Grazie, gentile Presidente. Care colleghe e cari colleghi, siccome siamo oggi, qui, a celebrare la Giornata internazionale dei diritti delle donne con qualche giorno di anticipo, vorrei partire proprio da qui, dal luogo in cui ci troviamo, per ricordare come, in quasi 80 anni di Repubblica, piccole, grandi conquiste sono nate proprio in quest'Aula o questa stessa Aula ha recepito cambiamenti già in atto nella società, lo ha fatto anche a dispetto di una composizione assolutamente di parte, in cui le donne, a malapena, hanno superato il 30 per cento. Proprio qui si sono fatte le leggi che hanno cambiato il Paese e la vita di milioni di donne e di uomini in ogni ambito, dalla famiglia al lavoro, dalla politica al costume. Qui è morto il delitto d'onore ed è nato il divorzio, qui per la prima volta sono state tutelate le madri lavoratrici, qui è scomparso il capofamiglia maschio, qui lo stupro è diventato delitto contro la persona e non più contro la morale, qui la piaga degli aborti clandestini è stata finalmente arginata.
Le battaglie delle donne fuori dal Parlamento, negli anni Settanta e Ottanta, hanno portato conquiste che hanno fatto progredire l'intera nostra democrazia, leggi e riforme che hanno rafforzato la Repubblica democratica, dando concretezza a quell'articolo 3 della Costituzione così caro, non a caso, alle Madri costituenti: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso (…)”. E, in quest'Aula, oggi stiamo combattendo la difficile battaglia contro i femminicidi, già 17 dall'inizio dell'anno, ce l'hanno chiesto le centinaia di migliaia di giovani donne e uomini, che si sono ritrovati in piazza, lo scorso 25 novembre, per Giulia Cecchettin e per tutte le altre donne, amiche, compagne, sorelle.
Noi dobbiamo sapere rispondere a quelle voci, fornendo gli strumenti legislativi per garantire alla giustizia la sua efficacia, ma anche favorire e accompagnare una vera e propria rivoluzione culturale, con un'educazione alla tolleranza, al rispetto della diversità, una vera trasformazione intellettuale che superi stereotipi e pregiudizi maschilisti, ad iniziare dal linguaggio, da quella prova di maturità che tante volte, troppe, suscita ironia, anche tra le donne. Diciamocelo, chi non vuole ammettere che il linguaggio non è neutro, ma sottende una visione politica, per cui non c'è “infermiera”, se non c'è “sindaca” e non c'è “maestra”, se non c'è “medica”. E, per questo, appare ancora più strano ed incomprensibile che la prima Presidente del Consiglio donna insista così tanto volersi far chiamare “signor” Presidente del Consiglio. Tre donne ai vertici delle maggiori organizzazioni politiche internazionali - Unione europea, BCE e Fondo monetario - fanno la differenza, certo, ma il tetto rimane per tante altre: quelle che guadagnano il 30 per cento in meno dei loro colleghi maschi, quelle - una su tre - che non hanno un proprio conto corrente, quelle - la metà - che non lavorano, pur volendolo fare. Uno spreco enorme di potenzialità economiche, un danno per la nostra economia, un punto di PIL all'anno in meno ci dice la Banca d'Italia, cioè più entrate fiscali e meno debito che potremmo avere. È quel tetto che noi vogliamo rompere, attuando le leggi che ci sono, promuovendo davvero l'equilibrio di genere nella direzione delle società pubbliche o a partecipazione pubblica e anche assumendoci la responsabilità di escludere componenti che si siano macchiati o che abbiano giudizi per comportamenti di discriminazione di genere, stalking, mobbing, violenza contro le donne.
Nel mondo essere donna è ancora una sfida. Le donne pagano i conflitti più di tutti, c'è un'arma speciale contro di loro, lo sappiamo: lo stupro di guerra. Il loro corpo è oggetto di una conquista patriarcale, forse perché dalle donne passano le spinte democratiche in molte zone della Terra, dalla Bielorussia all'Iran, dalla Russia di Yulia Navalnaya all'Afghanistan di Bilqis Roshan, senatrice, che, proprio questa mattina, insieme alle colleghe del PD abbiamo incontrato, costretta a vivere in esilio e ha raccontato come l'Occidente abbia abbandonato le donne afgane a un destino di emarginazione e sofferenza. Tanti passi in avanti sono stati fatti, altri vanno compiuti ancora, lo sanno tutte quelle donne su cui grava ancora principalmente il carico di cura, perché la condivisione non ha preso piede nel nostro Paese. Qualcuno pensa di poter ancora continuare ad avere lo sguardo rivolto al passato, a parlare di conciliazione. No, noi dobbiamo condividere il carico di lavoro, di cura, domestico, abbiamo il dovere di costruire politiche di welfare che vadano in quella direzione. Ecco perché chiediamo, ancora una volta, in quest'Aula, a tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione di essere uniti nelle battaglie, per votare insieme il congedo paritario obbligatorio di 5 mesi per entrambi i genitori, perché il 50 per cento della popolazione non può continuare a subire le discriminazioni che subisce. È una questione di giustizia sociale, è una questione di sostenibilità, è una questione di democrazia.