27/02/2020
Laura Boldrini
Ascari, Boschi, Muroni, Giannone, Bruno Bossio, Sarli, Gribaudo, Martinciglio, Prestipino, Spadoni, Cenni, Ciampi, Incerti, De Giorgi, Pezzopane, Deiana, Giordano, Occhionero, Ciprini, Casa, Benedetti, D'Arrando, Palmisano, Madia, Schirò, Mura, Zan, Gebhard, Emanuela Rossini
1-00334

La Camera,

   premesso che:

    secondo il Global Gender Gap Report 2020 del World Economie Forum (WEF), la parità tra uomini e donne a livello globale, in assenza di radicali cambiamenti, non sarà raggiunta prima di un centinaio di anni;

    il mondo in cui si vive continua pertanto a proporre persistenti divari tra uomini e donne, sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista economico;

    negli ultimi anni, nel nostro Paese, la questione di genere è stata affrontata con numerosi provvedimenti legislativi intervenuti sia sugli aspetti culturali, come l'inserimento dell'educazione alla parità tra i sessi nelle scuole o il congedo obbligatorio per i padri, sia sugli aspetti civili come il divorzio breve. Importanti misure sono state adottate per il sostegno alla maternità (bonus bebé, voucher per baby sitter o asili nido, dimissioni in bianco), così pure per la parità di genere nella rappresentanza, e per il contrasto al femminicidio e il sostegno delle vittime di violenza;

    purtuttavia, si riconosce che la strada è ancora lunga, restano nodi da sciogliere e ostacoli da superare, ma la si sta percorrendo nell'assoluta convinzione che solo quando la parità sarà pienamente raggiunta si potrà definire l'Italia un Paese civile e maturo a tutti gli effetti;

    il nostro Paese, sulla base dell'ultimo report sul gender gap del Wef, si colloca ancora al 76° posto su 153 Paesi della classifica mondiale;

    tale posizione è dovuta a molteplici fattori. Uno di questi si rinviene nella scarsa rappresentanza femminile nei ruoli emergenti, in quanto, anche laddove le donne siano professionalmente adeguate per dei ruoli, non sono sufficientemente rappresentate. Le donne manager in Italia sono, infatti, solo il 27 per cento dei dirigenti: un valore molto al di sotto di quello medio europeo (33,9 per cento). Non solo le donne sono sottorappresentate nelle posizioni apicali, ma quando lavorano spesso svolgono mansioni per cui sarebbe sufficiente un titolo di studio più basso di quello che possiedono. Del resto, il 48,2 per cento degli italiani è convinto che le donne, per raggiungere gli stessi traguardi degli uomini, debbano studiare più di loro (Censis, 21 novembre 2019);

    tornando al Global Gender Gap Report, sull'Italia pesa anche la differenza salariale fra uomini e donne a parità di livello e di mansioni. E più le donne studiano, più aumenta il divario: se un laureato guadagna il 32,6 per cento in più di un diplomato, una laureata guadagna solo il 14,3 per cento in più;

    la situazione dell'Italia, alla luce dei dati forniti dal Wef, riflette ancora una ripartizione di ruoli tradizionale. Il Paese, infatti, risale posti in classifica sul fronte dell'istruzione, dove si colloca al 55esimo posto in tema di partecipazione delle donne, ma crolla al 117esimo quando si parla di inclusione economica, e addirittura al 125esimo se ci si confronta in equiparazione salariale;

    la Commissione lavoro della Camera ha avviato, sul tema della parità salariale, dell'occupazione e dell'imprenditoria femminile, l'esame di alcune proposte di legge che intervengono sulla materia e delle quali si auspica una rapida approvazione;

    sempre secondo il Censis, in Italia le donne che lavorano sono il 42,1 per cento degli occupati complessivi. Con un tasso di attività femminile del 56,2 per cento (rispetto al 75,1 per cento di quella maschile) si è all'ultimo posto tra i Paesi europei. Per le giovani donne la situazione è drammatica. Nell'ultimo anno il tasso di disoccupazione in Italia è pari all'11,8 per cento per le donne e al 9,7 per cento per gli uomini. Ma tra le giovani di 15-24 anni si arriva al 34,8 per cento, mentre per i maschi della stessa età si ferma al 30,4 per cento. In questo caso è abissale la distanza con l'Europa, dove il tasso medio di disoccupazione giovanile per le donne è del 14,5 per cento;

    la situazione peggiora quando arrivano i figli, stanti le difficoltà a conciliare i tempi di lavoro e quelli della famiglia. Per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono ancora oggi due percorsi paralleli e spesso incompatibili. In Italia l'11,1 per cento delle madri con almeno un figlio non ha mai lavorato. Un dato che è quasi tre volte la media dell'Unione europea, pari al 3,7 per cento. Il tasso di occupazione delle madri tra 25 e 54 anni che si occupano di figli piccoli o parenti non autosufficienti è del 57 per cento a fronte dell'89,3 per cento dei padri. Ma a guardare bene lo spaccato per livello di educazione, il divario è davvero notevole fra l'80 per cento del tasso di occupazione delle laureate e il 34 per cento di coloro che hanno la terza media o meno ancora, secondo i dati diffusi dall'Istat dal titolo «Conciliazione tra lavoro e famiglia/Anno 2018», pubblicato a metà novembre;

    la difficoltà di conciliare famiglia e lavoro emerge dalla preponderanza femminile nei lavori part-time: una donna occupata su tre (il 32,4 per cento, cioè più di 3 milioni di lavoratrici) lavora part time a fronte dell'8,5 per cento degli uomini. Lungi dal rappresentare una forma di emancipazione e una libera scelta, il lavoro a tempo parziale è subito per mancanza di alternative da circa 2 milioni di lavoratrici (è involontario per il 60,2 per cento delle donne che hanno un impiego part time). Del resto, il 63,5 per cento degli italiani riconosce che a volte può essere necessario o opportuno che una donna sacrifichi parte del suo tempo libero o della sua carriera per dedicarsi alla famiglia (Censis, 21 novembre 2019);

    il riconoscimento della parità di genere non è solo una questione di diritti, ma anche un investimento per il sistema Paese. Ad affermarlo è anche il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, che ha evidenziato come «negli ultimi 20 anni numerosi studi, inclusi quelli prodotti in Banca d'Italia, hanno messo in luce i molteplici benefici che derivano da una maggiore presenza e una più piena valorizzazione del contributo delle donne nell'economia e nella società», aggiungendo che «il raggiungimento della parità di genere nel mercato del lavoro è ancora lontano»;

    la cosiddetta legge Golfo-Mosca, da ultimo modificata con la legge di bilancio che ha portato, per le società quotate in borsa, la quota da riservare al genere meno rappresentato da un terzo (33 per cento) a due quinti (40 per cento), ha fatto sì che la percentuale di donne nei board delle società quotate italiane salisse al 36,4 per cento. Tuttavia, non ha avuto un impatto significativo, neanche indiretto, sull'aumento della percentuale femminile nel management;

    la questione della parità salariale ed economica tra uomo e donna diventa ancor più prioritaria nei casi di violenza domestica. Nel processo di fuoriuscita dalla violenza, le donne che denunciano dispongono di scarsi strumenti – in termini di welfare – a sostegno del loro percorso di libertà e autonomia. Fatto che, sovente, le obbliga a tornare dal partner violento per l'impossibilità di far fronte alle difficoltà economiche;

    una forma di violenza molto diffusa e difficile da riconoscere, esplicitamente citata nella Convenzione di Istanbul, è la violenza economica. Una delle ragioni per cui le donne faticano a denunciare violenze subite nello stesso ambito familiare sono le difficoltà economiche legate a percorsi di fuoriuscita dalla relazione, soprattutto quando il partner detiene il potere economico e sociale e il controllo completo sulle finanze e sulle risorse familiari, cosicché molte donne, se denunciano il partner violento e lasciano la relazione, rischiano di ritrovarsi senza una casa, senza risorse economiche, impossibilitate alla riorganizzazione materiale della propria vita, con la paura che le difficoltà economiche possano incidere anche nel rapporto con i figli;

    ancora troppe sono le donne vittime di violenza e anche il luogo di lavoro spesso diventa il luogo di molestie e discriminazioni. Si stima che siano il 43,6 per cento le donne fra i 14 e i 65 anni che nel corso della vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale. E la percezione della gravità delle molestie fisiche subite è molto diversa tra i generi: il 76,4 per cento delle donne le considera molto o abbastanza gravi contro il 47,2 per cento degli uomini (Istat, Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro, 13 febbraio 2018);

    per questo è importante che si proceda alla ratifica della Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro contro la violenza e le molestie nei luoghi di lavoro;

    nell'ultimo rapporto sull'Italia redatto da Grevio, organo del Consiglio d'Europa che valuta come gli Stati applicano la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne, si dà conto delle permanenti resistenze nei confronti di una piena attuazione della parità di genere;

    il rapporto esprime tutta la sua preoccupazione per «l'emergere di una tendenza a reinterpretare le politiche d'uguaglianza tra i sessi come politiche della famiglia e della maternità», trascurando tutta un'altra sfera della parità nel lavoro, o nella vita sociale;

    nell'analisi del Consiglio d'Europa, secondo Grevio, la scuola italiana non fa abbastanza per colmare il gender gap: «Molte scuole subiscono crescenti pressioni perché rinuncino a condurre attività educative sul tema, ma anche a livello di ricerca universitaria esiste una delegittimazione degli studi sulle questioni di genere, mentre a livello locale alcune città hanno “censurato” eventi che si dovevano tenere in biblioteche pubbliche e miravano ad accrescere la consapevolezza sulle questioni di genere». L'organismo del Consiglio d'Europa interviene inoltre sul cosiddetto disegno di legge Pillon in materia di affido condiviso e mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità sostenendo che «Se fosse stato approvato questo disegno di legge avrebbe comportato gravi regressioni nella lotta contro le disuguaglianze tra i sessi»;

    molti passi avanti sono però stati fatti: il rapporto mette anche in evidenza provvedimenti e misure che considera esempi a cui altri Paesi potrebbero addirittura ispirarsi: la legge n. 80 del 2015 che dà alle donne vittime di violenza speciali congedi dal lavoro; la legge n. 4 del 2018 per gli orfani delle vittime di femminicidio, così pure l'istituzione della Commissione d'inchiesta sul femminicidio al Senato viene considerata «lodevole»;

    purtroppo, la violenza sulle donne rimane una drammatica realtà. In vista della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il 12 novembre 2019 è stata approvata dalla Camera dei deputati una mozione in cui, pur riconoscendo i numerosi passi avanti sul tema, grazie all'adozione di un complessivo quadro giuridico che interviene in tema di violenza sia dal punto di vista dell'educazione sia della prevenzione, del supporto e della punizione, si è impegnato il Governo ad adottare tutte le ulteriori e necessarie iniziative per proseguire lungo la strada intrapresa;

    il problema, come rileva l'Istat, è anche di tipo culturale. Nell'ultimo rapporto si dà conto dei più diffusi stereotipi di genere in cui si riconosce il 58,8 per cento della popolazione (di 18-74 anni), senza particolari differenze tra uomini e donne, e diventano più diffusi al crescere dell'età (65,7 per cento dei 60-74enni e 45,3 per cento dei giovani) e tra i meno istruiti. Per il 10,3 per cento della popolazione spesso le accuse di violenza sessuale sono false (più uomini, 12,7 per cento, che donne, 7,9 per cento); per il 7,2 per cento «di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì», per il 6,2 per cento donne serie non vengono violentate;

    per aiutare a superare tali stereotipi, appare con ogni evidenza un punto di snodo imprescindibile quello di valorizzare le presenze femminili a ogni livello: strategico è, dunque, lo scenario pubblico, in tutte le sue varie declinazioni, iniziando dal mondo dei mass-media, specie per quanto riguarda l'aspetto della rappresentazione dell'immagine della donna;

    fondamentale risulta, inoltre, un'educazione scolastica che non trasmetta l'immagine stereotipata della donna, a partire dai testi scolastici adottati,

impegna il Governo:

1) a rafforzare le iniziative per la parità tra i sessi e per i diritti delle donne, anche a prescindere dalle politiche per la famiglia e la maternità;

2) ad adottare ogni iniziativa utile per favorire l'accesso e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro, elemento fondamentale per la crescita del Paese;

3) a sostenere, in ogni sede, le iniziative volte a garantire la parità di genere nelle retribuzioni e nelle carriere;

4) a rafforzare strategie volte a prevenire e perseguire ogni forma di violenza fisica, psicologica e sessuale, che può affliggere le donne nel contesto di un rapporto di lavoro;

5) ad adottare ulteriori iniziative volte alla prevenzione e al contrasto della violenza economica;

6) ad adottare ulteriori iniziative per introdurre strumenti di welfare volti a sostenere economicamente le donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza e a favorirne l'inserimento nel mondo del lavoro e l'autonomia abitativa;

7) a promuovere la formazione sulla prevenzione della violenza di genere per le professionalità che, in ragione delle attività lavorative svolte, possono entrare a contatto con tali casi, quali medici, infermieri, psicologi, avvocati, assistenti sociali, polizia municipale, nonché a promuovere la formazione sulla prevenzione della discriminazione di genere nei luoghi di lavoro, anche pubblici;

8) a promuovere la parità e la prevenzione della violenza di genere attraverso l'educazione scolastica, anche mediante l'aggiornamento dei materiali didattici, volto a garantire che i nuovi libri di testo e i suddetti materiali didattici siano realizzati in modo da rimuovere gli stereotipi presenti in tali strumenti di formazione e assumendo conseguenti iniziative per destinare a tale scopo nuove risorse finanziarie nonché assicurando che, nei metodi di insegnamento e all'interno delle materie di studio, in particolar modo l'educazione civica, siano compresi il rispetto di genere e l'educazione al riconoscimento della violenza di genere, anche domestica;

9) ad assumere iniziative per dare attuazione all'articolo 17 della Convenzione di Istanbul, anche attraverso l'adozione di misure per la promozione da parte dei media della soggettività femminile e l'introduzione di efficaci meccanismi di monitoraggio e di intervento sanzionatorio su comportamenti mediatici e comunicativi di ogni tipo, che esprimano sessismo e visione stereotipata dei ruoli tra uomo e donna;

10) a promuovere l'equilibrio di genere nelle candidature, così come nell'ambito delle cariche istituzionali e del management delle società pubbliche.

 

Seduta del 3 marzo 2020

Illustrazione di Alessia Rotta

Interventi in discussione generale di Antonella Incerti, Chiara Gribaudo, Rosa Maria Di Giorgi

Seduta del 4 marzo 2020

Dichiarazione di voto di Laura Boldrini