La Camera,
premesso che:
il Memorandum d'intesa sottoscritto il 2 febbraio 2017 tra l'Italia e il Governo di Accordo Nazionale della Libia, finalizzato al contrasto dell'immigrazione irregolare, del traffico di esseri umani e al rafforzamento della cooperazione bilaterale in materia di sicurezza e controllo delle frontiere;
si richiamano gli articoli 2, 3, 4, 10, 13 e 18 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e gli articoli 2, 3, 4 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu), nonché l'articolo 10 della Costituzione italiana che garantisce il diritto d'asilo;
si sottolinea il principio di non-refoulement sancito dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951;
alla luce dei numerosi e dettagliati rapporti pubblicati da organizzazioni internazionali, Nazioni Unite, Ong e organismi indipendenti, che documentano gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani nei confronti di migranti e rifugiati in Libia dal 2017, tra cui detenzioni arbitrarie, torture, schiavitù, lavoro forzato, violenze sessuali, tratta e sparizioni forzate;
il 12 maggio 2025 il Governo libico ha formalmente accettato la giurisdizione della Corte penale internazionale per i crimini commessi in Libia dal 2011 fino alla fine del 2017, in applicazione dell'articolo 12(3) dello Statuto di Roma. La Libia, pur non essendo Stato Parte dello Statuto, è stata sottoposta all'esame della Cpi dal 2011, a seguito del deferimento operato dal Consiglio di Sicurezza Onu (risoluzione 1970 del 26 febbraio 2011), che ha attribuito alla Cpi competenza per i crimini commessi in Libia o da libici dal 15 febbraio 2011. Sono emerse numerose evidenze documentate alla Corte, riguardanti violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani in Libia: tortura, detenzioni arbitrarie, violenza sessuale e tratta di persone, in particolare migranti e rifugiati, che configurano potenzialmente crimini contro l'umanità;
vanno considerati i recenti sviluppi che mostrano un grave deterioramento delle condizioni di sicurezza per le persone di origine subsahariana in Libia, nonché la presa di posizione dell'Agenzia di sicurezza interna della Libia (Asi), la quale nel mese di aprile 2025 ha annunciato la sospensione delle attività di dieci organizzazioni non governative internazionali, tra cui anche diverse realtà italiane, e dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr);
va considerato che lo stesso rapporto finale della Missione d'inchiesta indipendente delle Nazioni Unite in Libia ha riscontrato che il Direttorato per la lotta alla migrazione illegale risulta essere colluso, insieme alla «Guardia costiera libica», con milizie e trafficanti nell'ambito dell'intercettazione e della privazione della libertà di donne e uomini migranti, della loro riduzione in schiavitù, del lavoro forzato, della detenzione, dell'estorsione e della tratta di esseri umani, che secondo il rapporto Ffm delle Nazioni Unite «generano entrate significative per individui, gruppi e istituzioni statali»;
alla luce del rapporto finale della Missione d'inchiesta indipendente condotta dalle Nazioni Unite in Libia, pubblicato il 27 marzo 2023, che ha concluso che la Missione «ha riscontrato ragionevoli motivi per ritenere che dal 2016 siano stati commessi crimini contro l'umanità contro libici e migranti in tutta la Libia nel contesto della privazione della libertà», e inoltre che il sostegno tecnico, logistico e monetario dall'Unione europea e dai suoi Stati membri alla cosiddetta Guardia costiera libica, con l'obiettivo dichiarato di aumentare le intercettazioni in mare, comporta la violazione del principio di non respingimento, in quanto la Libia non può essere considerata in alcun modo un luogo sicuro per migranti e rifugiati, e per questo chiedeva la cessazione di ogni supporto diretto o indiretto agli attori libici coinvolti in questi crimini;
alla luce delle numerose violenze a danno di persone migranti e attori umanitari presenti nel Mediterraneo, nonché delle documentate violazioni delle norme procedurali standard durante le operazioni di intercettazione – documentate dalle stesse agenzie dell'Unione europea – da cui si evince la totale inadeguatezza delle autorità libiche nello svolgimento delle operazioni in oggetto e l'inefficacia delle attività di formazione condotte;
si richiama la sentenza della Corte di Cassazione (Cass. 4557/24) che confermava la condanna del comandante della nave mercantile ASSO28, battente bandiera italiana, a titolo di sbarco e abbandono arbitrario di persone (articolo 1155 del codice della navigazione) e di abbandono di persone minori o incapaci (articolo 591 del codice penale), per aver consegnato a una motovedetta libica 101 migranti soccorsi in acque internazionali e che contestualmente dichiarava che la Libia non è un porto sicuro e che lo sbarco sulle sue coste delle persone soccorse in mare è illegittimo e si configura come respingimento collettivo;
si richiama la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (caso SS e altri c. Italia) che, pur dichiarando irricevibile il ricorso, rileva che la Libia «non è un paese sicuro» e ribadisce i molteplici appelli a interrompere la collaborazione con le autorità costiere libiche, conferma l'urgenza di interrompere la collaborazione con la Libia ai fini di intercettazione e ritorno forzato di persone nel territorio libico;
vanno considerati i dati dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), secondo cui tra il 2017 e il 2025 oltre 23.000 persone risultano morte o disperse nella rotta del Mediterraneo centrale;
sempre secondo i dati forniti da Oim, tra il 2017 e il 28 giugno 2025, almeno 158.820 persone sono state intercettate in mare e respinte in Libia dalla Guardia costiera libica, spesso con il supporto diretto o indiretto delle autorità italiane ed europee;
stando alle cifre relative alla missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera della marina militare libica e al contributo italiano alla missione Eubam Libya, la spesa italiana ammonta almeno a circa 290 milioni di euro dal 2017 ad oggi;
sono necessarie politiche migratorie fondate sul rispetto della dignità umana, sulla solidarietà europea e sulla responsabilità condivisa nella ricerca e soccorso in mare;
lo stesso Memorandum d'Intesa del 2017 con la Libia prevede all'articolo 5 che la sua interpretazione e applicazione avvengano «nel rispetto degli obblighi internazionali e degli accordi sui diritti umani di cui i due Paesi siano parte»,
impegna il Governo:
1) a non procedere a nuovi rinnovi automatici del Memorandum d'intesa del 2017 con la Libia, sospendendo immediatamente ogni forma di cooperazione tecnica, materiale e operativa che comporti il ritorno forzato di persone verso il territorio libico, in violazione del principio di non refoulement quale norma di diritto cogente;
2) ad adottare iniziative di competenza volte a rivedere integralmente gli accordi bilaterali con la Libia in materia di controllo delle migrazioni, limitando la collaborazione alla promozione di sistemi di tutela e rispetto dei diritti umani, all'evacuazione di tutte le persone detenute nei centri di detenzione formali e informali presenti sul territorio libico e la chiusura definitiva di tali centri;
3) a promuovere, in sede europea, l'istituzione di una missione civile di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, sul modello dell'operazione Mare Nostrum, dando attuazione alla risoluzione del Parlamento europeo sulla necessità di un intervento dell'Unione europea nelle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo (2023/2787(RSP);
4) a promuovere, anche in attuazione del nuovo regolamento (Ue) 2024/1350 del 14 maggio 2024 che istituisce un quadro dell'Unione per il reinsediamento e l'ammissione umanitaria, un piano europeo di ingressi umanitari dalla Libia di persone con un bisogno di protezione internazionale;
5) a fornire preventivamente e regolarmente ogni utile elemento al Parlamento in merito alle attività di cooperazione e spesa in Libia tramite fondi nazionali ed europei, garantendo pieno accesso alle informazioni, la massima trasparenza e tracciabilità, nonché un monitoraggio e una valutazione d'impatto sui diritti umani;
6) a porre fine al sostegno a entità libiche implicate in violazioni dei diritti umani, escludendo tali soggetti da ogni forma di assistenza finanziaria, logistica o formativa;
7) ad adoperarsi concretamente per proteggere la vita e i diritti umani di rifugiati e migranti in Libia, nonché ad assumere iniziative volte ad accertare responsabilità per la violazione dei diritti umani perpetrate contro rifugiati e migranti in Libia;
8) a non procedere alla sottoscrizione di accordi, intese o patti di cooperazione con Paesi che non rispettano la Dichiarazione universale dei diritti umani o che perpetrano discriminazioni in base all'origine etnica, alla religione, alle convinzioni personali e al genere.
Seduta del 14 ottobre 20025
Intervento in discussione generale di Ouidad Bakkali
Seduta del 15 ottobre 2025
Intervento in dichiarazioni di voto di Matteo Orfini