05/06/2025
Irene Manzi
Orfini, Berruto, Iacono, Ascani, Toni Ricciardi, Ferrari, Di Sanzo
1-00456

La Camera,

   premesso che:

    la spesa pubblica in ricerca in Italia è tra le più basse rispetto alle grandi economie Ocse, in termini sia assoluti che relativi al Pil. Il divario rispetto a Stati Uniti e Germania, già sostanzioso quarant'anni fa, è oggi più ampio che mai. Riguardo al ruolo di pubblico e privato, in tutti i Paesi analizzati il peso del settore pubblico si è ridotto rispetto alla componente privata rappresentata dagli investimenti delle imprese. In Italia la spesa pubblica è stimata allo 0,5 per cento del Pil nel 2024, con un aumento di solo lo 0,1 per cento previsto dal governo nei prossimi 5 anni, contro il 2,1 della Francia, il 2,2 della Spagna, il 2,6 della Germania e il 4,8 della Danimarca;

    secondo i dati più recenti, su un totale di 125.813 unità, i precari del settore sarebbero 74.454, più di tre volte superiore al rapporto precari/di ruolo degli altri settori pubblici. Una situazione che si è venuta formando in seguito alle varie forme di flessibilità introdotte dalla riforma Gelmini del 2010; il Pnrr pur avendo reso disponibili risorse importanti per il settore, ha generato esclusivamente rapporti a termine, determinando un incremento esponenziale di precariato;

    i tagli, ormai purtroppo noti, inflitti dall'Esecutivo, indurranno gli atenei a non confermare almeno i due terzi dei più di trentamila lavoratori precari, tra professori a contratto, assegnisti, borsisti e ricercatori. Intanto, negli ultimi sei mesi si stima che siano terminati 1.500 rapporti di lavoro a tempo determinato;

    le ultime leggi di bilancio del governo hanno ridotto il fondo di finanziamento ordinario delle università di cinquecento milioni di euro nel 2024 e di settecento milioni nel triennio 2025-2027; il Governo avrebbe, inoltre, introdotto l'adeguamento Istat degli stipendi per i docenti universitari (+4,8 per cento a parziale recupero dell'inflazione), senza fornire stanziamenti aggiuntivi nel fondo di finanziamento ordinario 2024. Di fronte a bilanci sotto pressione, gli atenei per la copertura delle nuove spese potranno utilizzare le risorse già destinate per i piani straordinari di reclutamento, una parte di fondi precedentemente vincolati alla ricerca e i residui degli accordi di programma per l'edilizia universitaria;

    ai tagli si aggiunge, in seguito all'approvazione della legge 30 dicembre 2024, n. 207, ancora il blocco del piano straordinario di reclutamento sia sul fronte della ricerca che del personale tecnico amministrativo e bibliotecari, che determinerà per i ricercatori universitari il blocco del turn over nella misura del 75 per cento dall'anno 2026 e, inoltre, sempre per l'anno 2026 è previsto che gli enti e gli istituti di ricerca possano procedere ad assunzioni di personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato nei limiti della spesa determinata dell'ordinamento vigente ridotta di un importo pari al 25 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente;

    i primi provvedimenti dell'amministrazione Trump, con conseguenze dirette nell'ambito scientifico ed accademico, hanno posto l'attenzione sull'importanza di rafforzare, in ambito europeo, l'autonomia della formazione universitaria e della ricerca;

    tali misure stanno generando una crescente instabilità per migliaia di ricercatori e scienziati, soprattutto giovani, internazionali o attivi in settori strategici come il cambiamento climatico, le scienze sociali, la sanità pubblica e l'intelligenza artificiale;

    in questo contesto, l'Europa è intervenuta varando la strategia dell'Unione europea per le start-up e le scale-up, «Choose Europe to start and scale», al fine di rendere l'Europa un luogo ideale per avviare e far crescere imprese globali basate sulla tecnologia. La strategia, in linea con la più ampia iniziativa «Scegli l'Europa», lanciata dalla Presidente von der Leyen, si concentra in primo luogo sulla componente scientifica che promuove un approccio europeo unificato per attrarre e trattenere i talenti, rafforzando in tal modo la competitività dell'Europa;

    per essere competitivi a livello globale nel campo dell'innovazione scientifica e tecnologica, occorre da parte dell'esecutivo un importante inversione di tendenza delle politiche dei tagli e del precariato ed avviare iniziative strategiche di settore e investimenti e garantire continuità e centralità alla ricerca di base, valorizzare il ruolo degli atenei e degli enti pubblici di ricerca, e rafforzare la presenza italiana nelle grandi reti scientifiche europee;

    questa sfida si intreccia con una contraddizione evidente. Da un lato si discute di come attrarre talenti dall'estero, approfittando di un contesto internazionale instabile dall'altro lato, il governo continua a penalizzare il nostro sistema di ricerca attraverso tagli strutturali, precarizzazione dei ricercatori e mancanza di un piano organico di investimenti;

    le misure adottate dal Governo – con riduzioni di fondi agli enti pubblici di ricerca e mancati investimenti nei giovani ricercatori – rischiano di vanificare qualsiasi sforzo di attrazione esterna, perché non si può attrarre talento se prima non si valorizza quello che già esiste;

    l'attrazione di ricercatori dall'estero, se ben gestita, può rappresentare una straordinaria occasione di crescita e apertura. Ma deve conciliarsi con una riforma profonda del sistema nazionale: a partire da un piano straordinario di assunzioni per superare il precariato cronico che colpisce migliaia di ricercatori italiani, e da un incremento stabile e significativo degli investimenti pubblici in ricerca di base;

    sul piano del finanziamento, gli ultimi anni avevano consentito un certo recupero, anche grazie ai finanziamenti straordinari e temporanei del Pnrr, avvicinando la spesa per ricerca pubblica allo 0,75 per cento del Pil. Era questo l'obiettivo indicato nel 2022 dal rapporto del «Tavolo tecnico» insediato dal governo di Mario Draghi. A partire da quest'anno si profila una preoccupante riduzione del finanziamento dell'università e della ricerca pubblica. La distribuzione delle risorse che si prospetta – attraverso i criteri adottati e i meccanismi premiali – sta portando a maggiori disparità tra grandi atenei e università «periferiche». Nel quadro europeo, l'Italia – ora agli ultimi posti nell'Unione europea in termini di percentuale di laureati sugli occupati – aggraverebbe le distanze nei confronti dei maggiori paesi in termini di risorse disponibili;

    sul piano del personale, oggi circa il 40 per cento di tutto il personale docente e di ricerca è costituito dagli oltre 20 mila assegnisti di ricerca e 9 mila ricercatori a tempo determinato di tipo A (Rtda), anche a seguito della proliferazione di posizioni di ricerca finanziate con i fondi Pnrr. Nei prossimi tre anni intorno al 10 per cento dei professori ordinari e associati andrà in pensione;

    nel corso di un decennio, circa 15 mila ricercatori e ricercatrici italiane hanno trovato lavoro all'estero. Anziché favorire un «ritorno dei cervelli» e l'attrazione di personale qualificato dall'estero, le politiche del Governo conducono a una maggior emigrazione;

    secondo la ricerca The attractiveness of european higher education systems: a comparative analysis of faculty remuneration and career paths, pubblicata a marzo 2023 dal «Center for studies in higher education» dell'Università della California-Berkeley, a inizio carriera, un ricercatore italiano percepisce in media 28.256 euro netti. Nel Regno Unito si arriva a 49.168 euro, nella Regione tedesca della Renania Settentrionale-Vestfalia a 50.006 euro, in quella della Baviera fino a 52.689 euro. Se un professore associato, in Italia, può arrivare a guadagnare 40.988 euro netti, la simile figura inglese del senior lecturer raggiunge i 69.385 euro. Un W2 professor tedesco della Renania prende 70.333 euro, uno bavarese 69.328 euro. Un professore ordinario in Italia prende 57.178 euro netti, molto al di sotto del professor inglese (91.973) e del W3 tedesco (82.627 euro in Renania e 74.838 euro in Baviera);

    in tale quadro, la legge 29 giugno 2022, n. 79, approvata, con parere unanime del Parlamento, intendeva riconoscere maggiore dignità del lavoro della ricerca, assicurata attraverso il contratto di ricerca e i ricercatori in tenure track, percorso imperniato su contratti di natura subordinata, in linea con la Carta europea dei ricercatori, che riconoscono una retribuzione dignitosa e piene tutele, principi generali e requisiti che riguardano i ruoli, le responsabilità e le prerogative dei ricercatori;

    a fianco di un'azione diretta il favorire un «ritorno dei cervelli» e l'attrazione di personale qualificato dall'estero, si rende necessario promuovere un'azione diretta ad attuare procedure di reclutamento stabile per i ricercatori attualmente precari e di investimento nel settore al fine di garantire opportunità e sbocchi concreti ai giovani del nostro Paese,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte a finanziare un piano di reclutamento straordinario di ricercatori in tenure track (Rtt), ferme restando le peculiarità dei diversi sistemi e in ogni caso l'esigenza di non ostacolare il ricambio generazionale;

2) a considerare la necessità di programmare un piano di rilancio ed espansione del sistema universitario che abbia l'obiettivo di recuperare il terreno perduto a seguito dei pesanti tagli di risorse e di incrementare la dotazione del personale di ricerca ai livelli necessari a fare fronte alle esigenze del sistema Paese, con l'obiettivo di varare un programma di reclutamento strutturale e pluriennale;

3) a sostenere iniziative, anche di carattere fiscale, volte a favorire il rientro dei cervelli, e consentire a tale personale qualificato di esprimere anche in Italia il proprio talento;

4) ad adottare iniziative volte a predisporre un piano strategico per l'attrazione di ricercatori stranieri di alta qualificazione, assicurando condizioni adeguate per lo sviluppo della loro attività scientifica in Italia, in sinergia con le università e gli enti di ricerca pubblici, promuovendo, in parallelo, un piano strutturale di investimenti pubblici nella ricerca di base, anche attraverso il rifinanziamento ordinario del Fondo per la scienza e la tecnologia, e a garantire risorse pluriennali per il sistema della ricerca pubblica.

Seduta del 16 giugno 2025

Intervento in discussione generale di Sara Ferrari

Seduta del 17 giugno 2025

Dichiarazione di voto di Irene Manzi