18/06/2024
Vinicio Peluffo
Simiani, Casu, De Micheli, Di Sanzo, Curti, Ferrari, Gnassi, Orlando, Scarpa
1-00296

La Camera,

   premesso che:

    la decarbonizzazione si presenta come una sfida urgente e non negoziabile nell'attuale scenario climatico, in cui il sesto rapporto di valutazione dell'Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) segnala cambiamenti climatici senza precedenti – e relativi impatti, perdite, danni – dovuti alle emissioni antropogeniche: attualmente i contributi determinati a livello nazionale (ndc), considerati collettivamente, sono di gran lunga insufficienti per far sì che il limite di 1,5 gradi centigradi resti raggiungibile nel XXI secolo, sottolineando nel contempo che sono già disponibili opzioni di adattamento e mitigazione praticabili, efficaci e a basso costo;

    l'ultima relazione Global annual to decadal climate update dell'Organizzazione meteorologica mondiale prevede livelli record delle temperature globali nei prossimi cinque anni, stimando al 66 per cento la probabilità che, tra il 2023 e il 2027, la temperatura globale media annua in prossimità della superficie superi di oltre 1,5 gradi centigradi i livelli preindustriali per almeno un anno;

    in tale contesto, gli Stati sono chiamati a definire piani nazionali energia e clima per la cessazione dell'uso dei combustibili fossili e per raggiungere zero emissioni nette entro il 2050, in linea con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi;

    il Pniec – Piano nazionale integrato per l'energia e il clima – è lo strumento per definire le politiche e le misure per conseguire gli obiettivi energia e clima degli Stati membri dell'Unione europea e costituisce il quadro di attuazione – a livello nazionale, con cadenza decennale – degli impegni per la riduzione delle emissioni (ndc, nationally determined contribution) in linea con l'Accordo di Parigi. Uno strumento previsto dalla Strategia dell'Unione europea del 2015 che persegue lo scopo di integrare la politica energetica e la politica climatica dell'Unione per il raggiungimento degli obiettivi successivi al 2020, che si struttura intorno a cinque dimensioni tra loro sinergiche: la decarbonizzazione, che comprende lo sviluppo delle rinnovabili – attuazione del regolamento effort sharing e Lulucf più obiettivi rinnovabili, l'efficienza energetica, che riduce la dipendenza dalle importazioni energetiche, diminuisce le emissioni e favorisce la crescita e l'occupazione, la sicurezza energetica, che riduce la dipendenza dalle importazioni e garantisce la sicurezza del sistema elettrico, il mercato interno dell'energia e sua completa integrazione, che comprende lo sviluppo dell'interconnettività, dell'infrastruttura, l'integrazione del mercato e la necessità di affrontare la povertà energetica, la ricerca, l'innovazione, la competitività, a supporto delle innovazioni nel campo delle tecnologie energetiche a basse o zero emissioni, dando priorità alla ricerca nella transizione energetica e migliorando la competitività;

    l'Unione europea ha aderito all'Accordo come «soggetto» unico regionale e può presentare obiettivi congiunti, definendo con gli Stati membri le modalità per raggiungerli. L'ultimo di tali impegni prevede la riduzione del 55 per cento di emissioni nette al 2030 ed è stato tradotto in norma mediante il pacchetto Fit for 55. I Piani nazionali integrati per l'energia e il clima, quindi, dovrebbero contenere le strategie degli Stati membri per allinearsi all'obiettivo complessivo dell'Unione europea al 2030 e in prospettiva al net zero 2050. L'attuale revisione deve rivedere gli impegni sulla base di un obiettivo di riduzione dei gas serra (a livello di Unione europea) del -55 per cento al 2030 rispetto al 1990, come declinati dal pacchetto Fit for 55;

    nel dicembre 2018 è entrato in vigore il regolamento sulla governance dell'Unione dell'energia e dell'azione per il clima, il primo strumento di pianificazione integrata energia e clima a livello europeo. Attraverso la sua adozione, si è riconosciuta la necessità di includere la variabile climatica nel contesto più ampio della pianificazione energetica, definendo un minimo comune denominatore tra i vari Paesi europei e identificando i principi di una governance comune che andasse a rinforzare i meccanismi di cooperazione tra gli Stati membri e tra questi e la Commissione europea;

    dal 2018 ad oggi il regolamento governance e i Piani nazionali integrati per l'energia e il clima hanno mostrato alcuni limiti. Primo fra tutti, la poca flessibilità degli strumenti in relazione all'evolversi delle evidenze scientifiche sul cambiamento climatico e ai molteplici appelli della comunità internazionale per accrescere gli impegni sottoscritti con l'Accordo di Parigi dalle parti mediante i loro ndc (nationally determined contribution). Inoltre, rispetto alla costruzione di un percorso di decarbonizzazione, lo strumento è apparso inefficace nel ricondurre e collegare gli obiettivi di medio termine con quelli di lungo termine. I Piani nazionali integrati per l'energia e il clima si sono mostrati strumenti rigidi anche in relazione all'impossibilità di adattarsi efficacemente agli shock esterni, quali la pandemia o la crisi innescata con l'aumento dei costi dell'energia, esacerbata dal conflitto russo-ucraino;

    pur con i limiti evidenziati, il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima è uno degli strumenti più importanti per accompagnare la trasformazione del nostro sistema economico e produttivo verso la neutralità climatica e gli obiettivi europei del Fit for 55. Serve, però, che questo strumento sia seguito da una fase di attuazione efficace, attraverso strumenti che assicurino un pieno coinvolgimento dei massimi livelli istituzionali, ma anche un dibattito parlamentare che fin qui è mancato. Costruire politiche adeguate per la riduzione delle emissioni e per il raggiungimento degli obiettivi climatici presuppone una forte collaborazione tra istituzioni e forze industriali e associazionistiche e necessita di una forte integrazione tra il lavoro dei vari Ministeri competenti, che sono anche i soggetti con la capacità di monitorare l'efficacia di queste politiche;

    la governance del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima è l'elemento essenziale per la sua attuazione, a partire dalla sua approvazione, che dovrebbe avvenire attraverso uno strumento normativo attuativo e potendo contare su una struttura di coordinamento e attuazione collocata ai più alti livelli, in stretto dialogo con i diversi livelli di governo, sia centrale che locale, con i portatori di interesse a vario titolo coinvolti nell'attuazione del Piano;

    invece, il nuovo Piano nazionale integrato per l'energia e il clima italiano, che avrebbe dovuto essere presentato alla Commissione europea entro il 30 giugno 2023, è stato pubblicato sul sito del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica il 20 luglio 2023 ed è stato elaborato e gestito senza la necessaria trasparenza, senza il coinvolgimento del Parlamento e senza rispettare l'articolo 11 del regolamento (UE) 2018/1999 sulla governance dell'Unione dell'energia, che prevede un dialogo multilivello sul clima e sull'energia – anche in riferimento ai piani integrati per l'energia e il clima – con il coinvolgimento di autorità locali, società civile, parti sociali. Il Governo ha attivato solo una consultazione on line, senza alcun testo di riferimento, nel mese di maggio 2023. Il 18 dicembre 2023 la Commissione europea ha fornito le raccomandazioni all'Italia, evidenziando che il contributo del nostro Paese all'obiettivo della neutralità climatica viene giudicato insufficiente;

    la proposta di aggiornamento del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2023 che l'Italia ha inviato a luglio 2023 è una proposta debole che non presenta azioni, obiettivi o programmi innovativi, che manca decisamente di una visione, dell'ambizione di cambiamento; una proposta che rimane di retroguardia, in continuità con le politiche e gli strumenti in atto da almeno un decennio che andrebbero invece ripensati o riformati, profondamente. I rilievi della Commissione europea evidenziano che l'Italia non raggiunge gli obiettivi di riduzione delle emissioni nei settori «esr» al 2030 (obiettivo Piano nazionale integrato per l'energia e il clima riduzione del 35/37 per cento rispetto al 2005 – target europeo riduzione 43,7 per cento), non raggiunge gli obiettivi di riduzione delle emissioni nei settori Lulucf (uso del territorio, cambiamenti uso del suolo e silvicoltura), che il consumo energetico finale, previsto dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima al 2030, non rispetta quanto previsto dalla legislazione comunitaria in materia di efficienza energetica (Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 94,4 mtoe – target europeo 92,1 mtoe), che le misure e gli obiettivi per arrivare alla completa decarbonizzazione della produzione energetica sono insufficienti, che va migliorato il coordinamento tra i diversi livelli di governance (nazionale/regionale/locale) coinvolgendo le parti sociali e gli stakeholder nella progettazione, nell'attuazione e nelle politiche di investimento, che ci sia poca chiarezza sugli investimenti e sull'adeguatezza delle attività di ricerca e sviluppo per un'industria a zero emissioni;

    anche la parte «operativa» del piano viene criticata, stante la mancanza di previsione di semplificazioni autorizzative e di finanziamento per lo sviluppo delle rinnovabili, di politiche, misure e risorse per garantire una transizione giusta e sostenibile sotto tutti gli aspetti, della continuità ai sussidi alle fonti fossili e soprattutto, come confermato anche dal Ministero dell'economia e delle finanze, nel primo incontro del tavolo di lavoro sugli aspetti occupazionali e sociali del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima del 13 febbraio 2024, della mancanza di risorse per gli investimenti necessari per realizzare le misure previste, condizione che non favorisce la realizzazione degli obiettivi e che mostra l'inadeguatezza della proposta rispetto ai traguardi da raggiungere in termini di efficienza energetica, produzione da fonti rinnovabili, riduzione delle emissioni di anidride carbonica, sicurezza energetica, mercato unico dell'energia, competitività e sviluppo, mobilità sostenibile;

    si tratta di un piano miope e ancora legato a doppia e tripla mandata all'idea di un'Italia hub del gas, invece che motore mediterraneo delle fonti rinnovabili, che si presenta carente in termini di strategia energetica e climatica efficace e che non delinea un percorso coerente per il superamento dell'utilizzo dei combustibili fossili, in particolar modo del gas naturale, fonte che appare eccessivamente valorizzata nella propria continuità d'utilizzo. Quest'idea viene sostenuta con previsioni di potenziamento della capacità di importazione complessiva di gas attraverso la realizzazione della linea adriatica – per le importazioni dal Nord Africa e dall'Azerbaijan – il raddoppio della capacità di trasporto del Tap, il potenziamento della capacità di esportazione verso Austria e Nord Europa, il potenziamento delle importazioni di gas naturale liquefatto con la costruzione di due nuovi rigassificatori, l'incremento della produzione nazionale di gas e biometano, il rinnovo e il potenziamento del sistema di stoccaggio, il rinnovo delle infrastrutture di trasporto obsolete;

    un piano carente sul conseguimento degli obiettivi di sostenibilità energetica in vista della neutralità climatica prevista per il 2050 e carente di politiche concrete e mirate per garantire il raggiungimento degli obiettivi legati alle energie rinnovabili, carente come strumento attivo per sbloccare le normative impantanate e per rendere armonizzati e efficaci strumenti che dovrebbero remare nella stessa direzione, come Piano nazionale di ripresa e resilienza, decreto aree idonee e decreto «Fer-X» (dedicato all'incentivazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili non ancora maturi dal punto di vista industriale). Un piano che dovrebbe chiaramente indicare come predisporre semplificazioni autorizzative che velocizzino le soluzioni più codificate e meno impattanti, rassicurando gli investitori e stabilizzando gli indotti;

    le criticità evidenziate, con riferimento alla gestione del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima, vanno esaminate congiuntamente al modo in cui il Governo ha gestito e sta gestendo l'emanazione della disciplina sulle superfici e aree idonee e non idonee all'installazione di impianti Fer: la legge delega europea n. 53 del 2021 dispone che la suddetta disciplina sia varata contestualmente all'emanazione del decreto legislativo di recepimento della direttiva europea «Red II» n. 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. Invece, nel recepire la citata direttiva, il decreto aree idonee ha demandato la definizione della disciplina in tema di aree idonee e non idonee ad uno o più decreti interministeriali da adottarsi entro 180 giorni dall'entrata in vigore del medesimo provvedimento legislativo (dicembre 2021), conformemente ai quali, ciascuna regione, con legge regionale da adottarsi entro 180 giorni dall'emanazione dei decreti interministeriali, avrebbe dovuto individuare i siti idonei. Tale rinvio (6 mesi +6), nella definizione dei principi e criteri in base ai quali opportunamente localizzare gli impianti Fer, ha fatto sì che i progetti sinora autorizzati e in corso di approvazione possano godere di una vera e propria deregulation, potendo essere realizzati pressoché ovunque e al di fuori di idonea pianificazione territoriale;

    oltre al ritardo nell'emanazione del decreto interministeriale, il decreto aree idonee presenta notevoli criticità e lacune e soprattutto non prevede adeguati criteri, omogenei per tutto il territorio nazionale, tali per cui le regioni e gli enti locali possano autonomamente effettuare una corretta pianificazione e individuare con propri strumenti urbanistici le superfici e aree idonee e non idonee all'installazione di impianti Fer;

    gli obiettivi di burden sharing, assegnati dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima a ciascuna regione e da raggiungere entro il 2030, costituiscono una sfida irrinunciabile per l'Italia ed è fondamentale il ruolo attivo e il coinvolgimento delle regioni e degli enti locali nel processo di definizione delle aree idonee, che andrebbe attuato attraverso strumenti di pianificazione tali da garantire, da un lato, il raggiungimento dell'obiettivo assegnato a livello europeo all'Italia e, dall'altro, la tutela del paesaggio, dell'ambiente, del territorio, del patrimonio storico-culturale e della biodiversità;

    è quindi cruciale il coinvolgimento delle regioni e degli enti locali, anche in attuazione del principio costituzionale di leale collaborazione tra amministrazioni, in modo che sia garantito il necessario contemperamento tra interesse alla transizione energetica e interesse alla tutela del paesaggio, dell'ambiente e del territorio, nonché che sia assicurato che gli obiettivi di produzione di energia elettrica da Fer vengano realizzati secondo la corretta logica del «best in my backyard»;

    invece, nell'attuale versione del decreto aree idonee viene messa in secondo piano, per non dire del tutto non prevista e trascurata, la cooperazione tra regioni, anche alla luce del fatto che è completamente assente una regolamentazione e gestione delle fattispecie di impianti Fer fisicamente collocati sul territorio di una regione ma ubicati in prossimità dei confini regionali. In tali casi, a maggior ragione data la conformazione dei confini amministrativi tra regioni italiane, gli impatti dell'impianto non possono dirsi limitati al sito prescelto, dovendo estendersi anche ai territori contermini, e si rende necessaria la regolamentazione, anche e soprattutto mediante il coinvolgimento – nelle procedure di valutazione e autorizzazione – della regione confinante, sul cui territorio sono destinati ad estendersi gli impatti, così che la realizzazione dell'impianto avvenga «d'intesa» tra le regioni interessate, anche in virtù di quanto previsto dall'articolo 30 del decreto legislativo n. 152 del 2006: in relazione al suddetto decreto, va ulteriormente evidenziato che in tema di disposizioni transitorie andrebbe modificato nel senso di far salvi, con assoggettamento alla previgente disciplina e comunque all'articolo 22 del decreto legislativo n. 199 del 2021, esclusivamente quei procedimenti avviati in data antecedente alla data di entrata in vigore dei provvedimenti adottati dalle regioni e dalle province autonome che hanno ad oggi impianti ubicati in aree classificate come idonee, come risultava già previsto da una delle precedenti versioni del decreto;

    è evidente che c'è chi ancora continua, e non sono i firmatari del presente atto, a ritenere la transizione energetica come una fase «accessoria» e subordinata al vero piano energetico, quello che ha come vettore energetico le fonti non rinnovabili, fossili, in continuità con quello del secolo scorso. Invece, gli investimenti in infrastrutture energetiche che si mettono in campo oggi, alle soglie del 2024, non possono causare un rafforzamento della dipendenza da gas (pur diversificandone modalità e fonti di approvvigionamento) per i prossimi decenni, ma, al contrario, devono essere focalizzati all'uscita da tale dipendenza. Una trasformazione sistemica che va gestita in maniera ordinata e ragionata, accompagnando imprese e cittadini con i giusti strumenti di sostegno e supporto, il prima possibile. Tra questi strumenti è fondamentale che si lavori su una strategia industriale a medio e lungo termine, finalizzata alla costruzione di filiere produttive ad alto valore aggiunto;

    è fondamentale che si mettano in campo tanto strumenti di pianificazione territoriale integrata, con un importante ruolo delle regioni, quanto sistemi innovativi di partecipazione, formazione e informazione rivolti alla popolazione, al fine di mettere tutti in condizione di saper discernere gli impianti e le infrastrutture necessarie e urgenti, da quelle da respingere con determinazione, evitando il radicarsi di fenomeni nimby che spesso, per comprensibile timore, si scagliano anche contro progetti necessari;

    per raggiungere questo obiettivo è cruciale puntare chiaramente su misure che siano strutturate proprio per essere leve di contrasto alle diseguaglianze, motore di coesione sociale. Fondamentale, in tal senso, è partire da un grande piano nazionale per la rigenerazione urbana delle periferie, con focus specifico nella riqualificazione energetica dell'edilizia pubblica (unico strumento duraturo per contrastare la povertà energetica);

    l'efficienza energetica degli edifici rappresenta poi una delle leve più rilevanti per garantire la riduzione delle emissioni nocive nel nostro Paese. Il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima deve conseguentemente prevedere efficaci e concreti obiettivi in termini di efficientamento energetico del patrimonio edilizio anche legata alla componente 3 della missione 2 del Piano nazionale di ripresa e resilienza: «Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici», che si pone l'obiettivo specifico di agire su questi aspetti contribuendo al miglioramento delle condizioni abitative dei cittadini. In questo contesto va segnalata la direttiva «case green», Epbd direttiva europea 2024/1275, che delinea tra gli obiettivi il miglioramento della prestazione energetica e la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra provenienti dagli edifici all'interno dell'Unione europea per conseguire un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050;

    la direttiva europea sulle case green è un passo importante dal punto di vista ambientale e sociale, visto che l'efficientamento energetico del patrimonio immobiliare può concretamente contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra: gli edifici risultano essere responsabili del 40 per cento del consumo energetico e del 36 per cento delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra legate all'energia. Il patrimonio immobiliare italiano, così come gli edifici degli altri Stati membri, ha a disposizione 26 anni per mettersi in regola e ridurre progressivamente le emissioni di gas serra e i consumi energetici, fino ad arrivare alla neutralità climatica nel 2050. La direttiva «case green» impone di arrivare a un risparmio del 16 per cento dei consumi energetici degli edifici residenziali entro il 2030: secondo i dati Terna ed Enea questo obiettivo sarebbe già stato raggiunto grazie alle detrazioni edilizie in vigore dal 2020 (in particolare il superbonus) che ha garantito un risparmio energetico totale di 9.050,04 gigawatt per anno, detrazioni che però, il Governo, con il decreto-legge 29 marzo 2024, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2024, n. 67, ha notevolmente ridotto, abbassando addirittura dal 36 al 30 per cento l'aliquota di detrazione delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici sostenute dal 1° gennaio 2028 al 31 dicembre 2033. Una scelta che appare incomprensibile, controproducente e sulla quale il Governo sembrerebbe voler tornare indietro, visto che, accogliendo l'ordine del giorno n. 9/1877/5 il 22 maggio 2024, ha già ammesso la necessità di un innalzamento degli incentivi, impegnandosi a valutare di «prevedere idonei meccanismi di monitoraggio e valutazione delle misure e degli strumenti di pianificazione adottati in relazione agli obiettivi europei sul clima»;

    il piano va assolutamente rafforzato sul versante delle politiche industriali, della decarbonizzazione dell'industria manifatturiera, della ricerca e sviluppo, degli investimenti necessari per attuare gli obiettivi proposti, della fiscalità e delle politiche di giusta transizione coerenti con la realizzazione degli obiettivi di decarbonizzazione, appunto, e di salvaguardia sociale e occupazionale. Accelerare la transizione ecologica è una sfida prioritaria a livello globale per contrastare effetti sempre più drammatici della crisi climatica e ambientale e ridurre gli effetti sulla salute dei fattori di crisi ambientale (cambiamento climatico, inquinamento e perdita di biodiversità). A questi si aggiungono anche motivazioni economiche e sociali: la transizione ecologica avrà un saldo occupazionale positivo, aiuta a ridurre la dipendenza energetica (che nel caso dell'Italia si attesta a oltre il 79,7 per cento), riduce strutturalmente i costi energetici aumentando la competitività delle imprese, consente lo sviluppo di nuove filiere produttive;

    è fondamentale fornire supporto strutturato alle imprese e ai consumatori per affrontare la sola trasformazione, nell'ottica strategica dell'economia circolare, che ne garantirà lo sviluppo e il potere di acquisto a medio e lungo termine, e per rivedere completamente il sistema di trasporto e mobilità, con importanti investimenti su trasporto ferroviario, trasporto pubblico e condiviso come lo sharing, elettrificazione dei porti. Investimenti che rendano l'auto privata l'ultimo miglio di una trasformazione profonda, improntata al potenziamento tanto delle ferrovie regionali quanto del trasporto pubblico locale nelle città (che può essere reso gratuito per i giovani e gli studenti), spingendo su accessibilità, efficientamento ed elettrificazione e dotare finalmente il Paese di una legge contro il consumo di suolo costruendo strategie di promozione attiva della natura, del suolo e dell'ecosistema, nel solco dei principi di protezione attiva indicati dal pacchetto del «restoration nature EU», unica via per far fronte all'ormai sistemica siccità a cui i territori vanno incontro, con crescente gravità, ogni anno. In tale solco, come per il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima, è fondamentale che il piano di adattamento del territorio agli effetti della crisi climatica venga reso più ambizioso e che sia adeguatamente finanziato,

impegna il Governo:

1) a sostenere l'uscita ordinata da tutte le fonti fossili – carbone, petrolio e gas – definendo con trasparenza il fabbisogno complessivo di gas per pianificare la curva della sua riduzione, coerente con l'impegno di abbattere le emissioni del 55 per cento al 2030 e di raggiungere la neutralità climatica al 2050, prevedendo altresì la progressiva eliminazione dei sussidi alle fonti fossili e promuovendo politiche che favoriscano l'espansione delle energie rinnovabili, anche attraverso la diffusione delle comunità energetiche rinnovabili, delle reti elettriche, dei sistemi di stoccaggio e dell'efficienza energetica;

2) ad assumere iniziative volte a promuovere la decarbonizzazione dell'economia attraverso politiche e investimenti pubblici in grado di governare la riconversione industriale e produttiva verso filiere strategiche e sostenibili sul piano ambientale e sociale, con particolare attenzione per l'industria manifatturiera, con strumenti finanziari adeguati a gestire le implicazioni sociali della transizione e ad adottare misure di accompagnamento alle imprese e ai lavoratori, anche sul fronte della formazione;

3) a definire un piano pluriennale per il risparmio energetico e l'elettrificazione dei consumi delle abitazioni, a partire dalle aree più degradate e dalle periferie urbane, con misure dedicate alla riqualificazione energetica degli alloggi di edilizia popolare e degli edifici scolastici;

4) ad assumere iniziative volte a promuovere la mobilità sostenibile, integrata e intermodale, privilegiando il trasporto collettivo pubblico, l'elettrificazione, il trasferimento da gomma a ferro e marittimo dei trasporti a lunga percorrenza, la mobilità condivisa e la mobilità dolce;

5) a considerare gli asset idroelettrici nazionali come asset strategici, intervenendo per sbloccare i necessari investimenti di un settore che da solo garantisce quasi il 20 per cento del fabbisogno elettrico nazionale;

6) a identificare le politiche settoriali prioritarie, sulla base di una valutazione esplicita degli effetti finora raggiunti e degli obiettivi strategici che si intendono perseguire, indicando, per ciascuna misura, accanto all'efficacia nella riduzione delle emissioni o nella diffusione delle rinnovabili, il fabbisogno finanziario necessario e come questo viene soddisfatto, nonché gli impatti socioeconomici attesi, almeno in termini di costi e benefici e identificando chiaramente i portatori di interesse e le sedi deputate all'attuazione delle misure e come queste siano incluse nel processo decisionale;

7) ad assicurare, per quanto di competenza, un maggior coinvolgimento del Parlamento e delle Commissioni parlamentari competenti sia in fase di elaborazione che di monitoraggio del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima e a prevedere una comunicazione periodica alle Camere che ne definisca lo stato di attuazione;

8) a procedere all'approvazione del nuovo Piano nazionale integrato per l'energia e il clima solo a seguito di un compiuto esame parlamentare mediante uno strumento attuativo incardinato ai più alti livelli decisionali, come può essere una delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess);

9) ad assumere iniziative di carattere normativo volte ad assicurare la valutazione ex ante dell'impatto atteso dei nuovi atti legislativi sugli obiettivi climatici, introducendo riferimenti espliciti del bilancio pubblico rispetto al loro raggiungimento e indicando annualmente nel documento di economia e finanza come le proposte in esso contenute possano contribuire al raggiungimento di tali obiettivi;

10) a prevedere che nel decreto interministeriale previsto dall'articolo 20, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 199 del 2021:

  a) sia consentito alle regioni e province autonome la definizione e individuazione, sulla base di principi e criteri chiari e omogenei in tutto il territorio nazionale, delle superfici e aree idonee e non idonee all'installazione di impianti Fer;

  b) sia inserita una precipua regolamentazione delle fattispecie di impianti fisicamente collocati sul territorio di una regione ma ubicati in prossimità del o sul confine regionale e i cui impatti, inevitabilmente, si ripercuotono sui territori contermini – anche in linea a quanto già previsto, per gli impianti eolici, dalle linee guida contenute nel decreto ministeriale 10 settembre 2010, allegato A, punto 3.1, lettera b) (buffer zone), prevedendo che le procedure di valutazione e autorizzazione ambientale vengano compiute d'intesa tra le regioni interessate in ossequio al principio costituzionale di leale collaborazione tra amministrazioni, così estendendo a tali fattispecie la previsione normativa già contenuta nell'articolo 30 del decreto legislativo n. 152 del 2006;

  c) sia resa applicabile la nuova disciplina e classificazione delle aree idonee e non idonee anche a tutti quei procedimenti, avviati in data antecedente alla data di entrata in vigore delle leggi e dei provvedimenti adottati dalle regioni e province autonome in attuazione dell'articolo 3, commi 1 e 2, dell'emanando decreto, che siano relativi ad impianti ubicati in aree non idonee;

11) ad assumere iniziative di competenza volte a promuovere un approccio inclusivo verso la neutralità climatica, garantendo il coinvolgimento della società civile, la trasparenza nelle politiche ambientali, l'impegno condiviso per la riduzione delle emissioni e per l'adozione di pratiche sostenibili, individuando una forma di governance partecipata nella costruzione, attuazione, monitoraggio e valutazione del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima, che risponda a criteri di giustizia climatica e sociale, in cui devono essere coinvolte le parti sociali, la società civile organizzata, gli enti locali e le comunità.

 

Seduta del 10 giugno 2024

Intervento in discussione generale di Andrea Casu

Seduta del 26 giugno 2024

Dichiarazione di voto di Vinicio Peluffo