La Camera,
premesso che:
negli ultimi due decenni la crescita economica dell'Unione europea è stata costantemente più bassa di quella degli Usa, mentre la Cina ha recuperato rapidamente terreno. La crescita delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi e della ricchezza è stata invece assai più accentuata negli Usa e in Cina rispetto all'Unione europea. La dinamica delle emissioni di anidride carbonica per abitante ha registrato invece una netta diminuzione nell'Unione europea e negli Usa e un forte aumento in Cina;
l'indebolimento relativo della crescita economica dell'Unione europea è stato aggravato negli ultimi anni dal venir meno di tre condizioni esterne favorevoli all'Europa: la rapida crescita del commercio mondiale (per cui le aziende europee affrontano una maggiore concorrenza dall'estero e un minore accesso ai mercati esteri), la brusca perdita del più importante fornitore di energia dell'Unione europea, la Russia, a seguito dell'invasione criminale dell'Ucraina, e la messa in discussione, nei nuovi assetti geopolitici, dell'ombrello di sicurezza fornito all'Europa dagli Usa;
secondo il rapporto «The future of European competitiveness», elaborato da Mario Draghi su incarico della Commissione europea, l'obiettivo principale di un'agenda per la competitività deve essere quello di aumentare la produttività, nonché rafforzare la sicurezza. Secondo il rapporto, l'aumento di produttività è «una sfida esistenziale per l'Unione europea». Essenziale per mantenere i punti di forza del modello socioeconomico europeo e per conseguire gli obiettivi ambiziosi che l'Unione europea si è posta, quali gli alti livelli di inclusione sociale, neutralità delle emissioni di anidride carbonica e maggiore rilevanza geopolitica. Per affrontare queste sfide, il rapporto propone una nuova strategia industriale per l'Europa concentrata su tre aree principali, volte a colmare il divario nell'innovazione nei confronti di Usa e Cina, a realizzare un piano congiunto di decarbonizzazione e competitività, ad aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze. Il rapporto fornisce una serie di importanti spunti di riflessione e proposte per accrescere la competitività dell'Unione europea che toccano anche l'assetto istituzionale, con particolare riferimento alla necessità di rafforzare l'integrazione in una serie di politiche strategiche per la competitività dell'Europa, di rafforzare la governance e il bilancio dell'Unione europea, di promuovere un grande volume di investimenti aggiuntivi da finanziare, mobilitando i capitali privati e prevedendo anche nuovo debito comune. La strategia europea per il rilancio economico deve però realizzare, accanto agli obiettivi di rafforzamento e innovazione dell'industria europea e di aumento della produttività, gli obiettivi di aumento della coesione e del benessere sociale e di riduzione delle diseguaglianze che attraverso le crisi finanziaria, pandemica, climatica ed energetica sono aumentate;
in questi ultimi anni la Commissione europea ha fortemente rafforzato il quadro regolatorio e programmatico sui principali temi della politica industriale, esprimendo una visione di medio-lungo termine sui principali driver di trasformazione del sistema economico e sociale, ma è rimasta molto debole sulla capacità reale di accompagnare e sostenere queste trasformazioni. Sul piano programmatico sono stati definiti obiettivi molto ambiziosi in materia di transizione digitale (digital compass) e di transizione ambientale (fit for 55), cui si sono aggiunti gli obiettivi di autonomia strategica nell'importazione di materie prima (critical raw materials act) e di sicurezza degli approvvigionamenti critici (chips act). La realizzazione di questi obiettivi richiede enormi investimenti comuni europei in nuove tecnologie e, nel breve periodo, anche un potenziamento delle capacità industriali in settori chiave, come batterie, semiconduttori, impianti per le rinnovabili, sistemi di telecomunicazione abilitanti il 5g, dove il livello di dipendenza dalle importazioni, in particolare dalla Cina, rischia di penalizzare prospettive di crescita e di occupazione;
la creazione di una vera e propria politica industriale europea è necessaria per affrontare le nuove sfide globali e recuperare competitività, in un contesto internazionale che ha visto corposi piani di investimenti sia da parte della Cina che con l'Inflation reduction act statunitense, richiede che si prosegua con decisione e anzi si rafforzi la politica di investimenti comuni europei avviata con il NextGenerationEU. Un piano che è anche una visione del futuro europeo, che con le giuste condizionalità spinge su obiettivi di conversione ecologica e digitale e di riduzione delle diseguaglianze. Questi obiettivi sono di pari importanza e nessuno di essi può essere tralasciato. Per affrontare queste trasformazioni accompagnando le imprese europee, specialmente le piccole e medie, servono almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui (pari al 4,4-4,7 per cento del prodotto interno lordo dell'Unione europea annuo), da finanziare anche attraverso nuovo debito comune. Una politica industriale che rilanci l'economia europea puntando sull'innovazione richiede anche più integrazione europea, maggiore rapidità delle decisioni, maggior coordinamento delle politiche industriali, commerciali e fiscali degli Stati membri, modificazioni dei quadri normativi esistenti per superare il principio di unanimità e sarà necessario superare a livello europeo nazionalismi e spinte all'austerità che frenano le soluzioni europee che si rendono necessarie ad affrontare sfide che travalicano ogni frontiera;
la dimensione europea è la condizione minima per sostenere un'industria in grado di competere nella nuova globalizzazione dominata dai giganti americani e cinesi. In questo quadro è fondamentale non solo il rafforzamento delle politiche industriali integrate e i programmi di investimento comuni, ma anche il superamento dell'unanimità e del conseguente potere di veto, che impedisce di prendere decisioni rapide ed efficaci, e del processo decisionale lento e disaggregato;
l'obiettivo di una politica industriale europea non deve essere solo quello di un rilancio economico che punti sull'innovazione e sull'aumento della produttività, ma deve essere quello di assicurare la realizzazione di transizioni giuste che riducano ogni forma di diseguaglianza sociale e territoriale per aumentare la coesione nel continente e assicurare l'accesso a servizi e beni pubblici fondamentali europei a tutte e tutti i cittadini dell'Unione;
sul piano finanziario, per garantire il grande volume di risorse necessario alla strategia industriale europea occorre sia un bilancio dell'Unione europea più ambizioso, per il potenziamento delle risorse a disposizione della Commissione europea nel perseguimento degli obiettivi definiti nei diversi documenti programmatori, sia una governance economica che apra più spazi alle politiche nazionali di investimento, strumenti comuni permanenti e finanziamenti congiunti, a livello di Unione europea, per beni pubblici chiave e guadagni di produttività per creare spazio fiscale. Altrettanto importante è il versante dell'armonizzazione fiscale per evitare concorrenza fiscale tra gli Stati e concorrenza sleale tra le imprese, contrastando le pratiche di elusione fiscale e pianificazione fiscale aggressiva e riducendo al contempo i costi di compliance delle imprese che operano nel mercato comune. Altresì, l'avanzamento verso un mercato unico dei capitali è in grado di mobilitare una quota maggiore di risparmi privati europei, come indicato dal rapporto Letta «Much more than a market»;
in particolare, a sostegno di una strategia industriale europea, si dovrebbe prevedere:
a) di rendere strutturali gli investimenti comuni europei, per porre le basi di una politica industriale europea che accompagni l'innovazione e le transizioni ecologica e digitale con almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui, da finanziare anche attraverso nuovo debito comune;
b) l'utilizzo delle ingenti risorse derivanti dall'Ets, dal Cbam (meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere), dalla plastic tax europea e di altre forme di tassazione attualmente allo studio della Commissione europea (Befit) per il finanziamento di strumenti europei di sostegno alla creazione di catene del valore nei settori strategici legati alla green economy;
c) la creazione di un fondo europeo per la transizione ecologica alimentato con emissione di debito comune, garantendo all'Europa la possibilità di cofinanziare la crescita della competitività e la coesione sociale rendendo strutturale il meccanismo del NextGenerationEU. Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione servono ingenti investimenti comuni per accompagnare imprese, agricoltura, famiglie e lavoratori nella transizione ecologica, affinché sia una transizione giusta che non lascia indietro nessuno;
d) la creazione di un fondo specifico per il settore strategico dell'automotive, settore in difficoltà in diversi Paesi europei, compresa l'Italia. Proprio per questo serve un fondo europeo che accompagni la conversione ecologica e digitale del settore e che finanzi la formazione e la riprofessionalizzazione di lavoratrici e lavoratori del settore;
e) la riproposizione del fondo Sure, sperimentato durante la pandemia per sostenere l'occupazione, finalizzato ad un programma europeo di aggiornamento delle competenze dei lavoratori e di sostegno temporaneo al reddito per i lavoratori coinvolti nelle due transizioni;
f) il sostegno allo sviluppo di nuovi strumenti finanziari finalizzati a sostenere investimenti nei settori green, rafforzando i meccanismi della tassonomia europea e con precise condizionalità che incentivino l'innovazione, la riduzione delle emissioni, la qualità dell'occupazione e l'impatto sociale, promuovendo strumenti di finanza d'impatto e rendendo più trasparente i sistemi di rendicontazione non finanziaria delle imprese previsti dalla nuova direttiva sulla responsabilità sociale d'impresa;
g) la valorizzazione delle possibilità operative del Gruppo Banca europea per gli investimenti sia in relazione al finanziamento di grandi progetti previsti sui semiconduttori, sulle materie prime e sulle tecnologie net zero, sia per il sostegno agli obiettivi della capital market union, promuovendo un mercato del capitale del rischio allineato a quelli di ordinamenti concorrenti;
h) l'esclusione dal patto di stabilità degli investimenti finalizzati alla produzione di beni pubblici;
quanto alle principali leve attualmente a disposizione di una politica industriale comune, per contribuire ad un rilancio della competitività europea è necessario intervenire attraverso:
a) il potenziamento delle risorse destinate alla ricerca, avendo avuto il programma Horizon Europe per il 2021-2027 una dotazione di 95 miliardi di euro, in crescita rispetto ai precedenti cicli, ma inadeguata a sostenere la competitività del sistema industriale europeo e il presidio dei grandi temi della ricerca, a partire dall'intelligenza artificiale;
b) la creazione di infrastrutture europee di ricerca e innovazione, a partire da un grande istituto pubblico europeo per produzione, ricerca, distribuzione di vaccini e farmaci, mettendo insieme le risorse, le competenze e anche promuovendo quote di brevetti aperti allo scambio di conoscenze;
c) il rafforzamento della struttura del programma su grandi missioni in linea con l'evoluzione dei bisogni dei cittadini europei e con la produzione di nuovi beni pubblici;
d) la riforma complessiva dello strumento degli Ipcei (Important projects of common European interest) finalizzati a supportare il consolidamento di nuove catene del valore europee in settori strategici, intervenendo sul cofinanziamento strutturale con fondi della Commissione europea per favorire la più ampia partecipazione delle imprese dell'Unione, estendendo i meccanismi di finanziamento anche per i processi di industrializzazione per le filiere più strategiche – rispetto alle quali è urgente aumentare la capacità produttiva –, rendendo più trasparenti i meccanismi di sollecitazione delle imprese rafforzando il ruolo di indirizzo della Commissione, rendendo finanziabili anche gli investimenti sulla riqualificazione dei lavoratori da immettere nelle nuove value chains;
e) la creazione di reti europee della ricerca (sul modello di quanto fatto nel settore dell'high performing computing) in grado di favorire sinergie tra ricerca ed industria e aumentare il potenziale di innovazione dell'industria dell'Unione europea;
parallelamente al sostegno alla ricerca e all'innovazione, la nuova strategia di politica industriale dovrebbe porre particolare attenzione a migliorare i sistemi di istruzione e formazione e ad accompagnare i lavoratori nella duplice transizione verde e digitale, anche al fine di assicurare l'inclusione e la coesione sociale;
in questo contesto, l'Italia rimane la seconda potenza manifatturiera d'Europa, dopo la Germania. Nel 2023 l'industria manifatturiera italiana ha generato un valore aggiunto di 328 miliardi di euro, il 17,5 per cento del totale, e ha dato lavoro a 4 milioni di persone, il 15,3 per cento del totale. Sono numeri ridimensionati, rispetto a quelli del 2007, prima della grande crisi finanziaria seppure superiori alla media europea, ma l'Istat – che solo pochi giorni fa ha dovuto rettificare le previsioni sul prodotto interno lordo italiano per il 2024, riportando il tasso di crescita al più realistico 0,5 per cento – ha certificato il 21° mese consecutivo di calo della produzione industriale, confermando una tendenza negativa su beni di consumo, beni strumentali e intermedi. Soffrono particolarmente l'automotive, l'elettrodomestico, il tessile e il calzaturiero; prima del Covid, nel 2019 la quota di ricchezza generata dall'industria italiana era pari al 19,9 per cento del prodotto interno lordo. Oggi si è scesi al 18,1 per cento. In pratica, due punti in meno in soli cinque anni;
il riflesso delle difficoltà del sistema industriale italiano si ripercuote sul mondo del lavoro dove sarebbero oltre 120.000 i lavoratori a rischio, di cui 70.000 solo nell'automotive, 25.459 nella siderurgia, 8.000 nell'energia (centrali a carbone e cicli combinati), 2.000 nel settore elettrico, 4.094 nella chimica di base, 3.473 nel settore del petrolchimico e in quello della raffinazione, 8.000 nelle telecomunicazioni, per non parlare delle gravi ricadute di tali crisi sulla filiera degli appalti;
è dunque indispensabile promuovere nelle istituzioni dell'Unione europea alcune iniziative specifiche volte ad accrescere la produttività e rafforzare lo sviluppo inclusivo e sostenibile,
impegna il Governo:
1) a farsi parte attiva per rendere strutturali gli investimenti comuni, per porre le basi di una politica industriale europea che accompagni l'innovazione e le transizioni ecologica e digitale con almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui da finanziare anche attraverso nuovo debito comune, in particolare per rendere permanente e rafforzare il programma NextGenerationEU, estendendolo a tutti i settori strategici e facendolo diventare una vera leva di politica industriale europea;
2) a promuovere una nuova governance economica che superi definitivamente l'austerity con regole di bilancio che guardino, in particolare, alla crescita, agli investimenti comuni, alla tutela dei posti di lavoro e del clima, alla riduzione delle diseguaglianze e siano in grado di garantire le necessarie capacità di resilienza, prevenzione e risposta a crisi multidimensionali, complesse e transfrontaliere, per proteggere i cittadini e le imprese europee;
3) a sollecitare l'adozione di un patto sul progresso sociale, per ribadire il modello europeo di welfare su salario minimo, rafforzamento della contrattazione collettiva, nuovi diritti per i nuovi lavori, regolamentazione dell'intelligenza artificiale e delle piattaforme digitali;
4) a contribuire a portare avanti, senza rallentare, gli impegni sui tempi di azzeramento delle emissioni nette per realizzare un'economia europea carbon free strategicamente autonoma, anche attraverso la previsione di uno specifico fondo europeo per la transizione ecologica alimentato con emissione di debito comune, così da raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione accompagnando adeguatamente imprese, agricoltura, famiglie e lavoratori nella transizione ecologica, affinché sia una transizione giusta che non lasci indietro nessuno;
5) a sostenere la costituzione di una capacità fiscale comune e nuovi strumenti di imposizione fiscale propri, tali da consentire rapidi ed efficaci interventi anticiclici e da dotare di risorse adeguate le politiche europee, in particolare finalizzate a finanziare beni pubblici comuni, a promuovere gli investimenti a sostegno dello sviluppo e della coesione territoriale, per accompagnare la duplice transizione verde e digitale, nonché per assicurare il rafforzamento delle priorità del pilastro sociale e sanitario;
6) a favorire il completamento e la modernizzazione del mercato interno per rilanciare il modello sociale e produttivo europeo, a partire dai settori della finanza, dell'energia, della tecnologia digitale, delle telecomunicazioni e della difesa comune, per garantire l'autonomia strategica dell'Unione europea sia in materia di sicurezza esterna, sia in relazione all'innovazione tecnologica, che dovrà rafforzarsi in termini di capacità e know-how mettendo in comune competenze, ricerca e strumenti, considerato l'emergere di nuovi tipi di minacce ibride, dagli attacchi cyber-informatici a quelli alle infrastrutture strategiche, fino alle politiche dell'aerospazio;
7) a raccomandare la creazione di un fondo specifico per il settore strategico dell'automotive, che accompagni la conversione ecologica e digitale del settore, finanziando altresì la formazione e la riprofessionalizzazione di lavoratrici e lavoratori del settore;
8) a sostenere l'adozione di un Industrial act e una revisione del regime degli aiuti di Stato per sostenere le imprese europee nelle grandi transizioni ecologica e digitale dei prossimi anni, creando nuove catene del valore europee in settori strategici;
9) a promuovere la partecipazione delle imprese italiane alla creazione delle nuove catene del valore europee promosse dalla Commissione europea, soprattutto nell'ambito degli Ipcei, allineando la politica industriale italiana agli obiettivi europei e dando concreto sostegno al tessuto delle piccole e medie imprese, con agevolazioni per investimenti, in particolare nella digitalizzazione e nell'intelligenza artificiale;
10) a sollecitare la costruzione di altri strumenti sul modello di Sure per accompagnare e proteggere lavoratrici, lavoratori e imprese nelle transizioni digitale ed ecologica, affinché siano giuste e non lascino indietro nessuno;
11) a difendere la politica di coesione, uno degli strumenti di maggior successo della storia dell'Unione europea e che deve essere rinnovata e potenziata per ridurre le diseguaglianze territoriali tra Nord e Sud, tra aree urbane e interne;
12) a favorire l'armonizzazione dei livelli di tassazione, secondo parametri di equità e trasparenza, per eliminare i «paradisi fiscali» all'interno dell'Unione europea;
13) a promuovere il superamento del diritto di veto, il rafforzamento del bilancio europeo e del Parlamento europeo, l'introduzione di nuovi strumenti di partecipazione democratica.