Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
la questione della sanità penitenziaria è uno degli aspetti fondamentali per quanto riguarda l'esercizio di uno dei principali diritti della persona, stabilito anche dall'articolo 32 della Costituzione: il diritto alla salute;
dal 1° aprile 2008 la salute delle persone detenute è divenuta formalmente una competenza del Servizio sanitario nazionale e si è venuta così a sanare una delle tante anomalie normative che riguardano la gestione della vita penitenziaria;
l'esperienza della detenzione è già di per sé un rischio per la salute, per le condizioni degradate di strutture, celle e spazi comuni, per il sovraffollamento e l'elevato turn over delle persone detenute e quindi per il maggiore rischio di contrarre malattie infettive;
i servizi sanitari in carcere risentono molto dai tagli e dalle difficoltà che il Servizio sanitario nazionale subisce. Con l'unica differenza che, per chi è recluso, non c'è la possibilità – anche laddove ci siano le risorse economiche – di affidarsi a visite specialistiche private;
per le visite specialistiche, come emerge da indagini svolte negli anni recenti dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, le attese si protraggono per mesi a causa dell'assenza di personale sanitario con formazione specifica operante nelle carceri;
ad aggravare la condizione di cura dei detenuti anche il fatto che non in tutte le carceri italiane l'assistenza medica o infermieristica è fornita per tutte e 24 le ore della giornata;
l'osservatorio dell'associazione Antigone sulla condizione sanitaria in carcere registra inoltre due problematiche specifiche legate alla detenzione:
a) la carenza di strumentazioni che garantiscano la «continuità terapeutica»;
b) l'assoluta inadeguatezza delle carceri italiane ad ospitare persone disabili;
è notizia di questi giorni l'appello lanciato dai detenuti del carcere romano di Rebibbia, per il tramite della redazione giornalistica di «Non tutti sanno», sulle gravi condizioni del sistema di assistenza sanitaria all'interno del penitenziario;
nell'appello – rivolto alle aziende sanitarie e agli ordini dei medici e indirizzato anche al Governo e al presidente della regione Lazio – i detenuti affermano che: «La crisi della sanità pubblica e la mancanza di risorse colpiscono in modo diretto e pesante i livelli di assistenza sanitaria, le condizioni di vita e di lavoro dei medici, ma anche quelli della popolazione detenuta che già oggi sconta la carenza di assistenza sanitaria, la difficoltà ad usufruire in tempi efficaci di esami clinici e prestazioni specialistiche anche per i limiti posti dalla detenzione e dal sovraffollamento delle carceri. L'effetto è che per noi il diritto alla salute e alla cura è messo in discussione. Lo sarà ancora di più se, come abbiamo constatato, risultano sempre meno i medici che decidono di prestare la loro attività nelle carceri». Nella missiva i detenuti fanno appello anche al miglioramento dell'assistenza psicologica, che necessita di un numero maggiore di ore di assistenza;
all'appello dei detenuti ha risposto il presidente dell'Ordine dei medici Filippo Anelli, accogliendo il grido d'allarme sulle condizioni delle carceri e impegnandosi a sollecitare le istituzioni per migliorare i livelli di assistenza sanitaria per i detenuti –:
quali iniziative il Governo intenda intraprendere per garantire una risposta urgente e puntuale alla condizione dell'assistenza sanitaria nelle carceri italiane, rappresentando il caso di Rebibbia un grido d'allarme che riguarda l'intero sistema penitenziario in Italia;
quali iniziative si intendano intraprendere, anche in coordinamento con le regioni, per assicurare la certezza delle cure – anche specialistiche –, mettere un argine alla carenza di medici e personale sanitario in carcere e migliorare il supporto psicologico e psichiatrico per i detenuti.