Grazie, Presidente. Le politiche della difesa che includono anche il procurement militare, cioè l'acquisizione di sistemi d'arma, sono una parte importante della politica estera di un Paese e danno il senso di qual è la postura del Paese nello scenario internazionale, di qual è la sua credibilità, la sua affidabilità; direi che danno il senso di quella che è la serietà non solo dello Stato ma della nazione e, quindi, del popolo che abita quel Paese.
Ed è per questa ragione che io, oltre che per la stima che ho per i colleghi Ferrari e Maria Tripodi, firmatari della prima mozione che è stata presentata, voglio pensare che l'intenzione dei presentatori della mozione non sia di seminare zizzania nel campo della maggioranza, ma sia di evidenziare la necessità di dare una continuità ad una politica adottata dal nostro Paese, come diceva adesso il collega Galantino, ormai molti anni fa e che si sviluppa, come tutte le politiche di acquisizione di sistemi d'arma complessi, nell'arco di decenni e, sviluppandosi nell'arco di decenni, attraversa la vita di diversi Governi, anche di segno politico opposto.
Ed è a mio parere corretto il tentativo di produrre un senso di continuità, cioè di sottrarre dalla polemica politica quotidiana del dibattito politico quello che è un tema strategico per un sistema Paese.
Se ho ragione nella mia analisi, cioè se l'intenzione è realmente quella di trovare un filo di continuità, allora forse più che alla lettera del testo ci si può appellare allo spirito e all'intenzione e provare a ragionare e ad analizzare come quel testo può essere corretto e modificato in quanto io ritengo che scritto così - l'intenzione è lodevole - non produca l'effetto, poiché il testo mi pare piuttosto velleitario nella forma e provo a spiegarne il perché.
Come diceva il collega Galantino nell'intervento che mi ha preceduto, l'Italia aderisce al programma JSF dal 1996 tramite quello che allora era il Ministro della Difesa, il compianto Beniamino Andreatta, limitatamente allora alla fase iniziale, concettuale e dimostrativa che fu poi ratificata con la firma di un memorandum of agreement due anni dopo, in data 23 dicembre 1998. Conferma poi l'Italia l'adesione al programma limitatamente alla fase di sviluppo e dimostrazione del sistema nel giugno 2002. Nel 2009 si decide la costruzione di uno stabilimento a Cameri per l'eventuale assemblaggio dei velivoli, a cui faceva riferimento il collega Volpi. Nel momento in cui la Lockheed Martin passa alla fase produttiva l'Italia, con un memorandum del senatore Forcieri, si dichiara interessata all'acquisto di 131 velivoli. Questo numero viene successivamente ridotto a 90 unità con il Governo Monti. Per essere precisi va ricordato che anche altri Paesi hanno rimodulato e modificato il proprio impegno e cito a titolo di esempio l'Olanda, che ha ridimensionato le sue previsioni partendo da un numero iniziale di 85 aerei che sono diventati poi 60, poi in seguito 50, poi 42 e al momento sono 37.
Parto da questi elementi per riflettere dati alla mano sulle tante vicissitudini che hanno segnato questo programma e sui tempi durante i quali si è sviluppato e si svilupperà. La nostra adesione, come dicevo, è del 1996 e, quindi, è già trascorso quasi un quarto di secolo. Se consideriamo che il prerequisito affidato dal Pentagono alle due principali industrie americane per un cacciabombardiere di profondità con capacità stealth è di almeno dieci anni prima e teniamo presente che il programma si dovrebbe concludere tra il 2027 e il 2030, vuol dire che stiamo parlando di un percorso che è lungo mezzo secolo, per la costruzione e il completamento del programma di questo aereo. Questa riflessione dovrebbe aiutarci a storicizzare - diciamo così - la nostra discussione, che è una cosa molto diversa dalla semplificazione di chi pensasse di chiudere una volta per tutte con una decisione presa ora per il futuro e non più modificabile. Non è così perché non può essere così e non può esserlo per le ragioni che dicevo all'inizio, perché è un programma che dura tanti anni e vede diversi Governi e ciascun Governo, essendo eletto dai cittadini, ha il diritto di dire la sua su come vuole discutere, su come intende un programma e su come lo vuole eventualmente arricchire, modificare e correggere.
È una discussione che non è che non vogliamo chiudere ma che non possiamo chiudere con un atto di questo Parlamento per la semplice ragione che fra qualche anno gli elettori eleggeranno un altro Parlamento e ci sarà un altro Governo che avrà la possibilità, qualsiasi cosa noi votiamo oggi, di prendere le sue decisioni e meno che mai noi abbiamo intenzione di chiudere una discussione. Di questo e di altri programmi militari dovremo discutere e continuare a discutere sotto tanti aspetti diversi e tra loro collegati.
La nostra proposta, quella che intendiamo fare alle altre forze politiche e che presenteremo sotto forma di mozione, indica già da ora alcuni degli aspetti che è bene continuare ad approfondire sicuramente in Parlamento e sicuramente in stretta collaborazione con i responsabili delle nostre industrie del settore, con i vertici militari e anche con la società civile. Il compito del Parlamento è quello di valutare e seguire un quadro di accordi comune alla quasi totalità delle regole contrattuali che regolano la materia del procurement militare, che si sviluppano con queste modalità proprio perché ritenute necessarie da entrambi i contraenti, quando si tratta di accordi bilaterali, o dalla pluralità dei soggetti interessati, quando si tratta, come in questo caso, di programmi multilaterali, dal momento che, dall'avvio della fase di produzione fino a tutt'oggi, il programma Joint Strike Fighter è stato oggetto di diverse richieste di modifiche, revisioni, ripensamenti, aggiustamenti da parte di tutti i partner coinvolti e, in primis, dei committenti degli Stati Uniti.
In questo quadro, il nostro Paese ha partecipato e continua a partecipare lealmente ad un programma che si definisce con una gradualità nei modi e nei tempi senza rinunciare alle proprie valutazioni autonome, sollevando, quando è necessario, delle critiche o delle richieste in difesa dell'interesse nazionale, che, nel caso specifico, è quello dell'acquirente. Non dovrei essere io a dire alle forze che si autodefiniscono sovraniste quanto è importante che la sovranità nazionale sia affermata e che il Paese difenda l'interesse nazionale anche nel momento in cui realizza un programma che ha sottoscritto e acquisisce sistemi d'arma.
L'attuale fase si sviluppa attraverso una serie di ordinativi, decisi per lotti successivi, per le esigenze degli acquirenti, ma anche per esigenze dei produttori. Il ruolo di partner di primissimo piano ci è garantito dallo stabilimento di Cameri, che veniva prima citato: un impianto che è costato quasi un miliardo di euro, materialmente costruito tra il 2011 e il 2013, su una superficie di 40,87 ettari, che consta di 22 edifici, all'interno dei quali sono ospitate undici stazioni di assemblaggio e cinque di revisione, supporto e aggiornamento, ed è gestito dalla società Alenia Aermacchi del gruppo Leonardo, quindi un gruppo a partecipazione statale.
Sempre per completezza di informazione, va ricordato che il coinvolgimento dell'industria nazionale non riguarda solo Alenia Aermacchi, ma altre aziende impegnate nella produzione di parti del supporto logistico del motore dell'F-35, che è realizzato da un'azienda statunitense, ma che è affidato ad altre tre grandi aziende nazionali, che sono la Avio, la Piaggio Aero e la Forgital, e due piccole e medie imprese, che sono Aerea e Cts Group. Parti della componentistica interessano Selex e OTO Melara, in totale, le società italiane che sono coinvolte in questo progetto come società di subfornitura sono circa una trentina. Per cui, sicuramente, è un progetto rispetto al quale nessuno ha messo in discussione materialmente con atti - il dibattito è il dibattito, ma con atti nessuno ha messo in discussione - una partecipazione che va avanti da anni e che sta seguendo il suo normale percorso e impegno anche di aziende del nostro territorio.
Il nostro Paese non ha mai preso in tutto il lungo periodo, dal 1996 ad oggi, decisioni intese ad un'uscita unilaterale dal programma F-35 ed anzi ha recentemente confermato la volontà di continuare a parteciparvi, senza rinunciare a valutarne nel tempo tutti gli sviluppi.
Dunque, gli impegni che noi crediamo possano essere condivisi anche dalle altre forze politiche e che il Parlamento possa chiedere con un atto parlamentare, che potrebbe essere, a nostro avviso unitario, che auspichiamo sia unitario, sono, prima di tutto, di valutare le future fasi del programma al quale l'Italia ha sempre partecipato in modo serio e responsabile, ripeto, tenendo conto dei mutamenti del contesto geopolitico, delle nuove tecnologie che si stanno affacciando, dei nuovi costi che si profilano, degli impegni internazionali assunti dall'Italia, della tutela dell'industria italiana del comparto, a cui si faceva riferimento, della difesa e dell'occupazione, al fine di avviare l'accrescimento massimo possibile del know how nazionale e l'accesso alla tecnologia straniera nelle risorse disponibili.
Il secondo impegno che riteniamo che possa essere sottoscritto, speriamo sia sottoscritto da tutti, sia quello di valutare, attraverso le unità già in forza presso i reparti operativi, la piena rispondenza dei velivoli e i requisiti tecnici-operativi di sicurezza delle nostre Forze armate.
Il terzo impegno è quello di continuare nella valorizzazione degli investimenti già effettuati nella FACO di Cameri, della sua competitività quale polo produttivo logistico internazionale, allargando ulteriormente gli ambiti di cooperazione internazionale nel campo aerospaziale e della difesa, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici del polo produttivo.
Infine, l'impegno al Governo di riferire periodicamente al Parlamento, attraverso le Commissioni, le eventuali evoluzione del programma. Crediamo che, naturalmente, ciascuno sottolinea, secondo la propria visione politica e il proprio convincimento, quanto può essere importante andare avanti nel programma o quanto ci possono essere elementi da discutere, ma la base comune mi pare che possa essere raggiunta. Dopo le discussioni che si sono fatte in passato, anche nella scorsa legislatura, in questo Parlamento, sarebbe veramente, a mio avviso, un grande progresso se almeno su un minimo comune denominatore - questo, sì, dà il senso della serietà di un Paese a livello internazionale - tutto il Parlamento riuscisse a convenire e a trovare una base, rispetto alla quale, naturalmente, ciascuno si caratterizza anche in modo diverso