24/07/2018
Sara Moretto
De Luca, Benamati, Bonomo, Gavino Manca, Mor, Nardi, Noja, Zardini, Berlinghieri
1-00025

La Camera,

   premesso che:

    negli ultimi anni si è assistito a un'inversione di tendenza rispetto alla delocalizzazione delle attività produttive e delle attività nelle catene globali del valore, testimoniata dalla crescita, sia in Italia che nei principali Paesi industrializzati a livello europeo ed internazionale, del fenomeno del (back) reshoring, ossia il ritorno delle imprese che avevano precedentemente delocalizzato i propri asset organizzativi ed industriali, attraverso la rilocalizzazione domestica (parziale o totale) di attività svolte all'estero (direttamente o presso fornitori);

    secondo l’Annual report 2017 dell'Osservatorio sulla ristrutturazione in Europa – European Reshoring Monitor (ERM) – il progetto pilota affidato dalla Commissione europea all'agenzia dell'Unione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro – Eurofound, che raccoglie in un database on line informazioni sui singoli casi di reshoring al fine di analizzarne l'impatto sull'occupazione in Europa – sia il numero dei casi di delocalizzazione che quello delle perdite di posti di lavoro a essi associate si sono sensibilmente ridotti nell'ultimo decennio e continuano a diminuire;

    secondo le analisi del gruppo di ricerca inter-ateneo Uni-Club MoRe Reshoring che raggruppa le Università dell'Aquila, Catania, Udine, Bologna e Reggio Emilia, nel periodo dal 2000 al 2015 l'Italia è risultata il primo Paese europeo e il secondo al mondo per decisioni di rientro di aziende nel territorio nazionale, con 121 casi su oltre 700 casi osservati;

    alla base dell'incremento del fenomeno della rilocalizzazione delle attività produttive precedentemente delocalizzate vi è una pluralità di fattori, che vanno dalle necessità del time-to-market alla logica del made in e al rapporto di «prossimità al cliente», ma che tuttavia pesano in maniera differente nelle varie aree geografiche;

    in particolare, spingono al reshoring le incertezze globali e le preoccupazioni legate alle interruzioni della catena di approvvigionamento (supply chain) che possono ancora rallentare gli investimenti per la delocalizzazione, l'aumento del costo della manodopera anche nei Paesi in via di sviluppo, i costi di trasporto e i tempi di consegna, la sempre maggiore digitalizzazione delle attività stesse, la possibilità di garantire qualità, ricerca, innovazione, controllo, autenticità e vicinanza al cliente, grazie a filiere e distretti che concentrano competenze e flessibilità che non si possono assicurare demandando i processi a stabilimenti lontani;

    per quanto riguarda l'Italia, secondo le analisi più recenti, tra i fattori alla base del reshoring della produzione dai Paesi in via di sviluppo, quelli più frequentemente riportati sono i vantaggi derivanti dalla possibilità di inserire il marchio «made in Italy» sui prodotti, seguiti dalla bassa qualità della produzione nei Paesi interessati, dalla necessità di prestare maggiore attenzione alle esigenze dei clienti, e poi da altri fattori quali la pressione sociale a produrre e fornire lavoro in Italia, il livello di competenze più elevato dei lavoratori italiani rispetto a quelli dei Paesi in via di sviluppo, la disponibilità di capacità produttiva non utilizzata a livello nazionale a seguito della crisi economica, la riduzione della differenza di costo del lavoro tra produzione nazionale ed estera e infine l'aumento dei costi di trasporto;

    non da ultimo nell'attrarre i più consistenti flussi di rilocalizzazione produttiva rileva il peso della digitalizzazione e della capacità di offrire maggior vantaggi sotto il profilo delle competenze, della vicinanza ai centri di ricerca, ai servizi e alla consulenza relativi alle tecnologie 4.0;

    per quanto riguarda i settori maggiormente interessati dal reshoring, il manifatturiero è quello più coinvolto;

    in particolare, in Italia, secondo i dati raccolti, i casi di ritorno in patria, totale o parziale, di produzioni che negli anni passati erano state esternalizzate, si concentrano nei settori economici riconducibili alla filiera del fashion, per lo più in ragione della crescente necessità per le aziende di produrre prodotti su misura, di alta qualità e, al contempo, consegnabili in tempi molto brevi;

    sul piano degli effetti, la rilocalizzazione si traduce direttamente nella creazione di nuovi posti di lavoro soprattutto nei casi di costruzione di nuovi impianti produttivi, ma comporta anche un aumento dell'occupazione creata con l'indotto, nei settori a monte (ad esempio, materiali e sostanze chimiche, nuove macchine per le lavorazioni ed altro) e nei settori a valle (ad esempio, legale, contabile e marketing);

    dai dati e dalle analisi effettuate emerge con chiarezza che il fulcro di qualunque azione volta ad attrarre consistenti flussi di rilocalizzazione produttiva e favorire lo sviluppo industriale del Paese e la creazione di posti di lavoro, è rappresentato dalle tecnologie 4.0 e dalle competenze e dai servizi ad esse collegati, che incrementano la qualità dei processi produttivi e il valore dei prodotti;

    nel quinquennio 2013-2018 i Governi a guida del Partito Democratico hanno adottato numerose misure volte a creare un ambiente favorevole allo sviluppo della produttività e del sistema imprenditoriale in Italia, sia nel quadro delle politiche per la ripresa e l'incentivazione degli investimenti, l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione delle imprese italiane, sia nel quadro delle politiche per la promozione del made in Italy e dell'attrazione degli investimenti in Italia;

    in particolare con il «Piano nazionale Impresa 4.0» (originariamente «Industria 4.0»), presentato nel 2016 e avviato nel 2017, sono state adottate misure per promuovere lo sviluppo tecnologico, l'innovazione e la digitalizzazione delle imprese italiane, la modernizzazione dei processi produttivi, nonché la formazione tecnologica e il rafforzamento delle competenze digitali, principalmente mediante la riduzione del carico fiscale sull'attività d'impresa;

    tale piano è stato ulteriormente rafforzato per il 2018 con uno stanziamento di circa 10 miliardi di euro finalizzato a: la proroga del superammortamento al 140 per cento per i beni strumentali già introdotto nel 2016 (130 per cento dal 1° gennaio 2018); l'iperammortamento al 250 per cento per gli investimenti in beni strumentali nuovi funzionali alla trasformazione in chiave 4.0; un superammortamento al 140 per cento per gli investimenti in software connessi agli investimenti 4.0; il rafforzamento del credito d'imposta per le attività in ricerca e sviluppo, con un'aliquota del 50 per cento e una spesa massima incentivabile di 20 milioni di euro per contribuente; il miglioramento della policy delle startup e delle piccole e medie imprese innovative; la costituzione di Digital innovation hub e competence center per sensibilizzare le imprese e fornire adeguata formazione; l'introduzione del programma «Formazione 4.0», grazie al quale le imprese possono godere di un credito d'imposta del 40 per cento sulle spese di formazione del personale in attività 4.0;

    la legge di bilancio per il 2018, legge n. 205 del 2017, ai commi da 40 a 42, ha disposto inoltre il rifinanziamento della cosiddetta «nuova Sabatini», misura di sostegno volta alla concessione alle micro, piccole e medie imprese di finanziamenti agevolati per investimenti in nuovi macchinari, impianti e attrezzature, compresi i cosiddetti investimenti «Industria 4.0»;

    il decreto-legge n. 193 del 2016 (decreto cosiddetto «fiscale»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 225 del 2016, ha previsto il rifinanziamento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, con un focus sulla copertura degli investimenti per il piano Industria 4.0;

    nel quinquennio 2013-2018, sono state adottate anche una serie di misure che stimolano lo sviluppo del sistema produttivo sul territorio nazionale nel quadro delle politiche per la promozione del made in Italy e dell'attrazione degli investimenti in Italia: in particolare, il piano straordinario, adottato nel 2015 per il triennio successivo e da ultimo prorogato e rifinanziato con la legge di bilancio per il 2018 per il periodo 2018-2020, ha definito azioni specifiche per la valorizzazione delle produzioni di eccellenza, dei marchi e delle certificazioni di qualità e origine delle imprese e dei prodotti, nonché per la promozione delle opportunità di investimento e l'assistenza degli investitori esteri in Italia;

    nell'ambito del piano operativo «Imprese e competitività» del fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, il Cipe ha recentemente destinato 200 milioni di euro alla costituzione di un fondo di investimento mobiliare di tipo chiuso riservato, da parte dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa s.p.a. – Invitalia, avente la finalità di prevenire fenomeni di cessazione delle attività e di delocalizzazione produttiva, attraverso interventi di sostegno agli investimenti e all'occupazione che favoriscano la transizione di grandi imprese e complessi industriali di rilevante dimensione caratterizzati da gravi crisi finanziarie e produttive;

    a livello europeo, coerentemente con «Europa 2020 – Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva», che è il quadro di riferimento per il decennio in corso per le attività a livello dell'Unione europea, nazionale e regionale, e che ha posto l'accento sulla necessità di un'economia europea non solo più competitiva, ma anche in grado di assicurare alti livelli di occupazione e coesione sociale e territoriale, sono state adottate politiche finalizzate alla reindustrializzazione dell'Unione europea e, in particolare, del settore manifatturiero, come da ultimo ribadito nella nuova «Strategia di politica industriale dell'Unione europea (COM(2017)479)», attraverso un'azione multilivello e l'utilizzo sia a livello nazionale che regionale dei fondi strutturali e di investimento europei e di altri programmi di finanziamento (come «Horizon 2020», il programma quadro dell'Unione europea per la ricerca e l'innovazione relativo al periodo 2014-2020),

impegna il Governo:

1) a favorire la rilocalizzazione delle imprese attraverso politiche di sistema che operino per creare un sistema-Paese sempre più favorevole alla nascita e allo sviluppo di impresa, innovativa e di qualità, e al ritorno di quella delocalizzata, in maniera da consentire all'Italia di continuare ad essere un elemento forte e importante nel quadro mondiale delle economie di produzione;

2) a proseguire e rafforzare il percorso già tracciato con il piano «Impresa 4.0», in particolare assumendo iniziative per rifinanziare l'iperammortamento e il superammortamento, la «nuova Sabatini», il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese per non bloccare gli investimenti e per rendere permanente il credito per la formazione 4.0, con il piano made in Italy e con il fondo per la reindustrializzazione, anziché limitarsi a contrastare le delocalizzazioni tout court attraverso strumenti che rischiano di rivelarsi inefficaci e anacronistici;

3) a promuovere, nel solco delle strategie e dei programmi europei per la reindustrializzazione, iniziative a livello europeo volte a favorire la rilocalizzazione delle imprese, per assicurare una crescita inclusiva;

4) ad adottare, nel quadro delle politiche di coesione, azioni finalizzate alla crescita del tessuto produttivo e delle opportunità occupazionali in tutto il territorio nazionale;

5) a proseguire nell'azione di rafforzamento del tessuto imprenditoriale operante sul territorio italiano delineata dal piano straordinario per la promozione del made in Italy e dell'attrazione degli investimenti in Italia;

6) ad adottare iniziative per implementare la digitalizzazione e la semplificazione della pubblica amministrazione, riducendo gli adempimenti a carico delle imprese e dei cittadini e accelerando le procedure burocratiche.

Seduta dell'11 settembre 2018