La Camera,
premesso che:
la coltivazione, la vendita e il consumo di cannabis è un tema di rilevanza sociale che attraversa la giustizia, la salute pubblica, la sicurezza, la possibilità di impresa, la ricerca scientifica, le libertà individuali e, soprattutto, la lotta alle mafie e al terrorismo;
ogni politica pubblica di regolamentazione della cannabis, sia essa utilizzata per attività terapeutica, industriale o ludica, deve essere orientata a tutela della salute della persona;
sono decine di migliaia i pazienti che necessitano e utilizzano cannabis terapeutica in Italia, spesso lasciati soli dallo Stato e nell'impossibilità di ricevere la terapia, nonostante la regolare prescrizione;
sono 6 milioni i consumatori di cannabis in Italia e quasi 23 milioni nell'Unione europea;
seppure nel Paese il tema della regolamentazione dei derivati della cannabis abbia acquisito consensi sempre più vasti, fino ad oggi la possibilità di un confronto pragmatico ed equilibrato in Parlamento è stata resa vana dall'ostruzionismo manifestato dalle posizioni più faziose;
la questione se il regime di proibizione per la cannabis sia il più adatto a difendere la salute pubblica è stata affrontata a più riprese fin dal secolo scorso da commissioni di studio e comitati insediati dai Governi e dai Parlamenti in diverse parti del mondo;
nonostante i rapporti di organismi istituzionali e le più importanti revisioni della letteratura scientifica siano convergenti nell'indicare il superamento o l'alleggerimento della proibizione in virtù delle particolari caratteristiche farmacologiche della sostanza e dell'uso moderato, la regolamentazione della cannabis ha, per lo più, incontrato ostacoli ideologici a livello politico internazionale e nei singoli Stati;
tuttavia, negli ultimi anni si sono manifestati un'inversione di rotta e un cambiamento radicale di prospettiva. Sono molte le voci autorevoli che ormai certificano il fallimento della war on drugs, come testimonia il documento della «Commissione latino-americana su droghe e democrazia», un organismo di esperti promosso dagli ex Presidenti Cardoso del Brasile, Gaviria della Colombia e Zedillo del Messico, che chiedono un cambio di paradigma nella politica delle droghe; un altro organismo di indubbio prestigio è rappresentato dalla Global Commission on drug policy presieduta dall'ex Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, che chiede un cambio di passo nelle politiche internazionali e una scelta a favore della regolamentazione della cannabis;
l'Alto commissariato per i diritti umani nel settembre 2023 ha rilasciato un rapporto nel quale chiede agli Stati di «adottare alternative alla criminalizzazione, alla “tolleranza zero” e all'eliminazione delle droghe, prendendo in considerazione la depenalizzazione dell'uso; assumere il controllo dei mercati illegali delle droghe attraverso una regolamentazione responsabile, per eliminare i profitti del traffico illegale, della criminalità e della violenza». L'Alto commissario, nelle scorse settimane, ha ribadito che «la guerra alla droga è fallita completamente e inesorabilmente», non avendo ridotto né l'uso di droghe né il crimine correlato, aggravando la situazione per le comunità più vulnerabili;
si è davanti a un quadro internazionale molto diverso dal recente passato. Nel 2013 l'Uruguay ha legalizzato la produzione, la circolazione e il consumo dei derivati della cannabis. Il Canada ha regolamentato l'uso ricreativo nel corso del 2018. Negli Stati Uniti d'America – dove ben 24 Stati hanno, sino ad oggi, regolamentato la produzione e la vendita per qualsiasi tipo di consumo per gli adulti – la Camera dei rappresentanti ha votato per ben due volte (2020 e 2022) il More Act, una legge che toglie la cannabis dalla tabella nazionale delle droghe pericolose, cancellando le sanzioni federali e consentendone vendita e tassazione. Inoltre, il Presidente Biden ha avviato a fine 2023 il percorso di declassificazione della cannabis dalla tabella I alla III. Il processo terminerà a inizio 2025 ed è stato sostenuto anche dal Presidente eletto Trump;
a dicembre 2020, con una decisione storica, la Commissione droghe delle Nazioni Unite ha votato per cancellare definitivamente la cannabis dalla tabella IV delle sostanze sotto controllo internazionale più pericolose e senza utilità medica, riconoscendone il potere terapeutico. Nel pomeriggio dello stesso giorno, la Commissione europea ha chiarito che i prodotti contenenti cannabidiolo (frutto di gambi, foglie e fiori della pianta) possono essere inseriti nella lista dei novel food (nuovi alimenti) dell'Unione europea, dando il via libera per il loro finanziamento con i fondi della politica agricola comune;
altre riforme strutturali sulla cannabis avanzano in Australia, Israele, Georgia, Macedonia, Messico e Sudafrica, mentre nell'Africa subsahariana e in America latina molti Governi hanno adottato leggi per consentirne la produzione per fini terapeutici;
per quanto riguarda i Paesi europei, in seguito alla recente svolta storica della Germania, che ha regolamentato la coltivazione – anche in forma associata – e il consumo della cannabis, il processo di legalizzazione nel vecchio continente non sembra arrestarsi;
in particolare, Malta e Lussemburgo hanno legalizzato la cannabis anche a scopo ricreativo nel 2023; in Germania, da aprile 2024, è consentito coltivare fino a tre piante di cannabis per uso personale. Nei Paesi Bassi sono in corso sperimentazioni per regolarizzare la filiera che rifornisce i coffee-shop, con l'obiettivo di legalizzare la coltivazione, garantire un prodotto sicuro e recidere definitivamente il legame con il mercato nero; la Spagna ha un approccio unico alla cannabis rispetto all'Europa, in quanto, dal punto di vista legale, non vi è alcuna differenza tra uso ricreativo e terapeutico. In Portogallo, dal 2001, il consumo personale di cannabis è stato depenalizzato, con certe limitazioni circa la quantità, l'acquisto e la vendita (che rimangono illegali); in Francia, nel 2013, è stata legalizzata la cannabis per uso medicinale con prescrizione medica. Dal 2024 si è assistito a una legalizzazione anche del cannabidiolo;
in Italia, nel 2021 fu promosso da varie associazioni, partiti e realtà del Paese – Associazione Luca Coscioni, Forum droghe, Società della ragione, Antigone, Arci, Meglio legale e altri – un referendum, che raccolse oltre 630 mila firme, con il quale si chiedeva di depenalizzare la cannabis per uso personale;
il quesito referendario mirava a eliminare il reato di coltivazione, rimuovere la pena detentiva per qualsiasi condotta legata alla cannabis, con eccezione dell'associazione finalizzata al traffico illecito, e la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida;
nel febbraio 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il requisito referendario perché, per come era stato formulato – nella sua interpretazione – avrebbe violato gli obblighi internazionali, perdendo così un'occasione per cambiare una normativa che a livello politico è divisiva e conduce ad un confronto che il più delle volte è soffocato da pregiudizi antiscientifici;
è ormai arrivato il tempo di predisporre un sistema di regolamentazione legale e sociale del fenomeno connesso all'uso della cannabis al fine di tutelare la salute dei consumatori, fino ad ora esposta ai rischi di un mercato libero e senza controlli, qual è quello illegale;
il 25 giugno 2024 è stata pubblicata la nuova relazione al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze, ridotta rispetto al passato, con assenza o incompletezza di dati e informazioni e con incongruenza nelle statistiche illustrate;
sul totale delle operazioni di polizia svolte nel 2023, il 47 per cento ha riguardato la cannabis, con quasi 10 mila sequestri per circa 67 tonnellate requisite, cui si aggiungono 156 mila piante;
sebbene la relazione non fornisca statistiche specifiche sui consumi presso la popolazione adulta, prendendo in considerazione esclusivamente la popolazione studentesca il 22 per cento (550 mila persone) riferisce di aver consumato cannabis nell'ultimo anno, con quasi 70 mila studenti che ne hanno fatto consumo frequente (20 o più volte nel mese);
si tratta della sola sostanza per la quale si è osservato un calo percentuale di utilizzo presso la fascia d'età più giovane, nonostante, prendendo in considerazione le segnalazioni riferite ai minori, la cannabis ricorra nel 97 per cento dei casi;
la cannabis conferma la sua netta predominanza in merito alle sanzioni amministrative ex articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, testo unico stupefacenti. Circa le denunce per articoli 73 e 74, invece, la cannabis influisce per il 37 per cento;
per quanto riguarda la presa in carico degli utilizzi problematici, la cannabis risulta la minor causa di trattamenti sanitari, con il 12 per cento di utenza nei SerD, il 6 per cento dell'utenza presso strutture private. Infine, il 6 per cento dei ricoveri ospedalieri per droghe è correlato alla cannabis, ovvero 393 casi su 6 milioni di consumatori;
infine, rispetto alle stime economiche, la relazione informa che alla cannabis è riconducibile il 40 per cento degli oltre 16 miliardi di euro di valore del mercato delle droghe illecite, pari a circa 6,5 miliardi di euro, e resta la sostanza più sequestrata, con un dato costantemente superiore al 70 per cento;
il narcotraffico è una delle attività più redditizie della criminalità organizzata e la stessa relazione della Direzione centrale antidroga nel 2021 affermava che il narcotraffico è «il principale motore di tutte le attività illecite svolte dai grandi sodalizi criminali»;
deve chiarirsi, prima di tutto, che un'azione di contrasto efficace non è quella che tende al mero contenimento del fenomeno, bensì quella – ovviamente compatibile con le risorse del Paese – in grado di invertire il trend di continua crescita del narcotraffico, che, nel corso degli ultimi 40 anni, ha aumentato a dismisura il potere criminale e finanziario e che attualmente costituisce una preziosa risorsa anche per i terroristi;
è stato già in passato evidenziato come il crimine organizzato si sia rafforzato negli anni, sia nel nostro Paese che nel mondo intero, grazie proprio al controllo di un mercato che vale, annualmente, circa 560 miliardi di euro a livello globale: ricchezza illecita inevitabilmente destinata a refluire in gran parte sul mercato finanziario ed economico legale, alterandone le regole essenziali e, fra queste, la più importante che è quella che, in un sistema liberal-democratico, assicura giustizia, equità e progresso sociale, ossia la parità di partenza fra i diversi operatori economici;
sul punto, Unodoc (agenzia internazionale che si occupa di crimine organizzato) faceva proprio l'esempio della situazione italiana in cui le grandi organizzazioni mafiose mantengono intatte la loro capacità di condizionamento delle istituzioni pubbliche, proprio in quanto dispongono di risorse rilevanti provenienti dal traffico di stupefacenti;
le politiche repressive in materia di consumo di cannabis per uso ludico si sono dimostrate nel corso dei decenni del tutto inefficaci rispetto agli obiettivi che intendevano perseguire. Il proibizionismo ha generato costi pubblici ingenti, ma non ha minimamente ostacolato oltre 6 milioni di consumatori che si approvvigionano nel mercato nero;
si è infatti constatato che, sia in Italia che in Europa, le attività repressive sul traffico, sullo spaccio e sulla detenzione di cannabis hanno impegnano, come si evince anche dalla relazione presentata, sull'intero territorio nazionale (e non solo), un numero di appartenenti alle forze di polizia giudiziaria e di magistrati che è un multiplo di quello impegnato nelle azioni di contrasto all'eroina ovvero alla cocaina e alle droghe sintetiche, ben più pericolose;
i sequestri di quantitativi di cannabis sono, a seconda degli anni, 100 o 150 volte di più di quelli di eroina e cocaina e 8.000 volte maggiori dei sequestri delle droghe sintetiche. In pratica è sequestrata in misura infinitamente più ampia la sostanza meno dannosa rispetto a quelle ben più nocive, che possono essere in alcuni casi letali;
si impegna, sul fronte repressivo per il fenomeno cannabis, circa la metà delle forze che a disposizione sul campo per contrastare complessivamente il narcotraffico e il conseguente gravissimo fenomeno del riciclaggio;
non solo, quindi, non sarebbe pensabile impiegare più uomini e mezzi nella repressione del fenomeno, perché ciò sottrarrebbe le residue risorse all'azione di contrasto contro fenomeni che lo stesso legislatore ritiene più gravi (traffico di droghe pesanti, riciclaggio, corruzione, contrasto alle mafie e al terrorismo ed altri), ma sarebbe necessario dirottare risorse ed energie dalla repressione di fenomeni meno gravi (fra cui quello della cannabis) verso quelli ben più gravi che sono stati indicati;
la legislazione in Italia sulla cannabis è complessa e in continuo cambiamento e, nel nostro Paese, spesso non è possibile portare il discorso sulle sostanze illegali a un livello di dialogo razionale, che parli anche del coinvolgimento delle mafie nel traffico e nello spaccio;
in Italia sono vietati la produzione, la lavorazione, il traffico e l'impiego di foglie, infiorescenze, olio e resina di cannabis e delle preparazioni che li contengono, in forza del testo unico sugli stupefacenti del 1990. Eccezioni a questo divieto riguardano la cannabis per uso terapeutico e la cosiddetta cannabis light (anche se qui la normativa è attualmente oggetto di revisione da parte del Governo);
l'uso personale della cannabis rimane illegale in Italia. Il possesso di piccole quantità per uso personale è depenalizzato, il che significa che non comporta sanzioni penali, ma può comunque portare a sanzioni amministrative. Queste possono includere la sospensione della patente di guida, del passaporto o del permesso di soggiorno e la segnalazione alle autorità competenti;
basta il possesso per definire il reato («o comunque illecitamente detiene» articolo 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) e la distinzione fra possesso per uso personale e per spaccio è molto labile ed incerta. Essa dipende nella pratica dei tribunali da fattori sociali ed economici che fanno sì che soggetti, con minori risorse sociali, culturali ed economiche, siano più facilmente accusati di spaccio con quantitativi anche di molto inferiori rispetto ad altre persone maggiormente inserite nella società o che possano provare di avere le risorse per permettersi il consumo;
nel suo rapporto sull'Italia l'International independent expert mechanism to advance racial justice and equality in the context of law enforcement promosso dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, tale organismo ha rilevato che l'approccio punitivo dell'Italia all'applicazione della legge sulla droga solleva notevoli preoccupazioni in materia di diritti umani;
anche il Comitato per i diritti economici e sociali dell'Onu nella sua revisione sull'Italia del 2023 ha espresso «preoccupazione per l'approccio punitivo al consumo di droghe e per l'insufficiente disponibilità di programmi di riduzione e del danno», raccomandando «che lo Stato riveda le politiche e le leggi sulle droghe, per allinearle alle norme internazionali sui diritti umani e alle migliori pratiche, e che migliori la disponibilità, l'accessibilità e la qualità degli interventi di riduzione del danno»;
la coltivazione di piante di cannabis per uso personale è dunque anch'essa illegale e può comportare sanzioni penali, inclusa la reclusione. Tuttavia, ci sono stati recenti sviluppi giurisprudenziali che hanno creato una certa ambiguità. Alcune sentenze della Corte di cassazione hanno stabilito che la coltivazione di poche piante per uso strettamente personale potrebbe non costituire un reato penale, purché non vi sia alcun intento di spaccio;
secondo la Corte di cassazione non integra il reato di coltivazione di stupefacenti una condotta di coltivazione svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto, se non ci sono significativi indici di un inserimento nel mercato illegale (Corte di cassazione, n. 12348 del 2020);
in realtà, la materia è ancora nebulosa e non esiste, infatti, un numero preciso di piante che è possibile tenere in casa, anche se la sentenza della Corte di cassazione ha dettato dei parametri ai quali far riferimento;
la Corte di cassazione ha infatti ritenuto che «integra una coltivazione domestica non punibile la messa a coltura di undici piantine di marijuana, collocate in vasi all'interno di un'abitazione, senza la predisposizione di accorgimenti, come impianti di irrigazione e/o illuminazione, finalizzati a rafforzare la produzione, le quali consentono l'estrazione di un quantitativo minimo di sostanze stupefacente ragionevolmente destinata all'uso personale» (Corte di cassazione, n. 6599 del 2021);
si tratta, però, di una singola pronuncia che non fa altro che alimentare il dibattito pubblico e legale sulla necessità di una riforma della normativa vigente;
la cannabis light è invece definita dalla legge n. 242 del 2016, che consente la coltivazione e la lavorazione della cannabis sativa per produrre alimenti, cosmetici, materie prime per l'industria, per svolgere attività didattiche o di ricerca e come pianta ornamentale, a condizione che il contenuto di Thc e dei suoi derivati commercializzati sia non superiore allo 0,2 per cento, con un margine di tolleranza nelle coltivazioni in campo sino allo 0,6 per cento;
in particolare, la legge n. 242 del 2016, recante «Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa», ha consentito in Italia la coltivazione della canapa (denominata scientificamente cannabis sativa L.) esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi dall'uso farmaceutico, con sementi certificate, in applicazione della normativa di settore, secondo le indicazioni dell'allora Ministero delle politiche alimentari, agricole e forestali. Le varietà di canapa che la legge consente di coltivare sono quelle iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'articolo 17 della direttiva 2002/53/CE. Tali piante non rientrano nell'ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope sopra richiamato, poiché hanno un tenore di Thc inferiore o uguale allo 0,2 per cento. Infatti, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 242 del 2016, la coltivazione di tali varietà è consentita senza necessità di autorizzazione. I possibili usi del prodotto derivante dalla coltivazione senza la necessità di autorizzazione sono i seguenti: a) alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori; b) semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, olio carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico. L'uso della canapa come biomassa ai fini energetici è consentito esclusivamente per l'autoproduzione energetica aziendale; c) materiale destinato alla pratica del sovescio; d) materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia; e) materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati; f) coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati; g) coltivazioni destinate al florovivaismo. Lo stesso articolo statuisce che l'uso della canapa come biomassa ai fini energetici è consentito esclusivamente per l'autoproduzione energetica aziendale, nei limiti e alle condizioni previste dall'allegato X alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni;
su tutto questo settore attualmente pende la scure della politica dell'attuale Governo, che prosegue la linea già tracciata dal decreto del Ministero della salute che aveva inserito le «composizioni per uso orale di cannabidiolo» tra le sostanze stupefacenti, decreto arrivato a inizio luglio 2024 dopo la sospensiva del tribunale amministrativo regionale del Lazio del 5 ottobre 2023;
la nuova normativa vuole proibire il commercio, la lavorazione e l'esportazione di foglie, infiorescenze, resine e di tutti i prodotti contenenti sostanze derivate dalla pianta di canapa, colpendo così diversi ambiti, dalla cosmesi all'erboristeria, dagli integratori alimentari al florovivaismo;
con tale politica, di fatto, si vuole vietare tutto il settore della cannabis light, mettendo così in difficoltà anche le altre filiere produttive della canapa: alimentare, tessile, bioedilizia, energetica;
anche il Forum droghe, l'associazione per la riforma delle politiche sulle droghe, ha pubblicato sul proprio sito un appello di 27 esperti di politiche sulle droghe, attivisti e organizzazioni non governative internazionali che chiedono all'Italia di fermare il provvedimento che vuole vietare la cannabis light;
l'appello sottolinea come la nuova normativa «produrrebbe il paradossale effetto giuridico di punire con le sanzioni penali e amministrative previste per le sostanze psicotrope anche chi produce o utilizza infiorescenze prive di effetti psicoattivi», una palese violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e offensività del diritto penale ed un «insulto al buon senso e alla scienza»;
le stesse associazioni di categoria, tra cui Confagricoltura, Coldiretti, Cia-Agricoltori italiani, Copagri, ma anche le associazioni di settore, tra le quali Assocanapa, Così, Federcanapa, Imprenditori canapa Italia, hanno espresso profonda preoccupazione per la nuova politica riguardante la cannabis light che renderebbe illegali le infiorescenze di canapa industriale e i suoi derivati con il rischio di colpire duramente non solo il settore alimentare (semi e proteine), ma anche quelli tessile ed edile, strettamente legati alla coltivazione della cannabis sativa industriale. L'effetto del divieto risulterebbe devastante, con la scomparsa nel nostro Paese di una filiera produttiva di eccellenza che impegna 3 mila aziende ed oltre 10 mila operatori, per un volume d'affari di 500 milioni di euro all'anno, con la particolarità che il settore si caratterizza per l'elevato impiego giovanile, anche imprenditoriale, e per la capacità di rivitalizzare aree rurali svantaggiate. Sarebbe, altresì, assurdo che l'eventuale coltivazione della canapa industriale fosse riservata solo al mercato estero, per poi vedere tornare nel nostro Paese la canapa trasformata, a costi decisamente maggiori, con qualità discutibili e con un mercato non certo a favore dei produttori e dei consumatori italiani;
anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha confermato che la cannabis light, contenente principalmente cannabidiolo e con livelli di Thc inferiori allo 0,2 per cento, non ha effetti stupefacenti e non dovrebbe essere classificata come droga;
al momento, quindi, le prospettive per il settore della canapa in Italia appaiono incerte e preoccupanti;
per scopi medici, in Italia, l'uso della cannabis è legale dal 2007. Il decreto ministeriale n. 98 del 2007 riconosce le proprietà terapeutiche del Thc (Delta-9-tetraidrocannabinolo), il principale principio attivo della cannabis, e di altri due farmaci di origine sintetica (Dronabinol e Nabilone);
tali sostanze sono elencate alla tabella II sezione B (articolo 2), che raccoglie le sostanze utilizzabili in terapia e prescrivibili ai sensi dell'articolo 72, comma 2, del testo unico n. 309 del 1990 («È consentito l'uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope, debitamente prescritti secondo le necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto»);
in Italia dal 2006 è consentito ai medici di prescrivere preparazioni magistrali contenenti sostanze vegetali a base di cannabis per uso medico, da prepararsi in strutture preposte, mentre dal 2023 è anche prescrivibile dai neurologi un prodotto registrato come medicinale a base di estratti di cannabis per ridurre gli spasmi dolorosi della sclerosi multipla;
il decreto del Ministro della salute del 9 novembre 2015 afferma che l'impiego per uso medico della cannabis è considerato «un trattamento sintomatico di supporto ai trattamenti standard, quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati o hanno provocato effetti secondari non tollerabili, o necessitano di incrementi psicologici che potrebbero determinare la comparsa di effetti collaterali»;
la legge consente, quindi, l'uso di cannabis terapeutica per alleviare i sintomi di varie condizioni mediche, come il dolore cronico, la sclerosi multipla, l'epilessia resistente ai trattamenti tradizionali e gli effetti collaterali della chemioterapia, e il decreto-legge n. 148 del 2017 dispone che le preparazioni magistrali a base di cannabis, prescritte dal medico per la terapia del dolore, nonché per gli altri impieghi previsti, siano a carico del Servizio sanitario nazionale;
nonostante questo, sono ancora poche le regioni che assicurano che la cannabis prescritta per le patologie previste sia rimborsabile dal rispettivo servizio sanitario regionale e, anche in quelle dove c'è una legge, spesso essa non copre tutte le patologie indicate dalla normativa nazionale;
se da una parte della comunità scientifica – in particolare da chi si occupa di terapia del dolore – arriva la richiesta di estendere la possibilità di prescrivere i prodotti terapeutici a base di cannabis a tutti i medici del Servizio sanitario nazionale, dall'altra non si può ignorare la necessità di una maggiore informazione che eviti speranze illusorie nei pazienti, riconduca su basi scientifiche l'impiego della cannabis, non ne sottostimi l'interferenza con altre terapie e supporti i medici in un percorso formativo ad hoc;
è necessario, infatti, prevedere a livello nazionale una adeguata rete di formazione del personale medico e sanitario, sia dipendente che convenzionato, del sistema sanitario sull'utilizzo dei farmaci cannabinoidi per finalità terapeutiche;
sempre il decreto del Ministro della salute del 9 novembre 2015, con riferimento anche alla Convenzione unica sugli stupefacenti adottata a New York il 30 marzo 1961, individua lo Stabilimento chimico-farmaceutico militare di Firenze (Scfm) quale luogo di coltivazione e produzione della «sostanza attiva» che deve essere effettuata in conformità all'Active substance master file (Asmf) depositato presso l'Agenzia italiana del farmaco, con l'obiettivo di garantire unitarietà e sicurezza nella produzione e di evitare il ricorso a prodotti non autorizzati, contraffatti o illegali;
secondo il decreto del Ministro della salute pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 novembre 2023, lo stabilimento di Firenze è autorizzato a produrre 400 chilogrammi di cannabis, pari a quella stabilita per il 2022 e il 2023, e in diminuzione rispetto a quanto stabilito nel 2021, anno in cui la produzione fu mantenuta a 500 chilogrammi. Lo Stabilimento non ha però mai centrato i suddetti obiettivi produttivi;
gli accordi per l'importazione dall'estero della cannabis permettono di garantire una risposta rapida e concreta alle richieste dei pazienti; tuttavia, al fine di assicurare la continuità terapeutica, nonché un facile reperimento dei medicinali, risulta particolarmente opportuno adottare misure finalizzate ad incrementare la produzione nazionale di cannabis;
nonostante la disciplina presente nell'ordinamento italiano, ancora oggi la possibilità di accedere alla cannabis terapeutica è, di fatto, pregiudicata da vincoli amministrativo-burocratici, per superare i quali è necessario un intervento legislativo di semplificazione delle procedure, sia per l'approvvigionamento delle materie prime per la produzione nazionale, sia per la concreta messa a disposizione dei preparati per i pazienti, superando la disomogeneità del panorama legislativo regionale;
insufficiente disponibilità (tra importazione e produzione) di cannabis medica, problemi di produzione o di consegna, code di attesa, ridotto numero di farmacie che fanno preparazioni galeniche, inaccuratezza delle quote annuali di cannabis stimate dalle regioni rappresentano ostacoli quotidiani che impediscono a migliaia di pazienti di ottenere la terapia o di ottenere una continuità terapeutica;
di qui la conseguenza più naturale che è quella di spingere i pazienti a rivolgersi al mercato nero pur di alleviare le proprie sofferenze e trovare un po' di sollievo oppure, nel migliore dei casi, all'autoproduzione che lascia privi di tutela giuridica chi ne fa uso;
è pertanto, necessario, regolamentare in maniera omogenea sul territorio nazionale il regime di produzione, prescrizione e dispensazione di farmaci a base di cannabis, facilitando l'accesso alle cure;
è necessario partire dalla premessa che lo strumento sanzionatorio, penalistico e amministrativo è insufficiente da solo per disciplinare il fenomeno, in quanto agisce nella sua fase finale e non fornisce risposte significative alle diverse esigenze che sono alla base del fenomeno stesso;
è necessario incidere in funzione preventiva, favorendo la promozione di meccanismi di riduzione dei rischi e di autoregolazione nel consumo di cannabis e la predisposizione di un sistema di regole cautelari che tutelino i beni giuridici fondamentali nella produzione e nel commercio;
in definitiva, il dibattito sulla regolamentazione della cannabis in Italia è attivo e in continua evoluzione e, tra le argomentazioni a favore della legalizzazione, si possono annoverare i potenziali benefici economici, la riduzione del mercato nero e la promozione della sicurezza dei consumatori;
tuttavia, la legalizzazione, per essere davvero funzionale, deve mantenersi in binari chiari e pragmatici e rifuggire da ipocrisie, ideologismi, prese di posizione, che sarebbero più dannosi che utili,
impegna il Governo:
1) ad avviare campagne di prevenzione e informazione per rendere consapevoli sugli effetti del consumo ludico-ricreativo, in particolare tra i giovani e gli adolescenti;
2) ad adottare iniziative volte a collaborare con le associazioni di categoria, le organizzazioni scientifiche e le comunità locali, sulla base delle evidenze scientifiche e degli indirizzi dell'Organizzazione mondiale della sanità per diffondere una corretta informazione e promuovere una cultura del consumo responsabile;
3) ad adottare tutte le opportune iniziative normative al fine di modificare la disciplina attualmente vigente sulla cannabis, prevedendone la regolamentazione legale per permetterne la coltivazione, produzione, distribuzione e l'uso ludico-ricreativo, stroncando così anche il mercato illegale gestito dalla criminalità organizzata;
4) ad adottare iniziative volte a definire una normativa che regolamenti la coltivazione domestica di un numero limitato di piante per uso personale, definendo chiaramente i limiti quantitativi e qualitativi consentiti;
5) ad adottare iniziative volte a definire una normativa che escluda l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dall'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per chi coltiva o detiene cannabis per uso personale, senza intento di spaccio;
6) a promuovere un dibattito con gli altri Paesi dell'Unione europea finalizzato all'adozione di una disciplina normativa che permetta ai singoli Stati di esercitare la propria sovranità, così come previsto dalle convenzioni Onu, regolamentando secondo le proprie necessità il settore della cannabis;
7) ad assumere le iniziative necessarie, anche di carattere normativo, al fine di provvedere alla riorganizzazione organica della materia relativa alla filiera agroindustriale della canapa per garantire a tutti gli operatori del settore una normativa certa cui attenersi;
8) ad adottare iniziative volte ad incentivare lo sviluppo del mercato della canapa industriale, soprattutto per le sue applicazioni benefiche per l'ambiente, senza esclusione di alcune parti della pianta come le inflorescenze;
9) ad adottare iniziative, anche di carattere normativo, che non equiparino la cannabis light a quella tradizionale, riconoscendo che il fiore di canapa industriale è un prodotto agricolo non stupefacente;
10) ad adottare iniziative volte ad assicurare in maniera omogenea sul territorio nazionale il regime di produzione, prescrizione e dispensazione di farmaci a base di cannabis, facilitando l'accesso alle cure;
11) ad adottare iniziative volte ad aumentare la produzione interna di cannabis, anche attraverso l'individuazione di nuovi poli di produzione e l'apertura di bandi a produttori privati nazionali, coinvolgendo piccole aziende agricole biologiche certificate, così da soddisfare la domanda di cannabis terapeutica, evitando allo stesso tempo di importarla dall'estero;
12) ad adottare iniziative di competenza volte a prevedere misure a livello nazionale, in collaborazione con le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, volte ad assicurare un'adeguata formazione del personale medico e sanitario, sia dipendente che convenzionato, con il Servizio sanitario nazionale sull'utilizzo dei farmaci cannabinoidi per finalità terapeutiche;
13) a promuovere e aumentare la ricerca scientifica e l'informazione sulla cannabis medica;
14) ad adottare iniziative di competenza volte ad assicurare l'uniformità di applicazione su tutto il territorio nazionale delle norme riguardo alla copertura da parte del Servizio sanitario nazionale delle prescrizioni di cannabis terapeutica almeno per tutte le patologie già individuate dalle normative nazionali;
15) ad adottare iniziative normative volte a declassificare la cannabis terapeutica dalla tabella A alla tabella B del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, recante «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza», semplificando così le procedure di prescrizione e accesso;
16) ad adottare le opportune iniziative normative al fine di uniformare il trattamento dei conducenti/pazienti in cura con cannabis medica che risulterebbero sempre positivi con quei pazienti che si curano con altre tipologie di farmaci psicoattivi (benzodiazepine, antidepressivi maggiori, eccetera) per i quali non sussiste il giudizio di non idoneità alla guida, né sono previsti drug-test ad opera delle forze dell'ordine nei controlli sulla strada;
17) ad adottare iniziative normative volte ad apportare le opportune modifiche alle norme sul codice della strada, al fine di garantire un'efficace sicurezza stradale, ripristinando il principio che per essere sanzionati si debba dimostrare che la persona alla guida sia in uno stato psicofisico alterato, evitando così che chiunque possa essere punito per un uso passato di cannabis che non ha alcun rapporto con le condizioni effettive di guida.