Riforma del codice degli appalti. Nessuna deroga sulle gare
Abbiamo apprezzato la decisione di Maurizio Lupi di dimettersi per responsabilità politica. Ora la politica deve dimostrare di saper agire nell’interesse collettivo. È arrivato il momento di riformare quell’insieme di norme che regolano gli appalti nelle opere pubbliche, nei servizi e nelle forniture. E questo compito spetta alla politica. Al parlamento in primo luogo. Vorrei approfittare della vostra ospitalità per chiarire alcuni punti indispensabili e illustrare alcune linee su cui ci stiamo muovendo con la legge delega di riforma del Codice appalti: un’occasione per l'ammodernamento delle regole e l’innovazione del sistema, destinato ad estendersi a settori strategici dello sviluppo e della crescita del paese come energia, bioedilizia, architettura, arte e turismo.
L’ultimo rapporto del servizio studi della Camera sullo stato di attuazione delle opere previste dalla legge obiettivo conferma l’inefficacia di norme volute dal Governo Berlusconi per velocizzare investimenti strategici. Le percentuali relative all’aumento dei costi sono le più significative: +2,3% nell’ultimo anno rispetto al precedente. Delle 187 opere deliberate dal CIPE, 40 risultano concluse, per un costo complessivo di 6,5 miliardi, e 69 ancora in fase di realizzazione. Le previsioni del rapporto precedente indicavano la conclusione di 54 opere entro la fine del 2014 per un costo complessivo di circa 12 miliardi. La percentuale di aumento dei costi delle varianti su opere concluse si aggira attorno al 15 % mentre molto alto è l’aumento percentuale dei costi dovuti a riserve e contenzioso intorno al 45%.
Lo studio ci dice che c’è un problema di controllo della spesa, un’inefficienza nei meccanismi di valutazione dei livelli di progettazione e della cantierabilità, una scarsa chiarezza nella individuazione delle priorità e della complessa valutazione dell’impegno privato nella finanza di progetto.
Iniziamo col dire che occorre semplificare senza allentare la presenza pubblica. La abnorme produzione normativa, cui sono corrisposti proporzionalmente l’aumento delle deroghe e delle gestioni commissariali, ha creato alibi per impedire l’applicazione della legislazione vigente consentendo di non rispettare tempi di affidamento e consegna dei lavori, né procedere a precisa rendicontazione. Nessuna sanzione ha interrotto questo perverso meccanismo.
Un primo passo è stato fatto con la riorganizzazione della Autorità anti corruzione e l’assorbimento dell’autorità per la vigilanza dei LLPP. Serviva una mossa che agisse sulla nostra reputazione internazionale, sulla capacità di attrarre investimenti stranieri, che allontanasse dal paese la nefasta immagine di lentezza, corruttela e inconcludenza. ANAC oggi può utilizzare sanzioni e procedere con segnalazioni efficaci avendo potere di controllo su varianti, riserve, anomalie temporali e procedurali.
Risulterebbe imperdonabile il ritardo sulla revisione complessiva della legislazione e delle procedure amministrative nel momento in cui i segnali di ripresa della nostra economia richiamano importanti investimenti pubblici per la infrastrutturazione del Paese, la programmazione di importanti opere per la difesa del suolo e per la messa in sicurezza del patrimonio pubblico esistente.
Altrettanto incomprensibile sarebbe non offrire una revisione omogenea in tutto il Paese dei meccanismi di spesa pubblica in tema di servizi e forniture nel tempo in cui la richiesta di una pesante operazione di spending review pone alle istituzioni di tutti i livelli la ricerca di efficienza e di risparmio.
Aggiungo che tra le motivazioni che richiedono un intervento al codice vi è la necessità di avere nella pubblica amministrazione stazioni appaltanti più limitate nel numero, ma soprattutto arricchite e qualificate da competenze tecniche in grado di ridurre contenziosi, promuovere una progettazione integrale, affrontare la direzione dei lavori che premi qualità dei progetti, riduzione dei tempi e della spesa, effettuare un controllo rigoroso e di dettaglio. Alla PA occorre più trasparenza: pubblicare ogni affidamento e renderlo verificabile deve essere un obbligo. Non esistono ragioni per affidamenti diretti se non giustificabili in rarissimi casi. La possibilità di verifica on line è ancora troppo limitata.
Il governo Renzi ha già dato segnali importanti: cito ad esempio il caso Pompei.
Le cronache hanno ampiamente raccontato lo scempio di risorse e di beni storici perpetrato a danno dell’area archeologica più famosa del nostro Paese. Una scellerata gestione Commissariale, interrotta nel 2010 da indagini degli organi giudiziari e contabili, ha sprecato illecitamente 79 milioni di euro.
Per recuperare credibilità internazionale e consegnare alla UE la certezza riguardo alle nuove risorse stanziate in cofinanziamento con Bruxelles (105 milioni di euro), il governo attraverso il decreto Art bonus ha scelto di accelerare il Grande progetto Pompei e ad oggi sono stati banditi appalti per 98 milioni di euro, aggiudicate gare per 57 mil attraverso procedure ordinarie.
A chi ha contribuito con indicazioni stringenti alla scrittura del decreto preme sottolineare altri importantissimi aspetti: l’analisi dei requisiti delle imprese partecipanti può essere effettuata senza l’interruzione dell’iter degli affidamenti, e gestita anche attraverso un vero e proprio albo delle imprese che fornisca una carta d’identità a chi lavora grazie a commesse pubbliche; superare il criterio dell’offerta più vantaggiosa solo sul piano economico lì dove la valutazione deve essere più puntuale, ma anche più complessiva, nel rispetto dei principi di evidenza pubblica concorrenza e trasparenza.
Insomma occorre poter restituire alle istituzioni del nostro Paese credibilità attraverso un utilizzo corretto delle competenze: la garanzia dell’appartenenza al sistema pubblico non può e non deve essere interpretato come monopolio di diritti e prerogativa di privilegi.
Nell’applicazione del Codice degli appalti questo è ancora più vero e spetta a noi contribuire a cambiare definitivamente un sistema asfittico e paralizzato da un gruppo che potremmo raffigurare come: “sempre gli stessi” che in spregio all’ esigenza di crescita e rilancio del nostro Paese si contendono da decenni ogni possibile investimento in spregio al bene comune.