Grazie, Presidente. Signor Ministro, sarò sincero. Noi abbiamo apprezzato molte delle sue argomentazioni, ma è la politica generale del Governo espressa in questi mesi, con tutte le sue contraddizioni. È, soprattutto, la postura assunta ora di fronte alla nuova amministrazione americana che le caricano di incognite, di ambiguità e le collocano in una prospettiva, Ministro, che addirittura ci preoccupa. Vede, qui non è in discussione il rispetto e le ricordo, come ha fatto lei stamattina, che non stiamo votando il decreto oggi. Stiamo discutendo di politica. Per questo, ci asterremo. Non potremo esprimere un voto favorevole per la cornice politica in cui si inserisce la risoluzione. Potrei chiederle io, Ministro, perché esprimete un parere contrario alle premesse della nostra risoluzione in cui rivendichiamo ancora una volta l'aver sostenuto Kiev nell'ora più buia con aiuti umanitari, economici e militari, permettendo all'Ucraina di esistere ancora. Vede, noi c'eravamo tre anni fa, Ministro, il giorno della criminale e immotivata invasione della Russia di Putin.
Stare dalla parte degli ucraini, del loro diritto a resistere, a difendersi da attacchi rivolti alle città, alle popolazioni inermi, alle infrastrutture civili, fu una scelta, fu l'unica scelta possibile, perché non potevamo e non possiamo voltarci dall'altra parte. Il tempo che è trascorso da allora non rende l'aggredito meno aggredito e l'aggressore meno aggressore. Se non avessimo fatto quella scelta, ne conveniamo su questo, oggi non avremmo avuto la pace, avremmo avuto la resa: una resa alla sopraffazione, alla violenza, di chi puntava a minare a fondo un ordine internazionale basato sulle regole, già fortemente incrinato da profonde contraddizioni accumulate. Le ragioni di quella scelta vanno riaffermate oggi, perché è proprio oggi che quell'ordine globale, costruito dopo la seconda guerra mondiale, viene messo maggiormente in discussione da molti attori, da grandi potenze, anche da chi aveva contribuito a costruirlo. È accaduto l'altro ieri a Washington, Ministro, e lei oggi ha fatto finta che non fosse accaduto nulla. Tuttavia, la minaccia di espansione territoriale, i colpi durissimi già inferti al sistema multilaterale, una visione delle relazioni internazionali fondata non sul diritto, ma sulla politica di potenza, sono tra le cose che ci hanno più allarmato del discorso di Donald Trump e dovrebbero allarmare anche voi, Ministro. Avrebbero dovuto allarmare la Presidente del Consiglio, che applaudiva dall'ultima fila, accanto al Presidente Milei, l'unico altro presente alla cerimonia, per un viaggio che è apparso quello di una fan, non quello di una leader.
Noi non solo non applaudiamo, ma vi diciamo che sul diritto internazionale, sul valore del multilateralismo non abbiamo e non avremo mai doppie morali, perché sono principi irrinunciabili, che devono valere sempre, dappertutto, per i deboli e per i forti, per gli alleati e per gli avversari, in Ucraina e a Gaza, e perché sappiamo riconoscere, Ministro, la matrice politica di un nazionalismo che ritorna aggressivo e prepotente, che mette gli interessi delle Nazioni e dei popoli gli uni contro gli altri e che non ha mai prodotto né produrrà pace, semmai fragili tregue ed equilibri del terrore.
I mille giorni trascorsi dal giorno dell'invasione all'Ucraina, con il suo carico di centinaia di migliaia di morti, le macerie e la distruzione accumulata confermano la paziente follia criminale della Russia di Putin, che crede di avere una missione che va oltre la cronaca, oltre la politica, che ha a che fare con una storia e un'ideologia nefaste. Tuttavia, noi che dovremmo essere razionali, che non siamo indifferenti, Ministro, lo ha detto lei, alle vite che cadono, accanto al dovere di rendere onore alla resistenza degli ucraini e di riaffermare i nostri principi, abbiamo anche il dovere di guardare la dura e cruda realtà e di interrogarci sulla nostra azione.
Gli aiuti umanitari che abbiamo inviato - lo ha detto anche lei e questa è una posizione in comune - erano finalizzati a impedire che l'Ucraina fosse spazzata via dalla mappa geografica, che arrivasse in piedi e non in ginocchio a un tavolo negoziale che portasse alla pace giusta, duratura, sicura. La realtà che emerge oggi sul campo è che gli scenari possibili sono solo due: o una guerra che si protrae senza fine e senza vincitori sul campo o l'apertura di un negoziato prima che sul campo cada l'ultimo fucile.
La politica ha il dovere di leggere la realtà e scegliere quale strada intraprendere. Lei oggi ha detto una frase impegnativa qui, l'ha ripetuta: spero che questa sia l'ultima volta che mandiamo armamenti. Noi le diciamo che non vogliamo e non possiamo rassegnarci e cedere all'idea dell'inevitabilità della guerra. Lei ha attaccato Borrelli prima. Io le dico che ci preoccupano molto le dichiarazioni di oggi della nuova Alta rappresentante della politica estera di sicurezza comune, Kallas, che dice che dobbiamo prepararci alla guerra. Noi dobbiamo prepararci alla pace, perché la politica oggi parla di negoziato e ne parlano tutti, ne parla lo stesso Zelensky.
È un negoziato che non si risolverà in 24 ore, come prometteva Trump prima del suo insediamento. Sarà un negoziato difficile, durissimo, per il quale tutti pagheranno, pagheremo un prezzo. Non c'era nessuna ragione, Ministro, per cui accanto all'impegno nel sostenere militarmente l'Ucraina, l'Europa, che più di tutti subisce i costi umani, economici, sociali e persino politici del protrarsi della guerra, non investisse nel sostegno vero a un'iniziativa politica per la pace, al negoziato. Pongo anche a lei questa domanda, perché, al di là delle manifestazioni partigiane, persino nei suoi silenzi mi è parso di cogliere una preoccupazione, Ministro. Non era meglio arrivare prima di Trump?
Se avessimo avuto un maggiore protagonismo dell'Europa a quel tavolo, forse le ragioni dell'Ucraina non sarebbero state difese meglio? Putin si alzava dal tavolo, lei lo ha ricordato e ha fatto bene, ma è una ragione in più per insistere e mostrare agli occhi del mondo chi vuole davvero che cosa. Al tavolo della pace, Ministro, questo è il messaggio che dovrebbe unirci. L'Europa non può essere ospite, lasciando ad altri attori - che pure devono avere un ruolo, a partire dagli Stati Uniti e dalla Cina - di decidere al posto nostro le sorti del nostro continente. Questo è il punto politico.
Così come non dobbiamo confondere mai la pace con la resa, non possiamo nemmeno confondere la pace con la tregua, una tregua armata, una soluzione coreana, dove il conflitto viene congelato e noi continueremo a pagarne il prezzo, perché se vogliamo una pace vera, serve la politica, serve sciogliere i nodi, farci carico di dare garanzia all'Ucraina con l'ingresso nell'UE, dopo serie riforme, ricostruire una nuova architettura di sicurezza e di convivenza nel continente, quella che avremmo potuto chiamare qualche tempo fa una nuova Helsinki, se oggi quella città non avesse perso quell'evocazione di neutralità, segno di quanto i tempi siano cambiati. Per questo l'Europa deve coltivare la sua autonomia strategica, avere una difesa comune e io arrivo a dire di più, Ministro, un esercito comune. Su questo, qual è la vostra posizione? Se, come pare, vi limitate a chiedere all'Europa spazi finanziari per aumentare le spese militari nazionali, dopo non essere riusciti a negoziare una riforma del Patto di stabilità all'altezza dei nostri interessi e delle molte sfide comuni, allora non ci siamo. Se, invece, vogliamo fare una battaglia come Italia per una difesa comune, al servizio di una politica estera comune, della riscoperta dell'Europa come progetto di pace, ci troverete in prima linea, Ministro.
Qui torna il punto politico: ieri eravate accanto a quel Musk, che fa il saluto romano e invita a votare i neonazisti in Germania, uno che non potrà avere accesso ai file riservati dell'Amministrazione americana a causa dei suoi rapporti con Putin e a cui vorreste affidare le informazioni militari, invece di investire sul progetto europeo Iris2. Dove sarete quando bisognerà scegliere? Scegliere se rafforzare l'autonomia strategica europea nel nostro interesse nazionale o assecondare il disegno di frammentazione dell'Europa che ha già dichiarato Trump.
Lei, Ministro, ha parlato di un impegno diplomatico e questo non si fa con le interviste. Anche il sostegno all'iniziativa del cardinale Zuppi è semplicemente doveroso. Se è mancata l'Europa, Ministro, - me lo lasci dire - è anche a causa vostra. Le dico di più: anche l'Italia avrebbe potuto fare la sua parte per costruire la pace e non l'ha fatto. Tutti i nostri Governi hanno sempre cercato un protagonismo diplomatico. Lei ha parlato del 2022: io le ricordo che Draghi, nel maggio di quell'anno, aveva presentato alle Nazioni Unite un piano di pace per l'Ucraina. Non decollò, ma fu una mossa. Voi, invece, avete lasciato l'invocazione della pace nella vostra maggioranza a chi indossava la maglietta di Putin (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) e stringeva i rapporti con Russia Unita. È lontana, lontanissima l'immagine di un Presidente del Consiglio dell'Italia, insieme ai leader di Francia e Germania, su quel treno per Kiev, quel treno piombato, che lei avrà preso per andare in Ucraina come tanti di noi e che avrebbe dovuto incarnare il desiderio di pace dell'Europa.
Lei è preoccupato - e chiudo - per il nostro continente e lo siamo anche noi, Ministro, ma il suo Governo, questo è il punto, partecipa all'indebolimento della solidarietà europea, che oggi, proprio oggi, invece, sarebbe ancora più necessaria. Oltre che necessaria, sarebbe possibile? Non lo sappiamo. Se sarà possibile dipenderà non dalle speranze, ma dalla volontà e dalle scelte politiche. Me lo lasci ricordare, infine: anche in questo passaggio tanto difficile, noi europei siamo necessari e non dobbiamo rassegnarci alla nostra marginalità, perché noi siamo quelli che, accanto alle ragioni della pace, portano quelle della giustizia, che qui sono quelle dell'aggredito e del diritto internazionale, perché questo è il cuore dell'Europa dopo l'abisso del nazifascismo, perché la pace, anche dopo l'offesa di una immotivata e unilaterale aggressione, come in questo caso, sarà sempre un doloroso compromesso, porterà sempre con sé una dose di ingiustizia. Tuttavia, se la distanza tra le ragioni della pace e quella della giustizia si fa troppo grande, Ministro, alla fine non avremo né l'una né l'altra.