10/11/2017
Giuseppe Romanini
1-01747

  La Camera,

premesso che:

quella dei curdi è una storia lunga e travagliata. Per stare solo agli ultimi cento anni, nel primo dopoguerra con il trattato di Sèvres del 1820, fu definito sulla carta geografica uno Stato del Kurdistan, ma la soluzione della questione curda così definita durò pochissimo. Trascorsero tre anni e con il Trattato di Losanna (1923) la comunità curda venne smembrata tra Turchia, Siria, Iraq e Iran;

all'inizio degli anni Novanta, dopo la prima guerra del Golfo (1991), su proposta della Francia, venne istituita sui territori curdi iracheni fin lì martoriati da Saddam Hussein, una no-fly zone attuata dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti. Da allora il Kurdistan iracheno gode di una forte autonomia diventata di fatto, con il passare degli anni, un embrione di Stato autonomo. Un'altra simile regione autonoma si determinò, dal 2012, nell'area curda del nel Nord-Est della Siria, dopo l'avvio della rivolta contro Assad;

l'attuale forma di autonomia del Kurdistan è stata formalizzata con la Costituzione irachena approvata nel 2005 dopo il crollo del regime baathista di Saddam Hussein seguìto alla seconda guerra del Golfo, ed è il frutto della riconciliazione avvenuta nel 2002 fra i due partiti storici dei curdi iracheni: il Partito democratico del Kurdistan (Kdp), di riferimento del presidente Masoud Barzani, e l'Unione patriottica del Kurdistan (Puk), di cui era espressione l'ex presidente dell'Iraq Jalal Talabani, deceduto a settembre;

nel nuovo Iraq federale viene riconosciuta la regione autonoma del Kurdistan (KRG) in base a precise garanzie territoriali sulle quattro province di Sulaymaniyya, Erbil, Dahuk e Halabja economiche sul diritto allo sfruttamento del petrolio ed istituzionali sul diritto ad avere un Parlamento, un Governo ed un esercito propri;

con la conquista della città di Mosul il 9 giugno del 2014 da parte delle milizie del Daesh e la rotta dell'esercito di Baghdad che abbandonò la città in mano ai terroristi, nella regione ha preso avvio, per mano militare, la sopraffazione del sedicente Stato Islamico di Abu-Bakr-Al-Baghdadi, ed i peshmerga curdi, iracheni e siriani, sono rimasti le uniche forze in grado di opporsi all'avanzata del Califfato islamico;

a loro fu affidata la missione di combatterlo sul terreno laddove gli eserciti, irakeno e siriano, erano stati travolti proprio dagli uomini di Al Baghdadi. I peshmerga si sono battuti con coraggio e tenacia, indispensabili per il successo degli interventi militari della coalizione contro lo Stato Islamico. Americani e russi hanno dato il loro contributo dai cieli, ma ad affrontare le milizie del Califfato sul terreno c'erano pressoché soltanto i curdi. Con nuclei militari composti da uomini e donne, sono scesi in campo e sono stati la fondamentale struttura militare prima per resistere e poi per contrattaccare;

in questa azione di contrasto all'Isis, avvenuta con il sostegno logistico ed economico degli Stati Uniti e di molti Paesi europei fra cui l'Italia, che hanno fornito armi e istruttori, i peshmerga hanno oltrepassato i confini amministrativi delle tre province autonome e occupato gran parte dei territori contesi con Baghdad, che rappresentavano fino settembre di quest'anno oltre il 40 per cento del territorio curdo ed includevano città importanti come Kirkuk, il secondo polo petrolifero iracheno;

forte del contributo determinante dei combattenti curdi nella guerra al sedicente stato islamico, il Presidente della regione Masoud Barzani ha fortemente voluto e poi indetto un referendum consultivo per l'indipendenza dall'Iraq;

il referendum si è svolto in tutta la regione del Kurdistan, compresi i territori contesi, il 25 settembre 2017 e vi hanno partecipato oltre il 72 per cento degli aventi diritto, non solo i curdi ma anche gli arabi, gli armeni, gli assiri, gli azeri, gli osseti, i persiani, i turchi ed i turcomanni che popolano la regione, con un'adesione favorevole all'indipendenza superiore al 92 per cento;

il premier dell'Iraq Al Abadi ed il parlamento nazionale iracheno hanno condannato il referendum definendolo «incostituzionale» ed il Governo iracheno ha reagito con il blocco dei flussi bancari con il KRG, ha proceduto alla nazionalizzazione delle compagnie telefoniche ivi operanti e ha disposto la chiusura dello spazio aereo della regione kurda e delle frontiere con la Turchia, con la Siria e con l'Iraq. Inoltre, l'11 ottobre una procura irachena ha emesso un mandato di arresto nei confronti dei dodici membri della commissione elettorale indipendente che aveva il compito di presiedere al corretto svolgimento della consultazione, rei di aver violato la legge della Corte suprema dello Stato;

nonostante le dichiarazioni di rassicurazione del Primo ministro Al Abadi per il quale «mai saranno imbracciate armi contro i curdi d'Iraq», il 12 ottobre 2017 esercito iracheno ha disposto il posizionamento di mezzi pesanti e artiglieria delle Iraqi Security Forces (ISF) alle porte della città petrolifera di Kirkuk riconquistandola, quasi senza combattere. La perdita della città e degli altri territori contesi ha ridotto di quasi il 40 per cento il territorio controllato dal Governo regionale del Kurdistan;

al di là del giudizio che si può dare circa il referendum lanciato a settembre da Masoud Barzani per la costituzione di uno stato autonomo del Kurdistan, la reazione del Governo iracheno, non può che ritenersi inaccettabile. All'attacco e all'occupazione di Kirkuk per mano delle milizie sciite Hasd al Sha'bi e pasdaran iraniani guidati da Qasem Soleimani, hanno fatto seguito atti repressivi di straordinaria gravità: dieci peshmerga fatti prigionieri sono stati decapitati e contro le donne sono state commesse violenze nella città di Tuz, come riportato dall'Alta rappresentante del Governo regionale del Kurdistan in Italia dottoressa Rezan Kader audita informalmente in commissione Esteri della Camera il 19 ottobre 2017;

dopo che l'Occidente si è avvalso dell'impegno e del sacrificio dei peshmerga curdi per sconfiggere sul piano militare il Califfato, il velo di silenzio su quanto sta accadendo è percepito dalle comunità curde come segno dell'abbandono e dell'ingratitudine della comunità internazionale;

il 24 ottobre 2017 il Primo ministro del Governo regionale del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani, ha ricevuto il rappresentante speciale dell'Onu in Iraq, Jan Kubis, per discutere degli ultimi sviluppi politici e militari tra Erbil e Baghdad. Sulla base di quanto riferito dal governo regionale curdo in un comunicato, Kubis avrebbe espresso preoccupazioni per la situazione per la situazione di tensione creatasi a seguito del referendum del 25 settembre e avrebbe confermato l'impegno dell'Onu per mettere fine alla controversia. Il Primo ministro Barzani si sarebbe detto favorevole al dialogo e a qualsiasi iniziativa di ripresa dei negoziati;

il 30 ottobre 2017, sempre più isolato sul piano internazionale, il presidente Masoud Barzani ha annunciato le sue dimissioni dall'incarico, rivendicando il ruolo del suo popolo nella guerra all'Isis e denunciando il disimpegno degli Occidentali dal Kurdistan, nonostante gli impegni presi;

gli accadimenti nel Kurdistan Iracheno suonano come un campanello di allarme ai fini degli equilibri geopolitici nell'area Medio Orientale ed in particolare sull'influenza che l'Iran si propone di esercitare sul piano politico in Iraq,

impegna il Governo

1) a farsi promotore in sede europea ed internazionale di un'iniziativa politico-diplomatica che consenta di: stabilizzare le relazioni tra il governo regionale del Kurdistan e l'Iraq attraverso la cessazione e la ferma condanna di ogni forma di violenza o rappresaglia, favorendo la fine dell'embargo economico e la riapertura dello spazio aereo e dei collegamenti internazionali; provvedere nei modi congrui al dovuto riconoscimento all'impegno determinante dei peshmerga nella guerra contro il terrorismo di matrice islamica; favorire il confronto istituzionale tra i diversi partiti curdi con l'obiettivo di conciliare le aspirazioni all'autodeterminazione con le imprescindibili istanze di pace e stabilità della regione, anche alla luce delle atrocità sofferte dalla popolazione civile a causa del Daesh.