La Camera,
premesso che:
in tema di affidamento dei minori la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (Convention on the rights of the child – Crc), adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, sottolinea, fin dal preambolo, come riportato anche dal sito web dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, l'importanza della famiglia nella vita di ogni bambino e adolescente, quale «unità fondamentale della società e di un ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli»;
alla luce di ciò numerosi diritti ruotano attorno a questa istituzione: diritto di conoscere i propri genitori e di essere allevato dagli essi (articolo 7), diritto di non essere separato da loro (articolo 9) e di mantenere rapporti regolari e frequenti con ciascuno di essi (articoli 10 e 11), diritto di trovare sempre e comunque protezione in un ambiente familiare anche qualora, nel proprio superiore interesse, quello di origine non sia idoneo (articoli 20 e 21). Altrettanti doveri incombono, di conseguenza, su coloro che esercitano la responsabilità genitoriale e sullo Stato stesso: dovere dei genitori di dare l'orientamento e i consigli adeguati ai propri figli all'esercizio dei diritti che sono riconosciuti loro dalla Convenzione (articolo 5), dovere dello Stato di fare del proprio meglio per garantire il riconoscimento del principio secondo cui entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l'educazione del bambino o adolescente e il provvedere al suo sviluppo (articolo 18), dovere dei genitori di assicurare le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo e dello Stato di adottare adeguati provvedimenti per aiutare coloro che esercitano la responsabilità genitoriale ad attuare questo diritto (articolo 27);
in particolare, il «principio della protezione del fanciullo allontanato dalla famiglia», di cui all'articolo 20 della Convenzione di New York, fissa i principi applicabili ai casi di allontanamento, temporaneo o permanente, del minore dal suo ambiente familiare, stabilendo che questi ha diritto a speciale protezione da parte dello Stato. È, quindi, onere degli Stati garantire a tale minore una forma di cura ed assistenza alternative e, nella scelta di tali soluzioni, l'autorità pubblica deve tenere conto della necessità di garantire una certa continuità nell'educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, culturale e linguistica;
un'analisi specifica deve poi essere riservata alla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 77 del 2003, che detta una disciplina particolareggiata delle procedure giudiziarie che riguardano i fanciulli ed è quindi applicabile anche ai procedimenti di affidamento;
in particolare, la Convenzione riconosce al minore il diritto di essere consultato ad esprimere la propria opinione e di essere informato delle eventuali conseguenze dell'attuazione della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione, la possibilità di designare un rappresentante speciale, qualora l'ordinamento interno privi coloro che hanno responsabilità genitoriale della facoltà di rappresentarlo e dall'altra parte pone in capo alle autorità giudiziarie l'obbligo di esaminare con prontezza e in modo sufficiente ed esaustivo le informazioni in vista di una decisione nell'interesse superiore del minore;
la stessa Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza nella relazione sulla sua attività, trasmessa al Parlamento il 29 aprile 2019, afferma «il diritto delle persone di minore età di essere accolte ed educate prioritariamente nella propria famiglia e, se necessario, in un altro ambito familiare di appoggio o sostitutivo»;
esistono, infatti, realtà familiari connotate da gravi difficoltà che, seppur temporaneamente, possono compromettere la crescita serena ed equilibrata delle persone minori di età. In questi casi si ricorre all'istituto dell'affidamento di tipo familiare o, ove ciò non sia possibile, all'inserimento in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza, al solo fine di tutelare i bambini e i ragazzi da condizioni pregiudizievoli e, al contempo, sostenere la famiglia d'origine nel recupero delle funzioni genitoriali;
in realtà l'affido – in base alla legge n. 184 del 1983, modificata dalla legge n. 149 del 2001 – è una soluzione estrema, a cui la giustizia minorile si vede costretta a ricorrere quando la vita e l'educazione di bambini e ragazzi sono a rischio nelle famiglie d'origine per motivi che vanno ben oltre i meri problemi economici;
la stessa legge n. 184 del 1983 non pone un elenco dei motivi per cui si può disporre l'affido; a fornire tali criteri è l'articolo 403 del codice civile, che consente l'allontanamento dei minori dalla famiglia da parte della «pubblica autorità» qualora i minori si trovino in stato di abbandono morale o materiale, vivono «in locali insalubri o pericolosi» o sono allevati da persone incapaci di provvedere alla loro educazione;
le comunità per minorenni hanno cambiato profondamente volto negli ultimi anni: da istituti nei quali i bambini accolti correvano il rischio di diventare meri numeri sono diventate realtà connotate da un'atmosfera familiare e accogliente, nelle quali si articolano interventi e progetti personalizzati in base alle specifiche esigenze dei bambini e dei ragazzi coinvolti;
nell'attesa dell'entrata a regime del Sistema informativo nazionale bambini e adolescenti (Sinba), ad oggi ancora in fase di sperimentazione, che consentirà in futuro di acquisire in modo continuativo dati sui minorenni fuori dalla famiglia, l'Autorità garante, al fine di avere un quadro conoscitivo sul fenomeno, ha continuato a svolgere un'attività di monitoraggio attraverso la raccolta dei dati sui minorenni presenti in comunità e l'analisi delle informazioni che, per legge, ogni sei mesi le strutture di accoglienza sono tenute a comunicare alle procure minorili;
l'attuale legge sull'affido ha attribuito importanti funzioni ai procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni in ordine al monitoraggio delle condizioni dei minorenni ospiti delle comunità, nonché alla vigilanza sulle stesse;
questo ruolo di vigilanza affidato alle procure minorili costituisce il principale strumento di attuazione del diritto di verifica periodica sulle condizioni dei minorenni che vivono fuori dalla famiglia di origine, sancito dall'articolo 25 della Convenzione sui diritti per l'infanzia e l'adolescenza e che l'Autorità garante ha deciso di valorizzare attraverso la prima raccolta sperimentale sui dati dell'accoglienza, relativa ai dati al 31 dicembre 2014 e pubblicata nel 201 5, quella successiva relativa ai dati aggiornati al 31 dicembre 2015, pubblicata nel 2017, da ultimo quella in corso in via di pubblicazione, riferita al biennio 2016 e 2017;
secondo l'ultimo rapporto pubblicato nel 2017 dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza sono 21.035 in Italia i ragazzi che vivono fuori dalla propria famiglia di origine, ospiti delle 3.352 comunità sparse su tutto il territorio nazionale (dati al 31 dicembre 2015). Si tratta in prevalenza di maschi, di età compresa tra i 14 e i 17 anni;
i dati raccolti mettono a fuoco, oltre alla dimensione quantitativa, anche le principali caratteristiche qualitative dell'accoglienza in comunità, poiché le peculiari condizioni di vulnerabilità di questi ragazzi rappresentano un serio «fattore di rischio» per lo sviluppo armonico della loro personalità;
sono, quindi, molteplici le ragioni che portano all'ingresso di una persona minore di età in una comunità. Si va dalle difficoltà educative della famiglia di origine legate a uno stato precario di salute psico-fisica, ai bambini e ai ragazzi vittime di abusi o maltrattamenti, a quelli entrati nel circuito penale, senza tralasciare i minori che fuggono da guerre e povertà, giungendo nel nostro Paese privi di adulti di riferimento e in condizioni di particolare fragilità;
i bisogni di tutela non si esauriscono nelle difficoltà che determinano l'ingresso nella struttura, ma riguardano anche la fase di uscita dal percorso di accoglienza dei ragazzi divenuti maggiorenni;
secondo l'indagine le maggiori criticità nell'accoglienza in comunità sono: 1) la presenza, sul territorio nazionale, di classificazioni differenti delle strutture residenziali per minori, cosa che rende arduo il confronto tra i dati esistenti e, conseguentemente, difficile il monitoraggio del fenomeno; 2) l'esigenza di definire a livello nazionale standard minimi e criteri comuni per le comunità che ospitano i minorenni: importanti passi avanti su questo fronte saranno compiuti con l'approvazione in Conferenza Stato-regioni delle linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per minorenni, redatte nell'ambito di un tavolo istituzionale che ha visti coinvolti, oltre all'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della giustizia, la Conferenza delle regioni e delle province autonome, l'Anci, nonché membri esperti e coordinamenti nazionali; 3) la mancanza di dati completi e aggiornati sui bambini e sui ragazzi collocati nelle strutture residenziali: non esiste, infatti, un'anagrafe dei minori che vivono fuori dalla propria famiglia di origine condivisa fra le diverse istituzioni che se ne occupano;
inoltre, le linee d'indirizzo per le famiglie in situazione di vulnerabilità, approvate in Conferenza unificata il 21 dicembre 2017, sono volte a fornire indicazioni unitarie ai fini della definizione delle azioni possibili per fronteggiare le diverse situazioni di vulnerabilità familiare, nonché favorire la permanenza e/o, nel caso il minore viva già fuori dalla famiglia, la riunificazione di questo con la stessa;
l'accompagnamento di bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità costituisce un ambito fondamentale del lavoro di cura e protezione dell'infanzia, inteso come l'insieme degli interventi che mirano a promuovere condizioni idonee alla crescita, a prevenire i rischi che possono ostacolare il percorso di sviluppo e a preservare e/o proteggere la salute e la sicurezza del bambino, e tale compito compete al servizio sociale locale;
si tratta di una funzione complessa che richiede un puntuale raccordo e la necessità di un approccio globale, che sappia utilizzare tutti gli strumenti normativi e operativi in accordo con le istituzioni e i relativi servizi nell'area della salute pubblica, della scuola, dei servizi educativi per l'infanzia e, in alcuni casi, anche dell'autorità giudiziaria sempre nel rispetto del superiore interesse del minore; tale approccio può essere garantito solo dall'interdisciplinarietà professionale e dalla trasversalità degli interventi;
l'obiettivo delle professioni che si occupano di protezione della famiglia è quello di garantire un servizio di qualità. Pertanto, risulta necessario predisporre una valutazione periodica delle performance delle singole persone che esercitano tali professioni con criteri e procedure uniformi su tutto il territorio nazionale, al fine di contribuire al miglioramento organizzativo, gestionale e qualitativo del lavoro svolto;
il «sostegno di vicinanza», ovverosia la possibilità da parte delle famiglie della stessa comunità locale di attivarsi e di farsi carico dei minori in difficoltà senza che questi vengano allontanati dalle famiglie di origine, è un'esperienza che già in molti territori sta dando ottimi risultati. Si tratta di un intervento in cui le famiglie affidatarie intervengono a sostegno della famiglia d'origine fin quando questa non riesca a superare le proprie difficoltà, senza che il minore sia costretto a subire il doloroso distacco che rischia di condizionare per sempre la sua vita;
nel 2012 la rivista dell’American academy of psychiatry ha definito priva di fondamento scientifico la pas (parental alienation syndrome); l'alienazione parentale non è stata inserita nel Dsm V, neppure nell'Icd-11 e ci sono state ben due sentenze della Corte di cassazione a metterne in discussione la validità scientifica e l'applicazione nelle cause di affidamento dei figli: la n. 7041 del 2013 e la n. 13274 del 2019; l’Apsac (American professional society on the abuse of children) nell'agosto 2019 ha emesso un comunicato ribadendo di ritenere non fondata scientificamente l'alienazione parentale, avvertendo i sostenitori di questa teoria di non sostenere che l'Apsac l'abbia riconosciuta; In Italia lo stesso Ministero della salute e l'Istituto superiore di sanità si sono dichiarati dello stesso parere; ciò nonostante la sindrome da alienazione parentale (definita in tanti modi: «conflitto di lealtà», «sindrome della madre malevola», «rapporto simbiotico») viene ancora utilizzata in alcune decisioni, anche di natura giudiziaria, arrivando anche a interrompere il legame familiare, più di frequente tra la madre e il figlio;
anche se il problema degli affidi dei minori molte volte si intreccia con quello della violenza di genere e della tutela del soggetto vittima di violenza, come i fatti di cronaca insegnano, bisogna prevedere l'allontanamento dei minori dal nucleo familiare solo come ultima ratio e comunque sempre e solo nell'interesse del minore stesso, privilegiandone dove è possibile l'affido presso altri parenti o altri soggetti vicini al nucleo familiare secondo un principio di gradualità delle scelte;
in particolare, in merito ai fatti accaduti nella regione Emilia-Romagna, che hanno coinvolto la rete dei servizi sociali della Val d'Enza, la stessa Assemblea regionale, con delibera n. 215 del 27 luglio 2019, ha dato via all'istituzione di una Commissione assembleare speciale d'inchiesta circa il sistema di tutela dei minori nella regione Emilia-Romagna, al fine di poter affrontare i fatti mediante l'analisi dei documenti ufficiali e al riparo da strumentalizzazioni e spettacolarizzazioni nel pieno ed esclusivo interesse delle famiglie e dei bambini coinvolti;
oggetto della Commissione è il tema della tutela dei minori, in particolare degli affidi in ambito regionale, in particolare:
a) servizi sociali anche appaltati a soggetti esterni, quali, ad esempio: le procedure di affidamento dei servizi; la trasparenza e pubblicità delle procedure di affidamento; gli standard qualitativi; i servizi pubblici connessi agli affidi e i privati con cui interagiscono; l'esternalizzazione dei servizi; i fondi regionali interessati, la loro ripartizione, assegnazione ai servizi territoriali e le modalità di spesa locale;
b) metodi seguiti negli affidi di minori e nella presa in carico delle famiglie, quali, ad esempio, il sistema dei controlli sulle consulenze tecniche d'ufficio affidate a psicologi e pedagogisti, sull'operatività degli assistenti sociali, la delega a terzi dei servizi, la competenza degli operatori sociali;
c) il rapporto tra servizi sociali e servizi dell'amministrazione della giustizia minorile (protocolli da seguire nel rapporto con i minori; la valutazione dei servizi sociali negli affidi);
d) il ruolo del Garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza ed i suoi rapporti con i servizi sociali territoriali, con gli organi della giustizia minorile e con le forze dell'ordine dedite alle indagini;
si tratta, quindi, di un mandato non volto a identificare reati – non ricorrendone i poteri costituzionali e statutari, né quindi gli strumenti – ma il funzionamento di un sistema di servizi, nel complesso e anche in suoi luoghi specifici, come la Val d'Enza;
in merito è opportuno ricordare che il 27 giugno 2019 i carabinieri di Reggio Emilia hanno dato il via all'operazione denominata «Angeli e demoni» mettendo agli arresti domiciliari 18 persone. La teoria dell'accusa, anche se lo stesso procuratore di Reggio Emilia dottor Marco Mescolini ha specificato che «sotto inchiesta non c'è il sistema dei servizi: sotto inchiesta ci sono delle persone», è che ci sia una sorta di «sistema Bibbiano» di gestione e affidamento dei minori, con funzionari pubblici, assistenti sociali, medici e psicologi – i quali a vario titolo e in vario modo gravitano attorno ai servizi sociali dell'Unione Val d'Enza, consorzio di sette comuni in provincia di Reggio Emilia – che hanno manipolato le testimonianze dei bambini, al fine di sottrarli alle famiglie di origine per affidarli, dietro pagamento, a famiglie di amici o conoscenti;
dalle audizioni svolte in seno alla Commissione sopra citata è emerso che non esiste alcun sistema emiliano-romagnolo che ha come obiettivo primario quello di allontanare i minori dalle proprie famiglie, ma esistono a Bibbiano dei casi in cui si sono verificate anomalie, sulle quali e sulla cui gravità la magistratura sta svolgendo il suo lavoro di accertamento;
inoltre, è emerso chiaramente che in Italia manca un sistema organico di raccolta dati sui minori affidati, così come sono emerse molte criticità riguardo alla formazione degli operatori, al numero di assistenti sociali e psicologi, spesso sotto organico, al sistema di supervisione, che, sicuramente, va potenziato,
impegna il Governo:
1) ad adottare iniziative volte a determinare i livelli essenziali delle prestazioni per gli interventi relativi ai minorenni, alle famiglie di origine, agli affidatari e alle strutture di accoglienza, in modo da garantire l'esigibilità dei diritti civili e sociali delle persone di minore età, in linea con quanto previsto dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;
2) ad assumere iniziative per adottare un sistema informativo unitario affinché vi sia un database unitario ed aggiornato sui bambini e sui ragazzi collocati nelle strutture residenziali o presso famiglie affidatarie che coinvolga tutte le istituzioni interessate;
3) ad assumere iniziative, in particolare normative, sul rito del procedimento per adeguarlo ai principi del «giusto processo»: garantendo il diritto alla difesa tecnica dei genitori, anche con la nomina obbligatoria di un difensore d'ufficio in caso in cui manchi quello di fiducia, la nomina di un curatore speciale e di un avvocato del minorenne e, nei casi di provvedimenti di allontanamento adottati d'urgenza, prevedendo tempi celeri per assicurare il contraddittorio differito; riformando l'articolo 403 del codice civile, introducendo una procedura di convalida del provvedimento volta a circoscrivere le ipotesi nelle quali è consentito l'intervento d'urgenza della pubblica autorità; disciplinando l'impugnabilità dei provvedimenti, anche se temporanei e la decisione sull'impugnativa in tempi certi e brevi; disciplinando il regime delle incompatibilità dei giudici onorari e dei loro stretti congiunti rispetto a incarichi che potrebbero pregiudicarne i profili di necessaria imparzialità e indipendenza, così come già previsto nella delibera del Consiglio superiore della magistratura del luglio 2018;
4) ad aggiornare le linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per minorenni, già adottate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, affinché tengano conto delle raccomandazioni contenute nell'indagine conoscitiva della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza sui minori fuori famiglia conclusasi nel 2018;
5) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a predisporre tutte le misure volte ad assicurare una tempestiva e un'adeguata «presa in carico» delle famiglie in difficoltà al fine di promuovere la genitorialità e prevenire gli allontanamenti ove sia certo che non vi siano casi di violenza o di abusi e, qualora l'allontanamento si dovesse rendere necessario, a promuovere un adeguato monitoraggio del percorso per il recupero delle competenze genitoriali, con un costante monitoraggio del progetto educativo del minorenne fuori famiglia;
6) a predisporre le iniziative di competenza volte ad implementare il Sistema informativo unitario dei servizi sociali (Siuss) con le banche dati sui minori fuori famiglia, strutture di accoglienza e affidatari;
7) ad adottare iniziative per potenziare le piante organiche degli uffici giudiziari che si occupano di procedimenti in materia di responsabilità genitoriale e di quelli in cui sono comunque coinvolti i minorenni;
8) ad assumere le iniziative di competenza volte a predisporre tutte le misure necessarie affinché, pur nel rispetto del diritto di cronaca, sia sempre garantito l'anonimato dei minorenni coinvolti nei casi di affidamento e adozione, evitando sensazionalismi e qualsiasi forma di speculazione, promuovendo nel contempo attività di sensibilizzazione per l'utilizzo di un linguaggio che non sia lesivo della dignità della persona di minore età, che non la riconduca a stereotipi stigmatizzanti o che ne turbi lo sviluppo della personalità;
9) ad assicurare la costituzione e la convocazione dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, così come previsto dalla legge 23 dicembre 1997, n. 451;
10) a predisporre tutte le iniziative di competenza necessarie in merito all'opportunità di regolare più chiaramente la fase di indagine del pubblico ministero minorile, il valore delle segnalazioni/relazioni dei servizi sociali o di altri soggetti, l'informazione delle parti (incluso esplicitamente il minore), il diritto alla difesa dei genitori, anche con l'effettività del gratuito patrocinio, nonché la legale rappresentanza del minore, la costituzione delle prove in dibattimento e, più in generale, il ruolo dei servizi sociali nell'ambito del procedimento, dalla fase istruttoria a quella attuativa dei provvedimenti;
11) a valutare l'opportunità di adottare, per quanto di competenza, iniziative normative e finanziarie volte alla promozione delle misure rientranti nel cosiddetto «sostegno di vicinanza», così come descritto in premessa, e in generale al fine di prevedere una disciplina dettagliata della gradualità dell'intervento di allontanamento dei minori dalle famiglie, iniziando con l'allontanamento dei genitori o tutori problematici dall'abitazione e, solo se tale misura risulti insufficiente, provvedere con altri interventi, quali l'affidamento ad altri parenti o conoscenti e infine l'affidamento, temporaneo, a famiglie affidatarie o comunità;
12) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, per escludere la sindrome dell'alienazione parentale come elemento su cui fondare scelte di allontanamento del minore dai contesti familiari;
13) a predisporre iniziative volte a definire meglio i contenuti e le modalità di segnalazione alle autorità giudiziaria minorili, facendo sì che queste siano accompagnate da un progetto educativo e sociale che, ove possibile, coinvolga la presa in carico della famiglia d'origine;
14) a predisporre, per quanto di competenza, iniziative normative affinché nella valutazione dei casi e nella presa in carico del minore e della sua famiglia vi sia la più ampia collegialità multiprofessionale possibile con la presenza a fianco dell'educatore, dello psicologo/neuropsichiatra e dell'assistente sociale;
15) ad adottare, per quanto di competenza, iniziative volte a sostenere gli enti locali nel potenziamento degli organici dei servizi sociali territoriali, favorendo la costituzione in tutti i comuni, singoli o associati, di équipe dedicate alla tutela minori con adeguate competenze sociali e giuridiche, nell'alveo di una più complessa, organica e multiprofessionale presa in carico del minorile e della sua famiglia;
16) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, atte a garantire la formazione e l'aggiornamento continuo del personale che si occupa di protezione della famiglia (psicologi, assistenti sociali, educatori) e una valutazione periodica delle performance dei singoli anche all'interno della équipe multidisciplinare, per assicurare efficienza e qualità del servizio;
17) ad adottare le opportune iniziative di competenza volte a garantire la formazione, l'aggiornamento e il monitoraggio delle competenze e delle strategie educative, evitando così il rischio del «burn out» degli operatori all'interno delle comunità di tipo familiare e, conseguentemente, prevenendo «le condotte di maltrattamento o di abuso di ogni genere»;
18) ad attivarsi, anche attraverso iniziative normative, al fine di rendere ancora più incisivo il contenuto della legge 19 luglio 2019, n. 69, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», cosiddetto codice rosso;
19) ad attivarsi al fine di predisporre ogni utile iniziativa, anche di natura normativa, tesa a delineare una concreta attività di prevenzione del fenomeno della violenza, in particolare intervenendo nell'ambito scolastico e nella formazione delle figure professionali che, in ragione del proprio servizio, possono entrare in contatto con vittime di violenza;
20) ad adottare iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire una separazione dei ruoli nel sistema degli affidi familiari, in modo tale da rendere distinte le figure di coloro che gestiscono il sistema di valutazione sociale delle famiglie rispetto a coloro che gestiscono il collocamento dei minori, stabilendo così un'incompatibilità tra chi decide sull'affido e chi, invece, gestisce le strutture di accoglienza.