08/08/2024
Ouidad Bakkali, Mauro Berruto, Chiara Braga
Zanella, Magi, Berruto, Braga, Schlein, Ascani, Boldrini, Bonafè, Carè, Ciani, Cuperlo, Curti, De Micheli, Di Biase, Fassino, Ferrari, Forattini, Fornaro, Furfaro, Ghio, Girelli, Graziano, Gribaudo, Iacono, Lai, Laus, Madia, Malavasi, Manzi, Marino, Mauri, Morassut, Orfini, Peluffo, Porta, Prestipino, Quartapelle Procopio, Toni Ricciardi, Roggiani, Romeo, Andrea Rossi, Sarracino, Scarpa, Scotto, Serracchiani, Simiani, Speranza, Stefanazzi, Vaccari, Di Sanzo, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Dori, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti
1-00314

La Camera,

   premesso che:

    con «cittadinanza» s'intende il rapporto tra individuo e Stato, uno status denominato «civitatis» al quale l'ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici, ed è elemento essenziale per far sì che le persone possano godere in maniera piena e completa dei diritti fondamentali ed è, quindi, indispensabile per una democrazia realmente inclusiva;

    la Costituzione italiana, oltre a proclamare nella sua prima parte in capo ai cittadini la titolarità di alcuni diritti e di alcuni doveri, si occupa specificatamente della cittadinanza all'articolo 22, stabilendo il principio per cui non si può essere privati di essa, così come del nome e della capacità giuridica, per motivi politici. La ratio di questa disposizione va inquadrata nella contestazione degli arbìtri compiuti dal fascismo, che non solo aveva privato della cittadinanza italiana tutti gli antifascisti in esilio (legge n. 108 del 1926), ma aveva altresì stabilito (regio decreto-legge n. 1728 del 1938) delle gravi limitazioni alla cittadinanza e alla capacità giuridica nei confronti dei cittadini di cosiddetta «razza ebraica»;

    attualmente la cittadinanza è disciplinata dalla legge 5 febbraio 1992 n. 91 e relativi regolamenti di esecuzione;

    ai sensi della citata legge acquistano di diritto la cittadinanza italiana coloro i cui genitori (anche solo la madre o il padre) siano cittadini italiani. Si tratta della modalità di acquisizione della cittadinanza per «ius sanguinis»;

    esistono alcune procedure più veloci per l'acquisizione della cittadinanza italiana per gli stranieri di origine italiana che possono acquisirla facendo espressa richiesta se l'interessato discenda da un cittadino italiano (sino al secondo grado di parentela) e sia in possesso di almeno un requisito tra quelli previsti dalla legge;

    nell'ordinamento italiano è previsto anche un altro riconoscimento della cittadinanza, ma solo in via residuale e per casi limitati: quello dello «ius soli»;

    questo diritto viene di norma riconosciuto solo a coloro che nascono in Italia e i cui genitori siano da considerarsi ignoti o apolidi, a coloro che nascono in Italia e che non possono acquisire la cittadinanza dei genitori, in quanto lo Stato di origine dei genitori non consente che chi nasce all'estero possa acquisire quella cittadinanza; per chi, infine, non abbia genitori noti e che venga trovato, a seguito di abbandono, in territorio italiano, e per il quale si possa dimostrare da parte di qualunque soggetto interessato, il non possesso di altra cittadinanza;

    la persona nata in Italia può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e che dichiari, entro un anno dal compimento della maggiore età di voler acquisire la cittadinanza italiana;

    l'acquisizione della cittadinanza può avvenire, inoltre, per matrimonio o unione civile con cittadino italiano o, infine, per naturalizzazione;

    al| riguardo di quest'ultima modalità, l'articolo 9 della citata legge 91 del 1992 prevede che la cittadinanza possa essere concessa se la persona che ne faccia richiesta abbia trascorso legalmente ed ininterrottamente un periodo di tempo di almeno dieci anni in Italia, qualora non appartenga all'Unione europea, e di quattro se, invece, sia cittadino di un Paese che appartiene alla Comunità europea. Se apolide la persona che voglia ottenere la cittadinanza italiana deve risiedere nel nostro Paese da almeno cinque anni;

    il periodo di 10 anni di residenza legale ininterrotta per i non appartenenti all'Unione europea è tra i più severi in Europa, e in questi giorni è in corso la raccolta di firme per la promozione del Referendum Cittadinanza, volto proprio a ridurre tale termine da 10 a 5 anni, come già previsto negli ordinamenti di Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, Lussemburgo e Svezia, e com'era previsto anche in Italia fino al 1992;

    secondo l'articolo 14 della legge n. 91 del 1992 i figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana, ma, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza. L'acquisto interviene, quindi, avviene automaticamente alla sola condizione della convivenza e sempre che si tratti di un soggetto minorenne secondo l'ordinamento italiano. Perché il genitore divenuto italiano possa trasmettere lo «status civitatis» al figlio, occorrono pertanto che ricorrano tre condizioni: a) il rapporto di filiazione; b) la minore età del figlio; c) la convivenza con il genitore;

    va osservato che la previsione della convivenza con il genitore non appare idonea a riconoscere il diritto di acquisizione della cittadinanza italiana, in quanto esclude di fatto coloro che per qualunque motivo non convivano con il genitore nonostante questi conservi la responsabilità genitoriale;

    ad esempio, in Francia la naturalizzazione viene decisa dall'autorità pubblica e può essere concessa dallo straniero maggiorenne che dimostri la propria residenza abituale in Francia nei cinque anni precedenti la domanda e che vi risieda al momento della domanda stessa. Ma questo termine, che è la metà di quello italiano, può anche essere ridotto a due anni, qualora il richiedente abbia ultimato due anni di studi in un istituto di istruzione universitaria francese;

    come in molti altri Paesi, anche la Francia considera essenziale per la cittadinanza la conoscenza della lingua del Paese di cui si vuole diventare cittadini. Sino ad un recente passato la valutazione della capacità meno di comprendere, scrivere e parlare in francese era lasciata all'arbitrio del singolo funzionario statale incaricato dell'esame. Adesso, grazie a recenti modifiche normative la discrezionalità della pubblica amministrazione è stata almeno ridotta, dovendo il funzionario chiamato a giudicare la conoscenza linguistica del richiedente attenersi ad una «griglia di valutazione» che stabilisce criteri chiari per la valutazione stessa;

    inoltre, a condizione che il nome sia menzionato nel decreto di naturalizzazione del genitore, o sulla dichiarazione di acquisizione, il figlio minore, legittimo o naturale, della persona naturalizzata francese, diventa automaticamente cittadino francese di pieno diritto, sempre che sia a sua volta residente in Francia. Ciò vale anche per il bambino oggetto di adozione piena, mentre nel caso di divorzio o separazione precedente l'acquisizione di cittadinanza da parte del genitore, il minore acquisisce la cittadinanza se risiede attualmente o alternativamente con il genitore divenuto francese;

    per effetto della legge 16 marzo 1998 ogni bambino nato in Francia da genitori stranieri acquisisce automaticamente la cittadinanza francese al momento della maggiore età se a quella data ha propria residenza in Francia o vi ha avuto la propria residenza abituale durante un periodo, continuo o meno, di almeno 5 anni dall'età di 11 anni in poi;

    l'acquisizione automatica della cittadinanza può essere anticipata ai 16 anni da parte dell'interessato con dichiarazione sottoscritta dinanzi l'autorità competente o può essere chiesta dai suoi genitori a partire dal 13° anno di vita e previo consenso dell'interessato. Nel quale caso il requisito della residenza abituale dei 5 anni sopra ricordato viene conteggiato a partire dall'ottavo e non dall'undicesimo anno di vita;

    per quel che riguarda il caso della Germania, invece, la legislazione tedesca prevede che la cittadinanza possa essere acquisita per nascita, adozione e naturalizzazione. Dal 1° gennaio 2000 acquisiscono la cittadinanza non solo i figli di cittadini tedeschi, ma anche chi, figlio di stranieri, nasca in Germania, purché almeno uno dei genitori risieda stabilmente nel Paese da almeno otto anni e sia in possesso di regolare autorizzazione al soggiorno o di illimitato permesso di soggiorno da almeno tre anni;

    per quel che riguarda la naturalizzazione, in Germania essa non avviene in via automatica ma presuppone una richiesta da parte dell'interessato, che può presentarla alle autorità competenti dopo il compimento del sedicesimo anno di età;

    nel gennaio 2024 il Bundestag ha approvato una riforma della legge sulla cittadinanza che potrà ridurre il termine di residenza in Germania previsto per l'ottenimento della cittadinanza tedesca, che passa da otto a cinque anni;

    la nuova legge sulla cittadinanza prevede anche che in futuro, i figli di genitori stranieri riceveranno la cittadinanza tedesca alla nascita se padre o madre hanno risieduto legalmente in Germania per cinque anni (anche in questo caso il termine precedentemente in vigore era di otto anni);

    inoltre, le persone che diventano tedesche potranno mantenere la loro precedente cittadinanza: questo era già possibile, ad esempio, per i cittadini di altri Paesi dell'Unione europea ed ora viene esteso anche a coloro che non fanno parte dell'Unione europea;

    passando rapidamente ad esaminare la situazione in Gran Bretagna, si osserva che, pur con molte eccezioni, vige il principio prevalente che chi nasce in territorio britannico acquisisca in via automatica la cittadinanza;

    per coloro che, invece, non sono nati in Gran Bretagna, la possibilità di essere naturalizzato è legata ad una serie di condizioni: avere almeno 18 anni, non avere precedenti penali, aver vissuto in Gran Bretagna almeno cinque anni prima della richiesta di naturalizzazione, non avendo trascorso più di 450 giorni fuori dal Regno Unito nei cinque anni, e meno di 90 giorni nell'anno precedente la domanda di naturalizzazione. È anche necessario conoscere là lingua e superare un test;

    i criteri di idoneità sono leggermente diversi qualora si richieda la cittadinanza avendo sposato o avendo un'unione civile con un cittadino britannico. In questo caso, il richiedente deve aver vissuto nel Regno Unito per almeno tre anni e, negli ultimi tre, non deve aver trascorso più di 270 giorni fuori dal territorio nazionale;

    in Spagna, infine, il presupposto generale per poter richiedere la cittadinanza per residenza si basa sulla possibilità di dimostrare di essere residenti in Spagna regolarmente da almeno dieci anni, continuativamente. Ma vi sono numerose ed importanti eccezioni che riducono sensibilmente i tempi;

    ad esempio, coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato possono fare domanda dopo cinque anni di permanenza in Spagna, mentre coloro che sono nati in determinati Paesi possono fare domanda dopo soli due anni di residenza;

    appare particolarmente significativa la fattispecie che consente, tra l'altro, a chi sia nato in territorio spagnolo di richiedere la cittadinanza dopo solo un anno di residenza;

    questo breve confronto con alcuni Paesi europei evidenzia come di fatto la situazione più complessa sia proprio quella italiana, sia per quel riguarda i tempi di residenza nel Paese sia per quel che riguarda l'ampia discrezionalità della pubblica amministrazione che anche quando fornisce le motivazioni per il rigetto, si limita sovente ad una sintesi eccessiva e che di fatto non chiarisce le motivazioni del rifiuto;

    ad esempio, non appare sempre chiaro su cosa si basi la valutazione circa l'esistenza di un'avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poter affermare la sua appartenenza effettiva alla comunità nella quale vive. Soprattutto perché questo esame e le relative decisioni sono in capo ad un'autorità, il Ministero dell'interno, che ben difficilmente può decidere su ogni singolo caso con la dovuta attenzione, trattandosi di un'autorità posta troppo in alto nella scala gerarchica e troppo lontana per sua natura dalle persone interessate;

    ai comuni, che sono, invece, l'ente più di prossimità per le persone e che hanno di norma anche maggiore conoscenza della realtà locale rispetto ad un centro lontano, sono confinati a ruoli residuali;

    si tratta di un paradigma che andrebbe rovesciato, mettendo al cento, appunto, il ruolo dei comuni, enti di prossimità più efficaci nella valutazione delle domande e delle situazioni ad esse sottese, in un'ottica di decentramento amministrativo particolarmente auspicabile sia in ottica di maggiore rapidità delle procedure, sia anche per quel che riguarda la chiarezza delle decisioni;

    si ritiene, quindi, che andrebbe delegato il sindaco del comune dove è stata fatta la domanda di cittadinanza sia per quel che riguarda la ricezione della domanda sia anche per la predisposizione della relativa istanza da inviare al Presidente della Repubblica, ancorandosi, così, ad un principio di territorialità con procedure più efficaci e sicure;

    è necessario intervenire anche per ridurre i tempi di residenza in Italia previsti attualmente per poter richiedere la cittadinanza: infatti, appare evidente che il periodo di dieci anni, praticamente unico nella sua rigidità almeno per quel che riguarda i maggiori Paesi d'Europa, del tutto eccessivo, e non si giustifica nell'ottica di consentire un'integrazione effettiva nella comunità che diverrà quella della persona straniera;

    non è, inoltre, accettabile la pretesa che il richiedente la cittadinanza garantisca una specie di cauzione di sé stesso, dovendo dimostrare di avere un reddito tale da potersi mantenere. Questa pretesa, tra l'altro, colpisce i più fragili, i minori, che ben difficilmente possono garantire un reddito, e che in realtà nemmeno lo devono, essendo impegnati di norma nello studio e nella formazione;

    proprio i minori sono, invece, coloro che devono essere aiutati maggiormente in un processo virtuoso d'inclusione che non può avere alla base che la scuola e l'istruzione in generale, nel vero senso che si deve dare all'espressione «ius culturae»;

    infatti, l'istruzione, la cultura, la scuola, sono gli elementi fondamentali di ogni sana inclusione, in quanto insegnano non solo nozioni (fondamentali ovviamente) ma anche il rispetto delle diverse culture, la conoscenza degli altri e di se stessi, il senso di comunità. Per questo è lo Stato, in collaborazione con le regioni e gli altri enti locali, che deve agire per garantire un'adeguata offerta formativa volta alla conoscenza della lingua e delle istituzioni italiane, oltre che riconoscere tutte quelle iniziative che sono volte a sostenere il processo d'integrazione linguistica e sociale;

    lo «ius soli» e lo «ius culturae» non sono tra loro in contraddizione, ma anzi possono rafforzarsi l'un l'altro. Ad esempio, potrebbe ottenere automaticamente la cittadinanza italiana il minore straniero nato in Italia o che risieda nel nostro Paese da un certo numero di anni, e che abbia frequentato almeno per cinque anni uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale d'istruzione, o fattispecie analoghe che siano volte, appunto, alla formazione e all'integrazione culturale del giovane italiano di nuova generazione;

    appare, invece, francamente inaccettabile proseguire su una visione meramente economica dell'integrazione, con, appunto, la sopra ricordata pretesa di una garanzia di reddito da parte del richiedente, a monte della procedura di naturalizzazione, ma anche per l'intollerabile balzello imposto ai richiedenti la cittadinanza, che deve essere evitato quantomeno per le richieste che riguardano i minori;

    si fa, tra l'altro notare che la concessione o il rinnovo del permesso di soggiorno, i cittadini stranieri residenti in Italia versano allo Stato italiano somme considerevoli, come evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo n. 5-02285 presentato il 18 aprile 2024 e nel quale si evidenziava come esempio che nel 2012 l'ammontare complessivo delle imposte dovuto ad immigrati era pari a 182.750.072 milioni di euro (fonte Ministero dell'interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale dell'immigrazione e della Polizia di frontiera);

    non è dunque immaginabile introdurre una specie di «ius pecuniae», analogo a quello messo in atto in un recente passato da Paesi dell'Unione europea, e che consentiva a chi era in grado di pagare di acquisire la cittadinanza senza troppi intralci burocratici, mentre coloro che non avevano abbastanza risorse si trovavano sottoposti a vincoli ingiustificati in una sorta di inaccettabile divisione tra richiedenti di «serie A» e di «serie B»;

    lo «ius soli» e lo «ius culturae» sono, invece, come detto, le fondamenta sulle quali basarsi per un cambiamento reale e volto all'inclusione effettiva di chi è nato e vive in quello che oggi è il suo Paese. Il principio deve essere quello di collegare cittadinanza e legalità di soggiorno, anche prescindendo dalla formale residenza, superando quelle difficoltà burocratiche che attualmente ostacolano l'integrazione;

    a maggior ragione deve essere previsto un sistema che consenta ai figli nati in Italia da genitore straniero ma nato nel nostro Paese, di essere di per sé cittadini italiani, essendo evidente il legame tra la persona e il territorio in cui nasce e cresce, evitando forme di ghettizzazione inaccettabili e pericolose;

    sono inoltre inaccettabili i tempi lunghi che di solito si accompagnano all'esame e alla eventuale accettazione delle domande di naturalizzazione, tempi che a volte fanno pensare più che ad un'inefficienza degli uffici demandati ad una specie di ostruzionismo latente ma concretamente operante;

    inaccettabile è anche l'attuale situazione che riguarda il riconoscimento della cittadinanza italiana per coloro che sono giunti in Italia da minori. Attualmente per questa specifica categoria viene applicato il criterio della naturalizzazione, che, però, espone molte e molti al rischio di non ottenere la cittadinanza qualora divengano maggiorenni durante l'iter che riguarda i propri genitori, dovendo, quindi, presentare istanza individualmente nonostante siano giunti in Italia in tenera età. Si tenga presente che al 31 agosto 2023, ultimo dato disponibile sul sito del Ministero dell'istruzione e del merito, le studentesse e gli studenti non di cittadinanza italiana erano nelle scuole italiane 894.624,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative, in particolare di carattere normativo, volte:

  a) a riconoscere la cittadinanza italiana per i minori nati nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è regolarmente soggiornante in Italia da almeno un anno al momento della nascita del figlio, senza legare questo criterio, valevole per i minori, alcun parametro reddituale ma solo territoriale e di stanzialità di almeno uno dei genitori e senza assoggettare il diritto alla cittadinanza per nascita sul suolo italiano a scadenze ma consentendo di esercitarlo in qualsiasi momento;

  b) a individuare modalità specifiche per il riconoscimento della cittadinanza per coloro che giungano in Italia da minori, riconoscendo la cittadinanza italiana a coloro che, soggetti all'obbligo scolastico, abbiano compiuto almeno un ciclo d'istruzione, ad esempio tre anni di scuola dell'infanzia, un ciclo di primaria, secondaria superiore, o di un percorso d'istruzione e formazione professionale, intendendo il compimento del ciclo in termini di frequenza del corso e non di rendimento;

  c) ad informare la disciplina e la sua applicazione al principio secondo il quale la concessione della cittadinanza è un incentivo per favorire l'inclusione sociale, lavorativa e orientata alla partecipazione attiva nelle proprie comunità territoriali, prevedendo, quindi, criteri più accessibili ed allineati alla maggioranza dei Paesi europei più significativi per quel che riguarda la popolazione e i flussi migratori per la concessione della cittadinanza;

  d) nell'ottica di cui all'impegno precedente, a semplificare le procedure di concessione della cittadinanza, prevedendo, tra l'altro, la riduzione del vincolo della residenza continuativa, rispettivamente a:

   1) cinque anni per lo straniero o la straniera non appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea;

   2) a tre anni se appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea;

   3) a due anni se riconosciuto come rifugiato, o persona cui è stata accordata la protezione sussidiaria (o analoghe) o se apolide;

  e) a rivedere il criterio della residenza continuativa anagrafica, semplificando le forme e i vincoli che attualmente sono spesso escludenti per coloro che, seppur stabili sul territorio italiano, abbiano avuto interruzioni involontarie dell'iscrizione all'anagrafe, riconoscendo altre forme per dimostrare la continuità della permanenza sul territorio italiano, quali ad esempio, certificazioni scolastiche e formative, contratti di lavoro, documentazione sanitaria, e altro;

  f) ad abrogare il contributo previsto attualmente per le pratiche di acquisizione della cittadinanza per i minori, commisurandolo ai costi comunque non superiori a quelli per il rilascio del passaporto per le pratiche di naturalizzazione, prevedendo, tuttavia, esenzioni/riduzioni/decontribuzioni per soglie reddituali Isee inferiori ai 15.000 euro annui;

  g) a predisporre, per quanto di competenza ed eventualmente anche in collaborazione con le regioni e gli altri enti locali, l'offerta formativa per i richiedenti la cittadinanza e volta alla conoscenza della lingua e delle istituzioni italiane, individuando e riconoscendo nel contempo quelle iniziative ed attività messe in atto a sostegno dell'integrazione linguistica e sociale degli stranieri;

  h) a procedere alla riorganizzazione, semplificazione ed accorpamento delle disposizioni di natura regolamentare in materia di cittadinanza, emanando un unico regolamento relativo in particolare alla disciplina dei procedimenti amministrativi, indicando i termini improrogabili dello stesso e prevedendo che, in caso di superamento dei termini sopra citati, la domanda di cittadinanza debba essere considerata accolta;

  i) a modificare la disciplina dell'acquisizione della cittadinanza da parte dei figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana eliminando in particolare l'attuale previsione della convivenza del minore con il genitore, sostituendola con la più razionale disposizione relativa alla non decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale;

  l) a disporre che, in coerenza con il principio dell'unità familiare, ai fini del conseguimento della cittadinanza da parte del figlio di chi ottiene la cittadinanza italiana, sia rilevante la minore età al momento della presentazione della domanda, anche qualora tale figlio, nel corso dell'iter di esame della domanda, sia divenuto maggiorenne;

  m) a disporre, per quanto di competenza, che siano demandati ai sindaci dei comuni nei quali sia stata presentata l'istanza di concessione della cittadinanza, tanto la ricezione dell'istanza stessa, quanto la predisposizione della relativa istanza da inviare al Presidente della Repubblica, per la concessione della cittadinanza, nell'ottica di un vero decentramento amministravo volto ad una maggiore efficienza ed efficacia ed ancorato al principio di territorialità;

  n) a riconoscere a tutti i minori nati in Italia, o con background migratorio, senza cittadinanza, inclusi i rifugiati e richiedenti asilo, il diritto di accesso alla pratica sportiva, garantendo altresì, per quanto di competenza, la possibilità di essere tesserati presso le federazioni sportive nazionali (Fsn) e di competere in tutti i campionati italiani, per evidente interesse sportivo confermato da un'apposita commissione Coni e di avere anche la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana nel caso in cui abbiano completato un ciclo scolastico di almeno cinque anni in Italia, ovvero almeno uno dei genitori sia nato in Italia (cosiddetto «doppio ius soli»), ovvero siano nati da genitori stranieri, dimostrando almeno un anno di residenza regolare di almeno uno dei genitori.
(1-00314) (Nuova formulazione)

Seduta del 16 settembre 2024

Intervento in discussione generale di Ouidad Bakkali e Paolo Ciani

Intervento in dichiarazione di voto di Ouidad Bakkali