l'approvazione di un ordine del giorno, a firma del Gruppo Lega, ad introdurre una «quota variabile» di stipendio per i dipendenti pubblici, in particolare nel settore scolastico;
tali proposte, che vanno nella stessa direzione del progetto di autonomia differenziata, prefigurano la volontà dell'Esecutivo di far rientrare anche l'istruzione tra le materie oggetto di trasferimento dallo Stato alle regioni, con il rischio di avviare un processo di regionalizzazione della scuola che deve, invece, continuare ad essere nazionale e pubblico, presidio insostituibile per garantire e rafforzare l'unitarietà dello Stato, senza penalizzare ulteriormente le regioni del Sud a vantaggio di quelle del Nord;
lo Stato già investe per un cittadino del Nord circa 18 mila euro l'anno, mentre per un cittadino del Mezzogiorno circa 13 mila euro; anche solo portare, con un atto di indirizzo, il tema delle «gabbie salariali» ad avviso degli interroganti conduce a classificare come inferiori i cittadini del meridione e delle aree interne;
preoccupa l'impostazione dell'ordine del giorno di cui in premessa perché secondo gli interroganti mina ad indebolire l'intero comparto del pubblico impiego, partendo da sanità e scuola, puntando sulla disarticolazione salariale su base territoriale;
una riflessione sulle retribuzioni variabili per i docenti, in base al territorio, produrrebbe discriminazioni inaccettabili, legittimando la presenza di scuole di serie A e scuole di serie B. Una tale proposta avrebbe l'effetto di accentuare ancora di più l'esodo degli insegnanti del Sud verso istituti del Nord, producendo un danno incalcolabile per il sistema scolastico del Mezzogiorno;
la questione relativa alla retribuzione dei docenti rimane tuttavia un'emergenza da affrontare partendo non dalle differenze di costi che gli insegnanti sostengono a seconda di dove vivano, ma dalle retribuzioni che rimangono tra le più basse dell'Unione europea;
l'ultimo rapporto promosso dall'Ocse, che analizza e confronta i sistemi scolastici dei principali Paesi d'Europa e del mondo, conferma il dato negativo delle retribuzioni degli insegnanti italiani che risultano essere molto distanti rispetto a quelle dei colleghi degli altri Paesi. Queste differenze sono presenti ed evidenti in tutti i gradi di scuola, dalla scuola dell'infanzia alle scuole superiori;
le risorse previste per i rinnovi contrattuali nella legge di bilancio, presentata dal Governo, che pure sono presenti, non sono assolutamente sufficienti a coprire l'inflazione di questi anni –:
se e in che termini i Ministri interrogati intendano dare seguito all'impegno assunto in fase di approvazione dell'ordine del giorno in premessa e – in ogni caso – quali iniziative di competenza intendano attuare a garanzia della contrattazione collettiva nazionale del pubblico impiego, scongiurando ogni forma di discriminazione retributiva territoriale, in particolare al fine di dare centralità al comparto, a partire da quello dell'istruzione, anche avviando iniziative volte a reperire risorse adeguate ad innalzare le retribuzioni, portandole al livello europeo, e a definire incarichi e progressione di carriera del personale scolastico, attraverso un incremento, stabile, delle risorse stanziate dall'articolo 1, comma 561, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023) per il rinnovo contrattuale.