La Camera,
premesso che:
un Paese che non riesce a riconoscere il dovuto ruolo della donna nella società, nell'economia e nelle istituzioni, oltre a perpetrare una ingiustificabile discriminazione che ne frustra le legittime aspirazioni e potenzialità – è ormai dimostrato da innumerevoli studi e ricerche – rinuncia a uno sviluppo equilibrato e inclusivo, nonché a ingenti quote di ricchezza nazionale che, secondo la Banca d'Italia, arrivano fino a 7 punti percentuali di Pil;
nel contesto europeo, il tasso di occupazione femminile in Italia risulta essere – secondo dati relativi al quarto trimestre 2022 – quello più basso tra gli Stati dell'Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media Ue: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55 per cento, mentre il tasso di occupazione medio UE è stato pari al 69,3 per cento. Il recente dato dell'aprile 2024 di limitato incremento dell'occupazione femminile nella fascia di età 15-64 anni, con un 53,4 per cento, non sembra certo il prologo per una inversione di tendenza, anche in considerazione del fatto che, in numeri assoluti, si registrano 13.781 mila occupati maschi a fronte di 10.194 mila lavoratrici, con un divario occupazionale di 18 punti percentuali;
in Germania il tasso di occupazione femminile è al 77,4 per cento, in Francia, al 71,7 per cento, ma anche in Spagna è superiore di quasi dieci punti percentuali a quello italiano e con divari che si fermano al 7,7 per cento in Germania, al 5,5 per cento in Francia e al 10,2 per cento in Spagna;
per di più, secondo Eurostat 2024, una donna su cinque presenta le proprie dimissioni dopo la nascita del primo figlio. Quasi la metà delle dimissioni presentate nel 2022 (il 42 per cento) è collegata apertamente alle difficoltà di svolgere il lavoro di cura a causa dell'assenza di adeguati servizi per la prima infanzia e il 22 per cento a problemi legati all'organizzazione del lavoro, secondo quanto riferito dall'ispettorato nazionale del lavoro;
inoltre, in Italia, alla maternità è associata una forte perdita salariale per le donne, la difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro e minori possibilità di progressioni di carriera. Tale effetto, conosciuto come «child penalty», si traduce in cifre allarmanti: nel lungo periodo la perdita dei salari annuali delle lavoratrici madri determinata dalla nascita di un figlio è pari al 53 per cento, dovuto per il 6 per cento alla riduzione del salario settimanale, per l'11,5 per cento all'accesso a rapporti di lavoro a tempo parziale e per il 35,1 per cento al minor numero di settimane retribuite (secondo i dati del 2020 dell'Istituto nazionale della previdenza sociale);
come lucidamente chiarito dal Presidente della Repubblica, in occasione del recente messaggio inviato all'11a edizione dell'iniziativa «il tempo delle donne», «Il divario del quasi 20 per cento tra occupazione maschile e femminile costituisce un punto critico di sistema: ogni sforzo va compiuto per ridurlo sempre di più. Il lavoro è anche libertà, dignità e riscatto. Nei rapporti di lavoro occorre rispettare i diritti di parità e di eguaglianza, previsti dalla nostra Costituzione. Ancor oggi nel lavoro femminile sono presenti ostacoli, rallentamenti e disparità, per l'accesso, nella retribuzione, nella progressione di carriera, negli incarichi di vertice. Le barriere possono alzarsi fino a giungere a inaccettabili e odiose discriminazioni: licenziamenti, dimissioni in bianco, pressioni indebite, persino forme di stalking e di violenza, fisica o psicologica. Il rispetto delle norme e dei diritti va assicurato anche attraverso una vigilanza ferma ed efficace.»;
sul tema della parità salariale il Parlamento ha compiuto un significativo passo in avanti approvando la legge n. 102 del 2021, legge sulla parità salariale e di opportunità sul luogo di lavoro, in linea con le finalità della successiva direttiva (UE) 2023/970. Con tale misura si introducono disposizioni volte a sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a favorire la parità retributiva tra i sessi, con l'obiettivo di ridurre la differenza di salario tra donne e uomini, e far emergere ogni discriminazione, anche indiretta, in ambito lavorativo, fornendo concretezza ai principi di equità già sanciti dalla Costituzione e dalla «legge Anselmi» del 1977 (legge 9 dicembre 1977, n. 903, «Parità, di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro»);
il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta una grande occasione per intervenire sulle disuguaglianze e sul gender gap: le proposte del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevedono la digitalizzazione, l'innovazione, la competitività e la cultura, ovvero la promozione di posizioni dirigenziali di alto livello e incentivi per il corretto bilanciamento tra vita professionale e vita privata; investimenti nell'imprenditoria femminile digitale; un piano asili nido e di estensione del tempo pieno per semplificare la gestione della cura famigliare e l'occupazione femminile, uno specifico investimento nell'imprenditoria femminile, soprattutto nelle aree più critiche per la crescita professionale delle donne. In più, sono previste azioni per l'autonomia delle persone disabili che avranno effetti indiretti sull'occupazione femminile, nonché il rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto domiciliare;
il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto, inoltre, un investimento significativo per le giovani donne, che beneficeranno di progetti nei campi dell'istruzione e della ricerca, come pure dello stanziamento di risorse per l'estensione del tempo pieno scolastico e per il potenziamento delle infrastrutture sportive (a tal proposito, è promossa l'attività motoria nella scuola primaria, in funzione di contrasto alla dispersione scolastica), nonché la previsione di una clausola di condizionalità per l'assunzione di almeno il 30 per cento di donne e giovani. In tale prospettiva, appare più che criticabile la decisione del taglio dei fondi del PNRR riguardo il target finale degli asili nido e delle scuole dell'infanzia previsti dal precedente Governo Draghi, riducendo, difatti, sia il numero da 264.480 a 150.480 di posti e operando un taglio di 900 milioni destinati all'avvio della gestione del servizio di prima infanzia. Anche il successivo decreto del ministro dell'istruzione e del merito per un nuovo Piano per gli asili nido del valore di 734,9 milioni di euro, che, in linea con gli obiettivi del PNRR, punta a incrementare i posti degli asili nido, non compensa il taglio fatto a valere sulle risorse del PNRR di 1,3 miliardi di euro;
a livello internazionale va ricordata la Convenzione 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro in questo contesto normativo, approvata dall'organizzazione internazionale del lavoro nel giugno 2019, con la quale si stabilisce l'obbligo di adottare misure normative coerenti con la constatazione «che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani e che la violenza e le molestie rappresentano una minaccia alle pari opportunità e che sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso». A fronte di tali problematiche, la Convenzione ha, altresì, proposto l'adozione un approccio inclusivo, integrato e in una prospettiva di genere, che intervenga sulle cause all'origine e sui fattori di rischio, ivi compresi stereotipi di genere, forme di discriminazione multiple e interconnesse e squilibri nei rapporti di potere dovuti al genere;
tra i fattori che maggiormente incidono in negativo sulla condizione delle donne lavoratrici si segnala certamente l'incidenza del lavoro precario e del part-time involontario, fenomeni che vedono coinvolti maggiormente proprio le donne e i giovani, con particolare riguardo per quelle che vivono nelle regioni del Sud. Il contrasto alla precarietà e la promozione della buona e stabile occupazione rappresentano uno degli obiettivi prioritari per il miglioramento della condizione delle lavoratrici italiane;
un lavoro precario, discontinuo e sottopagato precostituisce la condizione per una prospettiva pensionistica di povertà, a fronte della quale le misure adottate dal Governo non solo non rappresentano una opportunità reale, ma addirittura ne peggiorano il quadro. Basti pensare alla pressoché eliminazione di «opzione donna» o all'introduzione di «quota 103» con l'applicazione integrale del calcolo contributivo, che non costituisce alcuna concreta opportunità di uscita anticipata per le donne;
sul piano salariale va ricordato che dai recenti lavori del Forum Ambrosetti si sia stato evidenziato come l'introduzione del salario minimo legale in Germania abbia ridotto il gender pay gap tra uomini e donne. Una valutazione confermata dall'Osce che ha dimostrato come l'introduzione del salario minimo abbia aiutato Paesi come Germania, Francia e Spagna nella fase della crescita inflazionistica, mettendo al riparo il potere di acquisto, soprattutto, dei lavoratori più fragili quali le donne;
l'articolo 3, comma 1, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 dicembre 2020, ha introdotto il «reddito di libertà», destinato alle donne vittime di violenza, senza figli o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, al fine di contribuire a sostenerne l'autonomia; la legge di bilancio per il 2024 legge 30 dicembre 2023, n. 213, al fine di incrementare la misura ha incrementato di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026 e di 6 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2027 il Fondo di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248;
per quanto concerne la condivisione dei carichi familiari, soprattutto nei primi mesi di vita dei figli, appare sempre più urgente l'introduzione della misura del congedo paritario e non trasferibile di almeno cinque mesi, come strumento per sostenere le donne e la loro carriera professionale e, al tempo stesso, garantire agli uomini la possibilità di essere più vicini ai propri figli. Un concreto supporto per contrastare la crisi della natalità, favorire l'occupazione femminile e redistribuire il carico di cura dentro le famiglie,
impegna il Governo
1) ad assumere le necessarie iniziative di competenza, anche di carattere normativo, al fine di favorire l'implementazione della normativa in materia di parità salariale di genere e la trasparenza retributiva, in linea con quanto disposto dalla legge 5 novembre 2021, n. 162, anche prevedendo un'estensione incentivata dell'applicazione alle imprese fino a 20 dipendenti, nonché dalla direttiva (UE) 2023/970;
2) ad adoperarsi affinché sia tempestivamente presentata alle Camere la relazione ai sensi dell'articolo 20, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in merito ai risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, nonché per rendere accessibili i dati relativi ai Rapporti sulla situazione del personale presentati dalle aziende, ai sensi dell'articolo 46 del medesimo decreto legislativo;
3) ad adottare un vero a proprio piano per incrementare l'occupazione femminile, con particolare riguardo nelle aree interne e del Mezzogiorno;
4) ad avviare un concreto e tempestivo confronto con le parti sociali realmente rappresentative, volto a definire una nuova strategia in materia di lavoro nel nostro Paese, che metta al centro la buona e stabile occupazione e il contrasto a ogni forma di precarietà attraverso una vera e propria, «bonifica» normativa delle diverse forme di precarietà che colpiscono con particolare riguardo le donne e ai giovani;
5) ad adottare iniziative volte a introdurre significative modifiche al quadro normativo in materia previdenziale, al fine di assicurare appropriate condizioni di accesso al trattamento pensionistico per le donne, ripristinando integralmente l'istituto originario di «opzione donna», così come disciplinato nel 2004 dall'allora Ministro Maroni, nonché prevedendo il riconoscimento del lavoro di cura per le lavoratrici, attraverso una riduzione del requisito anagrafico per l'accesso alla pensione di vecchiaia di dodici mesi per ogni figlio, nel limite massimo di tre anni;
6) ad assumere iniziative normative volte a prevedere, già in occasione del prossimo disegno di legge di bilancio, l'introduzione di un congedo paritario di almeno 5 mesi, pagato al 100 per cento per entrambi i genitori, non trasferibile, così come positivamente praticato in altri Paesi UE;
7) a favorire, con la massima sollecitudine, ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, volta a dare piena e tempestiva attuazione ai principi e alle finalità della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, così come agli indirizzi espressi dalla Corte di cassazione, introducendo anche nel nostro ordinamento il riconoscimento alle lavoratrici e ai lavoratori di ciascun settore economico del salario minimo legale, coincidente con il trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Un trattamento salariale in grado di garantire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e ad assicurare alle lavoratrici e ai lavoratori e alle relative famiglie un'esistenza libera e dignitosa;
8) a monitorare e a garantire, per quanto di competenza, che le missioni e le modalità di attuazione indicate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza per la parità di genere e volte alla eliminazione del gender gap, come, a esempio, la clausola del 30 per cento, siano applicate concretamente in tutti i campi di azione indicati in premessa, nonché a individuare le opportune risorse per ripristinare le condizioni per realizzare l'obiettivo dei 264.480 posti negli asili nido;
9) ad assumere le necessarie iniziative anche di carattere normativo volte a dare piena attuazione alla Convenzione approvata dall'Organizzazione internazionale del lavoro nel giugno 2019, la Convenzione n. 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, che ha sancito l'obbligo di adottare misure normative coerenti con la constatazione «che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani e che la violenza e le molestie rappresentano una minaccia alle pari opportunità e che sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso», introducendo nel nostro ordinamento la fattispecie di reato di molestia sessuale, nonché tese a mettere in campo strategie efficaci volte a prevenire e perseguire ogni forma di violenza e molestia sul luogo di lavoro anche dotandosi di Linee Guida per la predisposizione di appositi protocolli volti prevenire e ad affrontare adeguatamente le molestie sul luogo di lavoro;
10) ad adottare iniziative volte a garantire adeguati stanziamenti finanziari per le case rifugio e per i centri antiviolenza, nonché per gli sportelli dedicati alle vittime di reati violenti, semplificando, velocizzando e rendendo stabile il percorso dei finanziamenti stessi, verificando l'effettiva erogazione ai centri antiviolenza e alle case rifugio attraverso un sistema di monitoraggio più efficace anche al fine di assicurare una loro adeguata distribuzione in tutto il territorio nazionale;
11) a garantire annualmente con tempestività la distribuzione dei fondi per il reddito di libertà alle regioni, assicurando che tale misura sia fruibile da tutte le donne inserite nei percorsi di uscita dalla violenza che ne facciano richiesta.