La Camera,
premesso che:
il 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999;
il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini (già enunciato agli articoli 2, 3 e 13 del previgente Trattato istitutivo della Comunità europea), inserendolo tra i valori (articolo 2 del Trattato sull'Unione europea) e tra gli obiettivi dell'Unione (articolo 3, paragrafo 3, Trattato sull'Unione europea); la dichiarazione n. 19 annessa ai Trattati ha affermato che l'Unione mirerà a lottare contro tutte le forme di violenza domestica, impegnando gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire tali atti criminali e per sostenere e proteggere le donne che hanno subito violenza;
in tale contesto un riferimento fondamentale continua a essere rappresentato dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cosiddetta Convenzione di Istanbul del 2011), primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza; la Convenzione, oltre a intervenire specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, quale fenomeno non concernente solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini e anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela, specifica i seguenti obiettivi: proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; contribuire a eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne; predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica; promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica;
l'8 marzo 2022, al fine di adottare delle misure più incisive in materia, la Commissione europea ha proposto una nuova direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, per garantire un livello minimo di protezione da tale forma di violenza all'interno di tutto il territorio europeo;
il 6 febbraio 2024 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo sul testo della direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica;
il 24 maggio 2024 è stata approvata in via definitiva e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea la direttiva (UE) n. 2024/1385 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 maggio 2024 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica che gli Stati membri devono recepire nel diritto nazionale entro tre anni. Scopo dichiarato della direttiva è quello di «fornire un quadro giuridico generale in grado di prevenire e combattere efficacemente la violenza contro le donne e la violenza domestica in tutta l'Unione. A tal fine essa rafforza e introduce misure in relazione alla definizione dei reati e delle pene irrogabili, alla protezione delle vittime e all'accesso alla giustizia, all'assistenza alle vittime, ad una migliore raccolta di dati, alla prevenzione, al coordinamento e alla cooperazione» (considerando 1). Con tale intervento, l'Unione europea sostiene gli impegni internazionali assunti dagli Stati membri per combattere e prevenire la violenza contro le donne e la violenza domestica, in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e, ove pertinente, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica e la convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro sull'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, firmata a Ginevra il 21 giugno 2019. La nuova direttiva prevede misure tese a prevenire la violenza contro le donne e la violenza domestica e definisce norme per la protezione delle donne che hanno subito tali reati; in particolare, il considerando 46 della direttiva prende in considerazione il monitoraggio elettronico, sottolineando come tale misura consenta, ove possibile, di assicurare il rispetto di ordini urgenti di allontanamento, ordinanze restrittive e ordini di protezione, di registrare prove di violazioni di tali misure e di potenziare la vigilanza sugli autori di reati. Ove disponibile, opportuno e pertinente, tenendo conto delle circostanze del caso e della natura giuridica del procedimento, il monitoraggio elettronico è destinato a garantire l'applicazione di ordini urgenti di allontanamento, ordinanze restrittive e ordini di protezione, informando le donne che hanno subito violenza sulle sue capacità e sui suoi limiti;
in adempimento agli obblighi internazionali, già a partire dall'introduzione del reato di stalking nel 2009, l'Italia ha adottato numerosi provvedimenti atti a prevenire il fenomeno della violenza domestica;
con la legge 27 giugno 2013, n. 77, l'Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione precisa che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella sfera pubblica sia nella sfera privata;
a pochi mesi di distanza, il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, recante misure contro la violenza di genere, ha per la prima volta definito con chiarezza la centralità e la peculiarità della violenza compiuta entro le mura domestiche da chi ha vincoli familiari o affettivi con la persona colpita; ha, inoltre, introdotto profonde modifiche processuali a tutela della vittima, con l'obiettivo, da un lato, di rafforzare gli strumenti repressivi, secondo un disegno che tenga conto delle caratteristiche delle violenze di genere, e, dall'altro, con l'intenzione di implementare gli strumenti volti a tutelare la vittima stessa. Ha, poi, introdotto misure di sostegno per le donne e i minori coinvolti nella fase processuale: modalità protette per le testimonianze, patrocinio a spese dello Stato, dovere del giudice di fornire informazioni rispetto alle modifiche delle misure cautelari, processi più rapidi e l'estensione del permesso di soggiorno alle donne straniere che hanno subito violenza domestica slegato dal permesso del marito;
con la legge 11 gennaio 2018, n. 4, recante «Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici», sono state novellate alcune norme del codice civile, di quello penale e di procedura penale, introducendo nuove tutele per gli orfani di crimini domestici, intesi come figli minori o maggiorenni economicamente non autosufficienti, i quali siano divenuti orfani di un genitore a seguito di omicidio posto in essere in danno dello stesso genitore dal coniuge, anche separato o divorziato, dall'altra parte dell'unione civile, pure se l'unione civile è cessata, ovvero dalla persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza;
la legge 19 luglio 2019, n. 69 (recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere»), denominata «codice rosso», contiene disposizioni di diritto penale sostanziale, così come ulteriori disposizioni di carattere processuale; fra le novità in ambito procedurale, vi è l'introduzione del «doppio binario» per i reati considerati indice di violenza domestica, in relazione ai quali è stata prevista un'accelerazione per l'avvio del procedimento penale, con l'effetto della più celere eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime; inoltre, è stata modificata la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nella finalità di consentire al giudice di garantirne il rispetto anche per il tramite di procedure di controllo attraverso mezzi elettronici o ulteriori strumenti tecnici, come il braccialetto elettronico. Nello specifico, il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi viene ricompreso tra quelli che permettono l'applicazione di misure di prevenzione; la legge ha, poi, introdotto quattro nuove fattispecie di reato: il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (sexting e revenge porn); il reato di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (cosiddetto omicidio di identità); il reato di costrizione o induzione al matrimonio; il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa;
sul versante dei giudizi civili, il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (cosiddetta riforma Cartabia), ha introdotto, nel codice di procedura civile, la sezione «Della violenza domestica o di genere», con l'obiettivo di scongiurare, nei procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere, poste in essere da una parte nei confronti dell'altra o dei figli minori, fenomeni di vittimizzazione secondaria; la mancata attenzione al tema della vittimizzazione secondaria è stata oggetto di specifici rilievi mossi alle istituzioni italiane nel rapporto Grevio adottato il 15 novembre 2019 e pubblicato il 13 gennaio 2020 all'esito dell'attività del gruppo di esperti chiamato a verificare l'applicazione della Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77. Per contrastare questa forma di violenza nell'ambito dei procedimenti disciplinati dal nuovo rito in materia di persone, minorenni e famiglie, è stata creata una sorta di «corsia preferenziale e differenziata» per tali giudizi, che dovranno avere una trattazione più rapida e connotata da specifiche modalità procedurali. In presenza di allegazioni di violenza o di abuso, il procedimento deve essere trattato secondo una disciplina processuale connotata da specialità, al fine di verificare, già dalle prime fasi processuali, se quanto allegato dalla parte sia o meno fondato. Particolare attenzione, poi, è dedicata allo svolgimento dell'udienza ove il rischio di vittimizzazione secondaria è altissimo: la vittima di violenza non può essere costretta ad essere presente in udienza con il presunto autore della violenza senza l'adozione di particolare cautele; non può essere tentata la conciliazione (considerata anche la posizione di subordinazione di una parte rispetto all'altra nelle relazioni contraddistinte da violenza); non è consentito il ricorso alla mediazione, vietata in presenza di violenza domestica, e sono previsti particolari accorgimenti per l'ascolto del minore;
quanto alla materia penale, con il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (cosiddetta riforma Cartabia), sono stati esclusi, dall'ambito di operatività dell'articolo 131-bis del codice penale (non punibilità per particolare tenuità del fatto), i reati riconducibili alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77 (i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 558-bis, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, comma 1, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, comma 1, numero 1, e comma 2, 583, comma 2, 583-bis, 593-ter, 600-bis, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-undecies, 612-bis, 612-ter, nonché dall'articolo 19, comma 5, della legge 22 maggio 1978, n. 194);
la legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di bilancio per il 2022), in particolare il comma 149 dell'articolo 1, ha reso strutturale l'adozione, da parte del Governo, di un Piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica e ha delineato un sistema di governance composto da una cabina di regia interistituzionale e da un osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica. Nella medesima legge sono stati introdotti in modo strutturale i finanziamenti per l'attuazione di tale piano e quelli alla rete dei centri antiviolenza;
la legge 9 febbraio 2023, n. 12, ha previsto l'istituzione di una Commissione bicamerale d'inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere con i seguenti compiti: svolgere indagini sulle reali dimensioni e cause del femminicidio e, più in generale, di ogni forma di violenza di genere; monitorare la concreta attuazione della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nonché di ogni altro accordo sovranazionale e internazionale in materia e della legislazione nazionale ispirata agli stessi principi, con particolare riguardo al decreto-legge n. 93 del 2013 e alla legge n. 69 del 2019 (cosiddetto codice rosso); accertare le possibili incongruità e carenze della normativa vigente in materia rispetto allo scopo di tutelare la vittima della violenza e gli eventuali minori coinvolti, al fine di una sua eventuale revisione (con specifico riferimento alla normativa penale concernente le molestie sessuali perpetrate in luoghi di lavoro), come pure a proseguire l'analisi degli episodi di femminicidio, verificatisi a partire dal 2016, per accertare se siano riscontrabili condizioni o comportamenti ricorrenti, valutabili sul piano statistico, allo scopo di orientare l'azione di prevenzione; accertare il livello di attenzione e la capacità di intervento delle autorità e delle amministrazioni pubbliche competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza; verificare, come raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità, la realizzazione di progetti educativi nelle scuole; proporre soluzioni di carattere legislativo e amministrativo per realizzare adeguata prevenzione e contrasto ad ogni forma di violenza di genere, nonché per tutelare la vittima della violenza e gli eventuali minori coinvolti; valutare, inoltre, la necessità di redigere testi unici, al fine di implementare la coerenza e la completezza della regolamentazione in materia di violenza sulle donne; monitorare il lavoro svolto dai centri antiviolenza operanti sul territorio, ivi compresi i centri di riabilitazione per uomini maltrattanti, e l'effettiva applicazione da parte delle regioni del Piano antiviolenza e delle linee guida nazionali per le aziende sanitarie e ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle vittime di violenza; verificare l'effettiva destinazione delle risorse stanziate dal decreto-legge n. 93 del 2013 e dalle leggi di stabilità e di bilancio alle strutture che si occupano di violenza di genere e fare in modo che siano assicurati finanziamenti certi e stabili al fine di evitarne la chiusura;
la legge 8 settembre 2023, n. 122 (cosiddetto codice rosso rafforzato), ha attribuito ai procuratori della Repubblica e ai procuratori generali presso le corti d'appello un potere di vigilanza sul rispetto del termine entro cui devono essere assunte informazioni dalle donne che hanno subito violenza domestica e di genere, assicurando una più piena tutela e garantendo il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria superiore, nel caso di inerzia del pubblico ministero designato;
nel mese di settembre del 2023, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha ribadito l'importanza di garantire una risposta rapida ed efficace da parte delle forze dell'ordine e del sistema giudiziario alle condotte riconducibili alla violenza di genere, manifestando, in relazione al nostro Paese, preoccupazione per i dati che riflettono una percentuale costante di procedimenti sulla violenza domestica e sessuale archiviati nella fase delle indagini preliminari, un uso limitato degli ordini di protezione e un tasso significativo della loro violazione;
nella legge 24 novembre 2023, n. 168 («nuovo codice rosso»), che si pone in linea di continuità con tali interventi normativi, vi sono espressamente la violenza sulle donne, nelle sue molteplici declinazioni, fino al cosiddetto femminicidio, e la violenza domestica, concettualmente distinta dalla prima – anche se i due fenomeni sovente si sovrappongono – e forse più insidiosa, perché nel contesto delle «relazioni strette» le dinamiche di ambivalenza che talora innervano le condotte e la dipendenza affettiva, psicologica, spesso anche economica, della vittima dall'autore finiscono con l'indebolire la capacità reattiva della prima, rendendola particolarmente vulnerabile. Nello specifico, il legislatore ha introdotto nuove procedure e strumenti per la tutela delle donne che hanno subito violenza per consentire una preventiva ed efficace valutazione e gestione del rischio di letalità, di reiterazione e di recidiva. Si tratta di misure che, non solo, potenziano l'intervento delle forze dell'ordine nella delicatissima fase iniziale delle indagini – in cui, dati alla mano, le donne sono maggiormente esposte –, ma addirittura anticipano le tutele in funzione della maggior sicurezza delle persone potenzialmente esposte a pericolo. L'istituto dell'ammonimento del questore è stato opportunamente esteso ai «reati spia», nella nuova consapevolezza che quei reati, tradizionalmente considerati minori, nel contesto delle relazioni familiari ed affettive, assumono valenza sintomatica rispetto a situazioni di pericolo per l'integrità psico-fisica delle persone. Al fine di interrompere tempestivamente il cosiddetto «ciclo della violenza», sono state estese le misure di prevenzione (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale) ai soggetti semplicemente indiziati dei delitti più ricorrenti nella violenza contro le donne e nella violenza domestica. La velocità di intervento, fondamentale in relazione a questi fenomeni delittuosi, ha informato l'intero provvedimento, come confermato dalla trattazione prioritaria dei processi anche per i reati spia e dalla maggiore celerità nella trattazione degli affari in materia di violenza contro le donne e domestica anche nella fase cautelare. Quanto alle misure «precautelari», si è consentito l'arresto in flagranza differita superando così le difficoltà operative che l'arresto ha sino ad oggi incontrato con riferimento a reati, quali lo stalking e i maltrattamenti in famiglia, che, avendo natura abituale, devono comporsi di una pluralità di atti non sempre accertabili dalle forze dell'ordine in occasione del loro intervento. Sempre nell'ottica della prevenzione, cruciali sono le norme sul rafforzamento delle misure cautelari e dell'uso del braccialetto elettronico. Ispirata dalla ratio di massimizzare la capacità difensiva del tracciamento di prossimità, la legge n. 168 del 2023 ha reso obbligatorio il controllo elettronico nel divieto di avvicinamento. La possibilità di assistere il divieto di avvicinamento con il dispositivo di controllo tecnico – cosiddetto braccialetto elettronico – ha corrisposto all'esigenza di accentuare la funzione protettiva della misura, che per i reati di genere si pone in termini peculiari. Il controllo elettronico è stato introdotto appunto per gli arresti domiciliari, con l'inserimento dell'articolo 275-bis del codice di procedura penale, ad opera dell'articolo 16, comma 2, del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 («Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della giustizia»), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4. Il testo originario dell'articolo 275-bis rimetteva l'applicazione del controllo remoto al giudice («se lo ritiene necessario»), mentre il testo odierno, modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 («Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria»), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, sancisce una presunzione relativa di adeguatezza di tali procedure tecniche («salvo che [il giudice] le ritenga non necessarie»), sicché gli arresti domiciliari con controllo elettronico sono adesso la regola e quelli «semplici» l'eccezione (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 aprile-19 maggio 2016, n. 20769). Quale modalità esecutiva del divieto di avvicinamento, il controllo elettronico ha una funzione dedicata, che ne distingue la stessa operatività pratica. Invero, mentre negli arresti domiciliari il braccialetto è un presidio unidirezionale, che consente alle forze dell'ordine di monitorare un'eventuale evasione, nel divieto di avvicinamento esso è un presidio bidirezionale, che, in caso di avvicinamento vietato, allerta non solo le forze dell'ordine, ma anche la vittima, dotata di apposito ricettore. Il divieto di avvicinamento può essere sia un divieto «fisso», riferito a luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa – luoghi che occorre dunque indicare nell'ordinanza applicativa (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 29 aprile-28 ottobre 2021, n. 39005) –, sia un divieto «mobile», riferito proprio alla persona offesa, nel qual caso l'avvicinamento può dipendere anche dalla casualità degli spostamenti e la pertinente segnalazione si rivela vieppiù essenziale in funzione di allerta. All'indomani dell'entrata in vigore della legge n. 168 del 2023, la misura cautelare del divieto di avvicinamento può essere adottata per i seguenti reati: violazione degli obblighi di assistenza famigliare (articolo 570 del codice penale); abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (articolo 571 del codice penale); maltrattamenti contro familiari e conviventi (articolo 572 del codice penale); tentato omicidio (articolo 575 del codice penale); lesioni personali, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate (articolo 582 del codice penale); deformazione mediante lesioni permanenti al viso (articolo 583-quinquies del codice penale); riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (articolo 600 del codice penale); prostituzione minorile (articolo 600-bis del codice penale); pornografia minorile (articolo 600-ter del codice penale); detenzione o acceso a materiale pornografico (articolo 600-quater del codice penale); tratta di persone (articolo 601 del codice penale); acquisto e alienazione di schiavi (articolo 602 del codice penale); violenza sessuale (articolo 609-bis del codice penale) anche aggravata (articolo 609-ter del codice penale); atti sessuali con minorenni (articolo 609-quater del codice penale); corruzione di minorenne (articolo 609-quinquies del codice penale); violenza sessuale di gruppo (articolo 609-octies del codice penale); minaccia aggravata (articolo 612, comma 2, del codice penale); atti persecutori (articolo 612-bis del codice penale). La misura coercitiva, per questi reati, deve essere sempre accompagnata dall'imposizione – in precedenza facoltativa – delle modalità di controllo a distanza con la contestuale prescrizione di mantenere una determinata distanza, non inferiore a cinquecento metri, dalla casa familiare o da determinati luoghi frequentati dalla persona offesa. Per effetto della riforma è inoltre ora previsto che, nei casi di allontanamento dalla casa familiare per condotte di violenza domestica e di genere, la misura possa essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 280 del codice di procedura penale per l'applicazione delle misure cautelari; il giudice, poi, con lo stesso provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento, può applicare, anche congiuntamente, una misura più grave qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione delle modalità di controllo a distanza ovvero quando ne sia accertata, da parte dell'organo a ciò deputato, la non fattibilità tecnica;
con sentenza 4 novembre 2024, n. 173, la Corte costituzionale ha reputato infondati i dubbi sulla legittimità della previsione di una distanza minima di 500 metri e dell'obbligo di applicazione alla misura cautelare del divieto di avvicinamento del braccialetto elettronico. Per la Corte costituzionale, tale dispositivo, di scarso peso, applicato alla caviglia dell'indagato e quindi normalmente invisibile ai terzi, non impedisce alla persona soggetta al divieto di avvicinamento di uscire dalla propria abitazione e soddisfare tutte le proprie necessità di vita, purché essa non oltrepassi il limite dei cinquecento metri dai luoghi specificamente interdetti o da quello in cui si trova la vittima del reato in relazione al quale il divieto stesso è stato disposto. La distanza indicata non appare in sé esorbitante e corrisponde alla funzione pratica del tracciamento di prossimità, che è quella di dare uno spazio di tempo sufficiente alla potenziale vittima di più gravi reati per trovare sicuro riparo e alle forze dell'ordine per intervenire in soccorso. Negli abitati più piccoli la distanza di cinquecento metri può rivelarsi stringente, ma, ove ciò si verifichi, all'indagato ne viene un aggravio che può ritenersi sopportabile, quello di recarsi nel centro più vicino per trovare i servizi di cui necessita, senza rischiare di invadere la zona di rispetto. A un sacrificio relativamente sostenibile per l'indagato si contrappone l'impellente necessità di salvaguardare l'incolumità della persona offesa, la cui stessa vita è messa a rischio dall'imponderabile e non rara progressione dal reato-spia (tipicamente lo stalking) al delitto di sangue. Oltre che non irragionevole, questo bilanciamento asseconda il criterio di priorità enunciato dall'articolo 52 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva con legge 27 giugno 2013, n. 77. Nel disciplinare le misure urgenti di allontanamento imposte dal giudice, inclusive del divieto di avvicinamento, la norma convenzionale stabilisce infatti che deve darsi «priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo». Il controllo elettronico nell'attuazione delle ordinanze restrittive e degli ordini di protezione è inoltre specificamente previsto dalla direttiva (UE) n. 2024/1385 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica (considerando 46). Se l'indagato consente a indossare il dispositivo e questo non può funzionare per motivi tecnici (quale il difetto della copertura di rete), il giudice non è tenuto a imporre una misura più grave del divieto di avvicinamento, ma deve rivalutare le esigenze cautelari della fattispecie concreta, potendo, all'esito della rivalutazione, in base ai criteri ordinari di adeguatezza e proporzionalità, scegliere non solo una misura più grave (in primis, il divieto od obbligo di dimora ex articolo 283 del codice di procedura penale), ma anche una misura più lieve (segnatamente, l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ex articolo 282 del codice di procedura penale);
l'aumento dei provvedimenti con i quali è stata disposta la misura cautelare del divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico (se ne contano circa 4.800) ha comportato il naturale incremento dei casi di malfunzionamento, per lo più «falsi allarmi», solitamente correlati alla mancanza di copertura di rete (non sono mancati casi, sporadici, in cui la mancata attivazione dell'allarme è dipesa da un errato uso del dispositivo da parte della persona offesa). Negli altri Paesi europei il numero dei braccialetti elettronici antistalking attivi è in numero assai più contenuto e ci si avvale di operatori esterni con il compito di filtrare le segnalazioni, avvisando la persona offesa e le forze dell'ordine solo in presenza di reali allarmi. In Francia, dal 2019, è attivo il cosiddetto bar, «bracelet anti-rapprochement». Si tratta di un dispositivo di sorveglianza elettronica mobile che consente: di geolocalizzare in tempo reale una persona da proteggere e una persona da sorvegliare (autore accertato o presunto) in un contesto di «violenza coniugale» in senso lato; di beneficiare di una zona di protezione, composta da una zona di pre-allerta («distance de pré-alerte») e di una zona di allerta. La zona di pre-allerta è il doppio della distanza di allarme: se l'uomo soggetto a misura supera il perimetro di «pre-alert», gli viene inviato un avviso e viene contattato dall'operatore addetto alla sorveglianza invitandolo ad allontanarsi. Se viene superata la distanza di allarme, il teleoperatore avverte la donna e le forze dell'ordine perché possano intervenire. Se la persona protetta si sente minacciata: può attivare il pulsante «sos» sulla sua unità mobile in qualsiasi momento (7 giorni su 7 e 24 ore su 24), così da essere contattata dal teleoperatore responsabile dei bar; può fare una richiesta di richiamo sulla sua unità mobile e, anche in questo caso, viene contattata dal teleoperatore responsabile dei bar e può inviare richieste di modifiche al magistrato incaricato della misura (Procureur/JAP/JAF). Nel 2023, i bar in uso erano 1.000. Oltre al bar, il sistema francese prevede anche un dispositivo telefonico di assistenza di protezione delle persone in grave pericolo, chiamato «tgd» («téléphone grave danger») che riguarda solo la vittima;
la misura cautelare del divieto di avvicinamento, a differenza della misura cautelare degli arresti domiciliari – in relazione alla quale non possono essere, comunque, concessi gli arresti domiciliari a chi sia stato condannato per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede, salvo che il giudice ritenga, sulla base di specifici elementi, che il fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con tale misura (articolo 284, comma 5-bis, del codice di procedura penale) –, può essere concessa anche a chi è stato condannato in precedenza per il reato di cui all'articolo 387-bis del codice penale (violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa); è opportuno valutare una modifica dell'articolo 282-ter del codice di procedura penale per rendere ostativa l'applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento all'autore di condotte di violenza domestica e di genere che, nei cinque anni precedenti, ha riportato condanna per il reato di cui all'articolo 387-bis del codice penale o 385 del codice penale, mercé l'introduzione di una presunzione di inadeguatezza di tale misura cautelare;
il 31 luglio 2024 la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere ha approvato all'unanimità la relazione sulla ricognizione degli assetti normativi in materia di prevenzione e contrasto della violenza di genere per la redazione di un testo unico, al fine di restituire sistematicità al quadro normativo a tutela delle donne che hanno subito violenza, implementare la coerenza e la completezza della regolamentazione in materia e rendere più agevole la conoscenza dell'impianto legislativo predisposto dal nostro ordinamento. Come evidenziato dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nel parere n. 929 del 15 aprile 2016, «quello del testo unico compilativo è un importante strumento di qualità della regolamentazione (cosiddetta better regulation), sinora poco quando non per nulla utilizzato (non constano testi unici redatti ai sensi del citato articolo 17-bis), e che andrebbe, invece, debitamente valorizzato». Esigenza, questa, che si rende tanto più impellente quanto più ci si riferisca a materie particolarmente delicate, quale quella del contrasto alla violenza di genere, in cui è fondamentale garantire la pronta reperibilità e riconoscibilità delle norme vigenti e dei concreti strumenti messi a disposizione da parte dello Stato a favore della collettività. Alla luce dell'insieme delle disposizioni già introdotte negli ultimi anni in materia di violenza contro le donne, la predisposizione di un testo unico di carattere compilativo risponde ad un'esigenza di organicità e di effettività dell'ordinamento giuridico, al fine di consentire che le disposizioni vigenti possano trovare una sede comune utile sia per le donne, per rafforzarne la consapevolezza del valore della loro scelta di denuncia e di autodeterminazione, sia per gli addetti ai lavori chiamati ad assicurare la piena tutela della persona offesa, grazie ad un quadro più efficace nell'assicurare reale conoscibilità e quindi effettività delle norme;
nel contrasto alla violenza sulle donne è inoltre emerso chiaramente negli anni, non ultimo dai lavori della Commissione femminicidio della XVIII legislatura, che, tra le priorità di intervento, vi è l'esigenza di una necessaria formazione e specializzazione di tutto il personale che interviene con donne e minori vittime di violenza, a partire da tutte le operatrici e gli operatori della giustizia;
al fine di garantire che le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica siano immediatamente individuate e ricevano un'assistenza adeguata, è necessario che lo Stato garantisca, stanziando adeguate risorse finanziarie ed organizzative, che gli operatori, le operatrici e le professioniste e i professionisti che possono entrare in contatto con le vittime – polizia e carabinieri, magistrati, personale della giustizia, personale sanitario e socio-sanitario, insegnanti, polizia municipale, personale della pubblica amministrazione - siano coinvolti in un'apposita azione di formazione, di aggiornamento e di riqualificazione, con natura obbligatoria, continua e permanente, al fine di mettere in atto una corretta gestione del fenomeno, nonché di permetterne una corretta lettura, necessaria a consentire un'efficace e tempestiva azione di contrasto e prevenzione ed evitare qualunque forma di sottovalutazione del rischio che corrono le donne, anche denuncianti, della violenza di genere e domestica, affinché anche le organizzazioni responsabili possano coordinare efficacemente le loro azioni, operando in sinergia con gli ordini professionali, con la Conferenza delle regioni, con l'Anci, Upi, Uncem, con la Conferenza dei rettori delle università italiane, con la Scuola nazionale dell'amministrazione, con il Formez Pa e con le associazioni attive nel contrasto al fenomeno e con i centri antiviolenza;
la violenza economica è una delle ragioni per cui le donne faticano a denunciare violenze in ambito familiare, soprattutto quando il partner detiene il potere economico, il controllo completo sulle finanze e sulle risorse familiari; fondamentale è, dunque, il sostegno economico alle donne che hanno subito violenza per aiutarle a conseguire l'indipendenza finanziaria dal partner violento. Quella economica è la forma più subdola di violenza, finora non adeguatamente indagata nella sua portata pervasiva e di potenziamento dello squilibrio e delle disuguaglianze nel rapporto dell'uomo e della donna. In realtà, è una forma di violenza che ha già trovato riconoscimento proprio nella Convenzione di Istanbul. La tematica, peraltro, si sposa e si lega a quella della formazione: è necessario lavorare sulla consapevolezza femminile delle opportunità di riscatto e crescita, incoraggiando le donne a riconoscere e valorizzare le proprie potenzialità. In tal senso gli strumenti di welfare e di sostegno ai percorsi di libertà e autonomia delle donne rivestono un ruolo estremamente importante. La violenza economica affonda le proprie radici in un terreno di pregiudizi patriarcali e culto dei ruoli di genere che in una società equa, moderna e civile non possono essere tollerati. Partendo dalle singole realtà dei nuclei familiari, sono spesso e troppo radicati atti di costante controllo e monitoraggio del comportamento di una persona in termini di uso e distribuzione del denaro. In numerosissime famiglie è ancora invalsa l'abitudine di delegare il controllo e le decisioni economiche a colui che apporta l'unico o il maggior reddito rispetto a chi contribuisce con il lavoro domestico, la cura della casa, dei figli e degli anziani o con un lavoro meno redditizio. Gli uomini, nel delegare alle donne le mansioni nella vita privata e familiare, svolgono attività lavorativa a tempo pieno, ricavando un reddito maggiore che si traduce, nel lungo periodo, in una pensione più alta. Questa organizzazione dei ruoli, limitando la libertà, si traduce in una violenza economica che le donne, talvolta, faticano a riconoscere come vera e propria violenza, soprattutto allorché provengano da un contesto familiare e culturale in cui viene assunta quale fondamento del buon funzionamento della famiglia tradizionale. La violenza economica, non percepita o tollerata, con il passare del tempo impedisce alla vittima di reagire. La vittima economicamente e psicologicamente dipendente dall'uomo violento, non essendo autonoma ed essendo invece tagliata fuori dal mondo del lavoro, subisce passivamente le violenze non avendo altre prospettive. L'assenza di un'autonomia economica porta a un lento e graduale stato di sottomissione che costituisce un terreno fertile per il fiorire della violenza psicologica, verbale e fisica. La violenza economica non è solo la condotta del «capo famiglia» che nega ai componenti del nucleo familiare risorse economiche autonome, scoraggiando o impedendo un'attività lavorativa, un'entrata finanziaria personale, un proprio conto corrente, una propria carta di credito oppure quella che vieta di destinare le autonome risorse secondo la volontà del familiare, ma è anche il non fornire spiegazioni su documenti di cui si chiede la firma – o, peggio ancora, in cui si appone falsamente la firma – celandone i rischi debitori e le motivazioni. Alcune importanti misure sono state già introdotte dal legislatore: è il caso dell'istituzione del «reddito di libertà», introdotto nel 2020 e reso strutturale a partire dal 2024, un aiuto economico mensile per favorire, attraverso l'indipendenza economica, percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne che hanno subito violenza e che si trovano in condizione di particolare vulnerabilità o di povertà. A decorrere dal 1° gennaio 2024, è stato poi istituito l'assegno di inclusione con l'obiettivo di contrastare la povertà, la fragilità e l'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro. Si tratta di una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata alla prova dei mezzi e all'adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa. Da tale percorso sono esonerati i componenti della famiglia inseriti nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere e le donne che hanno subito violenza, con o senza figli, prese in carico da centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni o dai servizi sociali nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere;
in questo contesto, il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, che prevede il diritto a un congedo retribuito per le donne vittime di violenza di genere, rappresenta un'importante misura di sostegno, contribuendo a offrire un'opportunità di protezione e di ripresa per coloro che si trovano in situazioni di difficoltà;
di estrema importanza sono per favorire l'inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza si sono anche introdotti sgravi contributivi: l'articolo 1 della legge 30 dicembre 2023, n. 213, ha previsto che ai datori di lavoro privati che, nel triennio 2024-2026, assumeranno donne disoccupate vittime di violenza, al fine di favorirne il percorso di uscita dalla violenza attraverso il loro inserimento nel mercato del lavoro, è riconosciuto l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali, con esclusione dei premi e contributi all'Inail, nella misura del 100 per cento, nel limite massimo di importo di 8.000 euro annui riparametrato e applicato su base mensile. In sede di prima applicazione, tale previsione si applica anche a favore delle donne vittime di violenza che hanno usufruito della predetta misura nell'anno 2023. Completa il quadro il microcredito di libertà, strumento finanziario innovativo introdotto dal 2020, per l'emancipazione economica delle donne che hanno subito violenza. L'indipendenza economica alle donne che hanno subito violenza di genere, tuttavia, deve essere assicurata agevolando l'inserimento – o il reinserimento – delle stesse nel mondo del lavoro e, al contempo, prevedendo il riconoscimento di un «beneficio fiscale» temporaneo che consenta loro di rendersi autonome nella delicatissima fase che segue alla denuncia e all'inizio del procedimento penale; autonomia che diventa ancora più importante quando sono presenti uno o più figli minori a carico della vittima. Tale risultato può essere raggiunto attraverso l'introduzione di una tassazione agevolata dei redditi prodotti dalle lavoratrici che hanno subito violenza di genere – beneficiarie di interventi di protezione che siano certificati dai servizi sociali, dai centri antiviolenza o dalle case rifugio – con una percentuale di abbattimento dell'imponibile fiscale da aumentare in base al numero di figli minori a carico della lavoratrice. Il suddetto regime premiale beneficerebbe anche i datori di lavoro, in termini di minori oneri fiscali e contributivi a loro carico, in ragione della riduzione del cuneo fiscale, da aggiungersi agli sgravi contributivi già esistenti;
la legge 5 marzo 2024, n. 21, ha inserito l'educazione finanziaria nell'ambito dell'insegnamento dell'educazione civica. In questo modo, in un'ottica interdisciplinare e trasversale, acquisiscono centralità nel percorso formativo scolastico la finanza, il risparmio e l'investimento, con l'obiettivo di rendere i ragazzi cittadini consapevoli e capaci di partecipare pienamente alla vita economica del Paese. Il Ministero dell'istruzione e del merito definirà le linee guida per lo studio dell'educazione finanziaria nelle scuole, d'intesa con la Banca d'Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione e sentite le associazioni rappresentative degli operatori e degli utenti bancari e finanziari. Inoltre, il Ministero dell'istruzione e del merito, la Banca d'Italia e la Consob sottoscriveranno appositi accordi per promuovere la cultura finanziaria, nel rispetto dell'autonomia scolastica. Occorre continuare questo percorso intrapreso all'interno degli istituti scolastici, prevedendo che l'insegnamento scolastico dell'educazione civica assuma come riferimento il tema dell'educazione al contrasto di ogni forma di violenza nei confronti delle donne, quello dell'educazione finanziaria, l'autonomia economica del singolo familiare o convivente, con l'adozione di provvedimenti che incidano profondamente nella cultura delle nuove generazioni, attraverso un'azione positiva volta all'educazione affettiva e a sviluppare nella formazione degli studenti il rispetto dei principi di eguaglianza, pari opportunità e dignità nei rapporti di coppia. La scuola rappresenta l'ambiente privilegiato per lo sviluppo della consapevolezza di quanto sia importante raggiungere e mantenere un'autonomia economica, rompendo gli schemi della famiglia tradizionale, ed è il punto di riferimento prioritario attraverso cui far veicolare i messaggi chiave e avvicinare i futuri adulti al tema dell'indipendenza economica da assicurare al singolo nel nucleo familiare o nelle convivenze di fatto. Il principale obiettivo dell'educazione all'autonomia finanziaria è quello di attivare un processo virtuoso al fine di avere cittadini informati, attivi, responsabili e consapevoli che la libertà di scelta, in presenza di crisi familiari, presuppone un'indipendenza economica;
il Piano nazionale antiviolenza, adottato per la prima volta nel 2015, rappresenta un elemento portante delle politiche di contrasto alla violenza sulle donne in Italia. Sin dalla sua prima attuazione, il Piano ha sviluppato un approccio strutturato e integrato, mirato non solo alla protezione delle vittime, ma anche alla prevenzione del fenomeno attraverso iniziative di sensibilizzazione e cultura della parità. Un ruolo cruciale in questa strategia è svolto dai centri antiviolenza e dalle case rifugio, che offrono supporto immediato e a lungo termine alle vittime, fornendo protezione, assistenza psicologica e legale, oltre a percorsi di reinserimento;
si evidenzia, altresì, il contributo dei centri per uomini maltrattanti, strutture che mirano a far riflettere e rieducare gli autori di violenza, con l'obiettivo di prevenire la recidiva. Tali strumenti contribuiscono al contrasto alla violenza sulle donne in modo completo, supportando sia le vittime che intervenendo sugli autori, affinché si riduca il rischio di nuovi episodi di violenza;
nonostante la leggera flessione del numero dei femminicidi e l'aumento delle denunce dei reati di violenza domestica e di genere, sintomatici di una rinnovata fiducia nelle istituzioni, la violenza contro le donne in Italia rimane un fenomeno strutturale e diffuso e rappresenta uno dei maggiori ostacoli al conseguimento dell'uguaglianza di genere;
i perduranti e sistemici episodi di violenza sulle donne impediscono di potersi considerare raggiunta la piena emancipazione femminile e derivano da una secolare tradizione di rapporti di forza disuguali fra uomini e donne, basata su ruoli sociali stereotipati che, nel ventunesimo secolo, dovrebbero potersi considerare ormai più che superati;
la violenza degli uomini sulle donne, alla cui base sono radicati misoginia, discriminazione e un insostenibile divario di genere in termini sociali, lavorativi, salariali e culturali, rappresenta una tra le più gravi e profonde violazioni dei diritti umani a livello globale; questa particolare giornata fornisce un'occasione ai Governi, alle istituzioni nazionali, alle organizzazioni internazionali e alle organizzazioni non governative sia per organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica, sia per individuare sempre migliori strategie finalizzate allo sradicamento di quella che è una vera e propria «emergenza strutturale»,
impegna il Governo:
1) a proseguire nelle politiche di contrasto alla violenza nei confronti delle donne e alla violenza domestica quali prioritarie nell'azione di Governo, coerentemente con le disposizioni nazionali, europee e internazionali di riferimento, al fine di raggiungere la piena applicazione della Convenzione di Istanbul anche in quelle parti oggetto di specifici rilievi mossi alle istituzioni italiane da organismi internazionali;
2) a dare piena attuazione alle misure in materia previste per legge, operando tempestivamente nell'adozione dei decreti attuativi previsti;
3) a potenziare la protezione delle vittime di violenza in occasione dell'applicazione della misura cautelare o di prevenzione con la prescrizione del sistema di controllo a distanza (cosiddetto braccialetto elettronico), mettendo in atto iniziative per risolvere le criticità che sono emerse nell'applicazione della misura cautelare o di prevenzione con la prescrizione del sistema di controllo a distanza;
4) a valutare la possibilità di adottare iniziative di carattere normativo per precludere la concessione, all'autore di condotte di violenza domestica e di genere, della misura cautelare del divieto di avvicinamento ove già condannato per il reato di evasione o di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede;
5) ad adoperarsi per la predisposizione di un testo unico in materia di prevenzione e contrasto della violenza di genere, dando attuazione alla raccomandazione contenuta nella relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, approvata all'unanimità nella seduta del 31 luglio 2024;
6) ad adottare iniziative volte a raccogliere sistematicamente, in applicazione della legge 5 maggio 2022, n. 53, «Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere», dati e informazioni puntuali sul fenomeno, che permettano di intervenire tempestivamente e di adottare misure appropriate;
7) a favorire iniziative anche di carattere normativo per incentivare l'inserimento delle donne che hanno subito violenza nel mondo del lavoro, valutando altresì l'introduzione di una tassazione agevolata dei redditi prodotti dalle lavoratrici che hanno subito violenza di genere, beneficiarie con i loro figli di interventi di protezione che siano certificati dai servizi sociali, dai centri antiviolenza o dalle case rifugio, con una percentuale di abbattimento dell'imponibile fiscale;
8) ad assumere iniziative per stanziare e investire adeguate risorse finanziarie ed organizzative finalizzate ad assicurare un'attività di formazione, di aggiornamento e di riqualificazione, a carattere obbligatorio continuo e permanente, destinata agli operatori delle forze di polizia e della polizia municipale, ai magistrati, al personale del settore giudiziario, al personale sanitario e socio-sanitario, al personale della scuola di ogni ordine e grado e al personale della pubblica amministrazione, che può entrare in contatto con la vittima, per una corretta valutazione e gestione del fenomeno per un'efficace e tempestiva azione di contrasto della violenza di genere e domestica, anche in attuazione delle finalità di cui all'articolo 6 della legge 24 novembre 2023, n. 168;
9) ad adottare iniziative volte a prevedere e sostenere nell'ambito delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado l'adozione di progetti e percorsi strutturati di educazione alla parità, all'affettività e all'indipendenza economica;
10) ad adottare iniziative volte ad aumentare le risorse strutturali destinate ai centri antiviolenza e alle case rifugio, velocizzando e rendendo stabile il percorso dei finanziamenti stessi, e a dare piena attuazione al processo di monitoraggio previsto sull'utilizzazione delle risorse da parte delle regioni, potenziando la governance centrale del sistema, anche al fine di evitare disparità a livello territoriale;
11) ad adottare iniziative per incrementare ulteriormente le risorse destinate al fondo per le vittime di reati intenzionali violenti e il fondo per il sostegno agli orfani di crimini domestici e di reati di genere alle famiglie affidatarie, al fine di rafforzare le tutele per i figli rimasti orfani a seguito di un femminicidio;
12) ad adottare iniziative volte a garantire adeguati stanziamenti finanziari per i centri per uomini autori o potenziali autori di violenza di genere, ulteriori rispetto a quelli prioritari riservati ai centri antiviolenza;
13) ad adottare iniziative di carattere normativo volte a potenziare il reddito di libertà, incrementando le risorse e facilitando l'accesso a tale misura, al fine di offrire un concreto supporto economico alle donne vittime di violenza che intraprendono percorsi di autonomia e reinserimento sociale;
14) ad adottare iniziative volte a incrementare le risorse destinate al Piano nazionale antiviolenza, assicurando i fondi necessari per migliorare le azioni di prevenzione, protezione e supporto alle vittime, con particolare attenzione al sostegno dei centri antiviolenza, delle case rifugio e dei centri per uomini maltrattanti;
15) a valutare l'opportunità di adottare le necessarie e opportune iniziative di competenza per la formazione di un data base a livello regionale e nazionale, dove, nel rispetto della disciplina sul trattamento dei dati personali e dei dati giudiziari, vengano raccolti e conservati, per un adeguato lasso temporale, quelli di provenienza sanitaria e forense relativi ai casi di violenza sessuale;
16) ad adottare opportune iniziative di competenza volte a garantire alle vittime di violenza di genere la conoscenza dello stato del procedimento penale a carico dell'autore, valutando altresì anche la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex articolo 415 del codice di procedura penale;
17) ad adottare iniziative di competenza volte a garantire che l'esame delle parti offese nella fase dibattimentale possa, previo consenso dell'interessata, essere documentato con mezzi di riproduzione audiovisiva non visibili;
18) ad adottare iniziative di competenza specifiche per contrastare la violenza on line, comprese le molestie on line e l'istigazione all'odio verso le donne;
19) a valutare la possibilità di attuare iniziative di competenza anche di carattere normativo per migliorare la circolazione di informazioni tra tribunale civile e penale, onde evitare situazioni paradossali di affidamento congiunto in caso di violenza intra-familiare, valutando altresì la modifica del sistema attualmente vigente nel processo penale.
Seduta del 19 novembre 2024
Intervento in discussione generale di Antonella Forattini e di Andrea Rossi