La Camera,
premesso che:
le proiezioni di finanza pubblica per l'anno 2024 indicano un deficit tendenziale del 3,5 per cento e il mantenimento dell'obiettivo del 3,7 per cento del prodotto interno lordo produrrebbe uno «spazio di bilancio» di circa 0,2 punti di prodotto interno lordo, da destinare al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, al finanziamento delle cosiddette «politiche invariate» a partire dal 2024 e alla continuazione del taglio della pressione fiscale nel 2025-2026 e concorrerà a una significativa revisione della spesa pubblica e a una maggiore intesa tra fisco e contribuente;
sulla base di tali previsioni, i margini per il 2024 si attestano a soli 4,5 miliardi di euro;
il 2022 si è caratterizzato per i marcati aumenti di prezzo, diffusi tra le voci di spesa, tra cui spiccano quelle dei beni energetici. L'inflazione al consumo ha raggiunto nel complesso del 2022 l'8,1 per cento (dall'1,9 del 2021), il valore più alto dal 1985. Nel 2023 l'inflazione dovrebbe ridursi molto gradualmente (al 7,0 per cento contro l'8,7 del 2022), per scendere ulteriormente nel 2024 intorno al 5 per cento. Un valore che rispetto alla media dell'ultimo decennio risulta ancora molto alto, riducendo ulteriormente il valore d'acquisto di salari, stipendi e pensioni;
per i lavoratori e i pensionati le misure portate avanti dal Governo in questi primi mesi di legislatura si caratterizzano per un'accentuazione della precarizzazione del mercato del lavoro – dapprima con la reintroduzione dei «voucher lavoro» nella legge di bilancio per il 2023 e, ora, con il decreto-legge n. 48 del 2023 con una loro ulteriore estensione e con la sostanziale liberalizzazione del ricorso ai contratti a tempo determinato. Strumenti che colpiranno soprattutto i giovani e le donne, contribuendo a rendere sempre più incerto il futuro di tanti lavoratori, precarizzandone non solo la condizione economica, ma anche quella esistenziale e pregiudicandone ulteriormente il loro futuro previdenziale;
sul piano del potere di acquisto di salari e pensioni, erosi dall'inflazione, l'azione del Governo si è caratterizzata per un'aprioristica contrarietà ad ogni forma di introduzione, anche sperimentale, dello strumento del salario minimo legale e dall'inerzia per quanto concerne la messa in campo di interventi per favorire i rinnovi dei contratti collettivi – in alcuni casi scaduti da molti anni –, con la conseguenza che, oltre a ridurre ulteriormente la quota di reddito dei lavoratori italiani, con il mancato adeguamento del montante contributivo generale, si finisce per incidere negativamente anche sulla stessa sostenibilità complessiva del sistema pensionistico;
per quanto attiene più direttamente i temi previdenziali, va rilevato che, sulla base delle richiamate disponibilità finanziarie evidenziate dal documento di economia e finanza, si può considerare del tutto irrealistica la possibilità di interventi che possano portare alla cosiddetta «fuoriuscita dalla Fornero». Una delle principali promesse elettorali di alcune forze che sostengono il Governo. Al contrario, si è quasi azzerato l'istituto di «opzione donna», non solo nel 2023, ma anche per gli anni a venire. Una misura che, introdotta dall'allora Ministro Maroni con l'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004, è sempre stata prorogata da tutti i Governi sino al 2022;
uno dei profili che maggiormente rendono incerto e squilibrato il sistema previdenziale italiano è determinato dal progressivo invecchiamento della popolazione – conseguenza del costante calo delle nascite – e la contestuale diffusione di rapporti di lavoro precari e discontinui. Condizioni di lavoro che coinvolgono prioritariamente i giovani e le donne e che determineranno, se non si predisporranno gli opportuni interventi correttivi, l'ampliarsi della platea dei pensionati poveri, con trattamenti pensionistici inadeguati a garantire una qualità della vita dignitosa, così come previsto dall'articolo 38, secondo comma, della Costituzione;
a riprova della sostanziale impossibilità di dare corso alla citata promessa elettorale in materia previdenziale, va ricordato il sostanziale stallo del confronto con le parti sociali su questo tema, il cui ultimo tavolo risale al 13 febbraio 2023 e, da ultimo, sostituito con un nuovo organismo tecnico, l'Osservatorio per il monitoraggio, la valutazione dell'impatto della spesa previdenziale e l'analisi delle politiche di revisione del sistema pensionistico;
per di più, non può non essere evidenziato come il Governo in carica abbia utilizzato il settore previdenziale quale fonte di finanziamento di politiche fiscali più che discutibili, come nel caso della mancata indicizzazione delle pensioni medio-alte che, come ammesso dallo stesso Ministro dell'economia e delle finanze, ha comportato per il solo triennio 2023-2025 un taglio degli assegni pensionistici pari a 10 miliardi di euro e pari a 35,8 miliardi di euro fino al 2032. Secondo uno studio dello Spi Cgil, è stato calcolato che con il meccanismo di perequazione degli assegni pensionistici introdotto dalla legge di bilancio per il 2023 saranno 4,3 milioni, pari ad oltre un terzo degli 11,2 milioni delle pensioni di vecchiaia, a subire una decurtazione delle pensioni;
le prestazioni del sistema pensionistico italiano vigenti al 31 dicembre 2021 sono risultate pari a 22.758.797, per un ammontare complessivo annuo di 313.003 milioni di euro, che corrisponde a un importo medio per prestazione di 13.753 euro. I beneficiari di prestazioni pensionistiche sono stati, sempre nell'anno 2021, pari a 16.098.748. Di questi, sebbene le donne rappresentino il 52 per cento, gli uomini percepiscono il 56 per cento dei redditi pensionistici: l'importo medio dei redditi percepiti dalle donne è, infatti, inferiore rispetto a quello degli uomini del 27 per cento (16.501 contro 22.598 euro);
per quanto concerne la distribuzione in base agli importi degli assegni pensionistici si rileva che il 73,5 per cento del totale dei trattamenti ha importi inferiori a 1.500 euro lordi mensili e circa la metà di essi (8,6 milioni) ha importi compresi tra 500 e 1.000 euro mensili; le pensioni fino a 500 euro sono circa 5 milioni e costituiscono il 21,7 per cento del totale, mentre quelle tra 1.000 e 1.500 euro sono 3,3 milioni, pari al 14,3 per cento del totale. I restanti 6 milioni di pensioni (il 26,5 per cento del totale) superano i 1.500 euro lordi mensili;
solo dal 2007, grazie ad una misura varata dall'allora Governo di centro-sinistra, i circa 5 milioni di pensionati che percepiscono trattamenti pensionistici non superiori a 500 euro mensili hanno potuto beneficiare della cosiddetta «quattordicesima». Un aiuto concreto e strutturale che ha rappresentato un sostegno importante per tanti pensionati con redditi molto bassi. Uno strumento molto importante anche perché tiene conto degli anni di contribuzione e veicola quindi l'importante messaggio per cui i contributi versati vengono comunque valorizzati, sia per determinare la misura della pensione, nel momento della liquidazione, sia successivamente, per determinare la misura del sostegno nel caso si sia maturata una pensione bassa. Uno strumento, quindi, che meriterebbe di essere riproposto aumentandone gli importi e la platea di applicazione;
tra i tanti profili che caratterizzano e spesso condizionano il dibattito sul tema previdenziale vi è la questione della incidenza della spesa pensionistica rispetto al prodotto interno lordo, soprattutto in raffronto con la media dei Paesi dell'Unione europea. A tal proposito andrebbe ricordato come il dato italiano risulti ancora fortemente condizionato dal fatto che, da un lato, l'onere complessivo dei trattamenti pensionistici viene computato al lordo degli oneri fiscali – ovvero una partita di giro per il bilancio dello Stato –, dall'altro, dal fatto che ancora non si sia giunti ad applicare la doverosa distinzione e separazione dei due grandi capitoli della spesa previdenziale e di quella assistenziale;
basti pensare che, secondo autorevoli studi, l'Italia, che viene indicata come avere una spesa pari al 16,5 per cento del prodotto interno lordo, contro una media europea del 12,4 per cento, in realtà, ha una spesa per le pensioni – comprensiva delle integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali e gestione assistenziale per i dipendenti pubblici, che valgono 20,3 miliardi di euro – che è ammontata nel 2019 a 230,25 miliardi di euro, ovvero pari al 12,88 per cento del prodotto interno lordo;
anche per quanto attiene ai profili fiscali, va sottolineato come nell'anno di imposta 2021, circa l'84 per cento della base imponibile dell'Irpef attiene a reddito da lavoro dipendente (e assimilati) e pensioni ed è, pertanto, necessario che eventuali ipotesi di riduzione del carico tributario siano finalizzate prioritariamente ai redditi bassi e medi compresi in tali categorie,
impegna il Governo:
1) ad adottare una nuova impostazione della politica di bilancio che metta al centro il tema del superamento dei divari sociali, avendo a riferimento, in particolare, la condizione di milioni di pensionati con trattamenti pensionistici al di sotto dei mille euro mensili;
2) a riprendere un serio e serrato confronto con le parti sociali, in vista della legge di bilancio per il 2024, per individuare le soluzioni più opportune per superare le attuali rigidità del sistema pensionistico, soprattutto in vista del progressivo e definitivo passaggio al metodo di calcolo contributivo, nonché per prevedere l'introduzione di una pensione di garanzia per i giovani lavoratori;
3) ad individuare le opportune risorse per ampliare gli importi e la platea dei beneficiari della cosiddetta «quattordicesima», introdotta ai sensi dell'articolo 5, commi da 1 a 4, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127;
4) ad adottare, sin dal primo provvedimento utile, le opportune iniziative volte a ripristinare l'istituto di «opzione donna» nei termini previgenti la legge di bilancio per il 2023;
5) a riconsiderare, nell'ambito del citato confronto con le parti sociali, l'esigenza di individuare le soluzioni più appropriate per delineare una puntuale contabilizzazione e separazione della spesa assistenziale e di quella previdenziale;
6) ad adottare le iniziative di competenza volte a ripristinare un meccanismo di perequazione degli assegni pensionistici all'andamento dell'inflazione che non penalizzi ulteriormente i trattamenti dei lavoratori che, avendo sempre contribuito regolarmente al finanziamento del sistema previdenziale, hanno avuto profili professionali o percorsi di carriera in base ai quali hanno maturato pensioni superiori a quattro volte il trattamento minimo Inps;
7) nell'ambito della delega per la riforma del sistema fiscale, a finalizzare eventuali riduzioni del carico tributario prioritariamente ai redditi di pensione e di lavoro dipendente e assimilati, a partire da quelli bassi e medi.
Seduta del 15 giugno 2023
Intervento in discussione generale di Arturo Scotto
Seduta del 5 luglio 2023
Intervento in dichiarazione di voto di Maria Cecilia Guerra