Comunicazioni
Data: 
Martedì, 12 Dicembre, 2017
Nome: 
Paolo Gentiloni

Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, la tradizione di confronto con l'Aula della Camera e con il Parlamento sulle riunioni dei Consigli europei è diventata, nel corso degli anni, uno degli elementi importanti della nostra dialettica parlamentare. Penso che dobbiamo considerare queste occasioni nel loro rilievo. Poi i Consigli europei possono essere talvolta decisivi per le decisioni che prendono, talvolta possono invece essere espressione di momenti di transizione, ma credo che non sfugga a nessuno di noi - certamente non sfugge all'Aula della Camera e al Governo - che in ogni caso stiamo parlando di una sede decisionale di grandissimo rilievo. E, quindi, il confronto nell'Aula, l'illustrazione da parte mia dei temi che saranno discussi giovedì e venerdì, è un'occasione, credo, importante.

Il Consiglio europeo di giovedì e venerdì prenderà alcune decisioni di rilievo su alcuni argomenti abbastanza precisi e, poi, avrà un momento di discussione su argomenti ancora più importanti. Non ci saranno su questi delle decisioni specifiche, ma saranno discussioni molto rilevanti. Il tutto avviene in una congiuntura, che vorrei segnalare all'Aula alla Camera, perché è una congiuntura particolare. Noi abbiamo attraversato, nel corso degli ultimi due anni, delle fasi diverse nella temperie europea. Abbiamo avuto certamente nel 2016 un doppio shock: lo shock di Brexit e lo shock costituito dalle elezioni americane. Dico che si è trattato di un doppio shock, non perché noi si abbia o si possa avere nulla da ridire sulla decisione democratica del popolo britannico e tantomeno sulla decisione del popolo americano, essendo gli Stati Uniti sempre stati ed essendo tuttora il nostro principale alleato. Ma, certamente, la decisione di Brexit è parsa il culmine di una difficoltà e di una crisi dell'Unione europea (giugno 2016) e il voto negli Stati Uniti è parso in qualche modo caricare l'Europa, l'Unione europea, di una responsabilità e di una domanda particolari, perché è parso essere un momento di ridefinizione dei rapporti tra le due sponde dell'Atlantico e, quindi, una sfida, in un certo senso, a noi europei. Abbiamo avuto poi, nel corso di quest'anno, del 2017, una reazione a mio avviso positiva a questo momento di doppio shock, a cui accennavo. Si potrebbe dire che l'inverno dello scontento europeo si è sciolto anche al sole del Campidoglio, qui a Roma.

Nel marzo scorso, ricorderete l'occasione dei sessant'anni dei Trattati, nei quali c'è stata una decisione importante, perché in quella dichiarazione si è sancita, per la prima volta, l'idea della possibilità di livelli diversi di integrazione nell'ambito dell'Unione europea ma, al di là di questo, c'era uno spirito di reazione, di risveglio che è stato poi irrobustito grandemente dai risultati elettorali - penso soprattutto a quello francese - e rilanciato nel corso dei mesi di quest'anno da orizzonti e discorsi di grandi traguardi più impegnativi del progetto europeo. Ora siamo al dunque nel senso che questa sveglia che in fondo l'Europa ha visto nel 2017 è chiamata l'anno prossimo a una sorta di prova della verità cioè capiremo nei prossimi mesi, nel corso del prossimo anno, prima del 2019 che sarà l'anno del rinnovo del Parlamento europeo e di tutte le cariche fondamentali a livello europeo, capiremo nel 2018 se tale risveglio di volontà, di ambizione europeista si riesce a tradurlo in decisioni politiche, in azioni concrete di Governo o se è destinato a restare semplicemente sulla carta. L'Italia certamente si muoverà e si muove per tradizione pluridecennale della nostra politica estera per spingere nella direzione di un'assunzione di maggiore responsabilità europeista nei mesi che ci aspettano. Non può essere un'Europa ferma per il ritardo nel negoziato per la formazione del nuovo Governo tedesco, per l'attesa delle elezioni politiche nel nostro Paese, per la mancanza di coraggio di unità dei Governi a giustificare una situazione di stallo. Dobbiamo impegnare la forza del nostro Paese per spingere in una direzione contraria.

Veniamo, onorevoli colleghe e colleghi, alle decisioni innanzitutto che verranno prese in questi due giorni. Forse la più rilevante, in una prospettiva di medio-lungo periodo, sarà la decisione di dare il via libera all'intesa che i negoziatori della Commissione e il Governo britannico hanno realizzato sulla prima fase dei negoziati post Brexit. Non era scontato: sapete che è un'intesa che è stata raggiunta nella notte dell'8 dicembre. È stata raggiunta perché si sono, credo, resi evidenti anche i fattori di difficoltà nei quali la scelta del Regno Unito, del leave, ha portato un Paese così importante, così carico di storia e anche così capace nei negoziati diplomatici internazionali. Però la realtà dei fatti è molto dura e la verità è che, a un anno e mezzo di distanza, risulta evidente, senza alcun compiacimento da parte del Governo italiano, che la scelta di separare la propria storia dalla storia dell'Unione europea è una scelta che ha creato più difficoltà che vantaggi ai nostri amici del Regno Unito. Se c'era qualcuno che coltivava aspirazioni divorziste nei confronti dell'Unione europea alla luce dell'esperienza britannica, credo che questo qualcuno abbia visto tali aspirazioni molto ridimensionate nel corso di questo anno e mezzo. Diciamo che la dura realtà è che una scelta di quel genere, che ha tutto il nostro rispetto perché è una scelta di popolo e democratica, ha aperto una fase molto complicata. Questa fase ha avuto un primo punto conclusivo nel riconoscimento delle condizioni fondamentali che la Commissione europea aveva messo sul tavolo per andare alla seconda fase di questo negoziato. Nel gergo della Commissione si dice che sono stati raggiunti progressi sufficienti. Questo sanciranno i Capi di Stato e di Governo con il vertice nella giornata di venerdì.

In cosa consistono i progressi sufficienti? Come sapete, tre questioni. Primo, il non riemergere, che sarebbe naturalmente tristemente pericoloso, della questione irlandese e quindi l'intesa sul fatto che non ci saranno controlli di confine tra Belfast e Dublino e tra Belfast e Londra; secondo, l'impegno da parte del Governo di Londra, certamente non facile per il Governo di Londra, a dare quanto dovuto al bilancio comunitario, non solo per il bilancio comunitario ma anche per la Banca Europea per gli Investimenti, per le diverse agenzie per le quali erano in corso impegni pluriennali da parte del Regno Unito; terzo - questo terzo elemento è quello che dal punto di vista dei nostri interessi nazionali abbiamo fatto pesare con maggiore attenzione - il riconoscimento dei diritti acquisiti da parte del numero molto elevato di cittadini dell'Unione europea che risiedono nel Regno Unito. Tra questi, come sapete, ci sono anche 400.000-500.000 italiani ed è stato importante che, nella prima fase del negoziato, si sia già arrivati a stabilire la difesa dei diritti acquisiti e anche alcune modalità di traduzione di tale difesa dei diritti acquisiti tra cui, importantissima, credo, la conversione automatica dei documenti di residenza attuali dei nostri concittadini nel Regno Unito nei nuovi certificati che saranno loro necessari in quanto non più cittadini dell'Unione europea. Era un impegno che il Primo Ministro May aveva già preso in termini generali nel suo discorso di Firenze e che ha confermato nel corso dei negoziati. Ora il via libera che verrà - non credo ci siano dubbi - dal Consiglio europeo alla prima fase del negoziato, ne apre una seconda e dobbiamo credo essere tutti consapevoli del fatto che la seconda fase non sarà più semplice della prima perché la prima era quasi l'individuazione di una buona volontà a mettere sul tappeto e a risolvere quasi alcuni requisiti di un negoziato. Ora si tratta di sviluppare il negoziato in modo concreto e con un tempo che non è infinito perché sapete che la separazione, l'uscita del Regno Unito, la trasformazione del Regno Unito in un Paese terzo rispetto all'Unione avverrà il 29 marzo 2019. I tempi così ristretti hanno indotto il Governo di Londra a proporre l'istituzione di un periodo transitorio di due anni da quella data prima di arrivare alla definizione della natura dei nuovi rapporti che legheranno l'Unione europea e il Regno Unito. Sul metodo credo che ci sia intesa: sarà il Consiglio europeo di febbraio a stabilire gli obiettivi della seconda fase di negoziato. In altri termini, che tipo di rapporti dare alle nuove relazioni tra noi e la Gran Bretagna: non sarà facile. Il tempo di questo negoziato sarà lungo e complesso: è sempre più facile lavorare sui matrimoni che sui divorzi e quindi un divorzio comporta molte questioni giuridiche e amministrative più complesse e abbiamo visto quanto complesse siano anche le questioni giuridiche di nuovi accordi - penso all'accordo con il Canada o ad altri - figurarsi quelle che partono invece da una realtà che bisogna ridurre e rimodulare e non da una tabula rasa che bisogna riempire.

L'Italia si accingerà al negoziato, come ha fatto finora, con l'atteggiamento di chi certamente difende la posizione unitaria dell'Unione europea che si è confermata in tutti questi mesi e che, altrettanto certamente, guarda alla Gran Bretagna come a un Paese amico, non solo per la storia, che non dimentichiamo, certo, dei decenni che abbiamo alle nostre spalle e anche il ruolo che quel Paese ha avuto nella parte più terribile del Novecento, ma anche i rapporti storici che abbiamo avuto con Londra ci spingono a dire che noi cerchiamo di contribuire al raggiungimento di un'intesa. L'idea di un non-accordo e, quindi, di relazioni regolate semplicemente dalle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio non ci appartiene e noi cercheremo di lavorare in un senso diverso, pur sapendo, lo ripeto, tutte le difficoltà dell'impresa.

Via libera alla seconda fase del negoziato Brexit, prima decisione; la seconda decisione che verrà presa riguarda la cooperazione rafforzata sulla difesa. È una decisione che, in un certo senso, fa parte di quell'esigenza, che dicevo all'inizio, di consentire all'Europa di essere, dal punto di vista anche geopolitico, maggiormente all'altezza della domanda di Europa che c'è nel Mediterraneo, in Medio Oriente, nel nostro contesto geopolitico.

Bastano le decisioni che prenderemo giovedì sulla cosiddetta PESCO, la cooperazione di difesa rafforzata su alcuni progetti in particolare di difesa comuni, su cui, peraltro, l'Italia si è portata avanti, penso ad esempio alla cantieristica navale? Certamente, non basta, sono dei piccoli passi che vanno in una direzione giusta, che è importante valorizzare, che, a mio avviso, sono rilevanti anche perché traducono in pratica quel principio affermato proprio nella Dichiarazione di Roma, nel marzo scorso, che ha introdotto, per la prima volta, in un documento ufficiale dell'Unione europea, l'idea della possibilità di diversi livelli di integrazione e cioè la possibilità che il ritmo di costruzione dell'Unione possa essere anche diverso da quello imposto dall'ultimo vagone, il più lento dei ventotto, che si possa andare anche a un ritmo più accelerato con alcuni Paesi che sono disponibili a farlo e la cooperazione sulla difesa è esattamente questo, un gruppo di Paesi, non tutti, dell'Unione europea che si mette insieme, stabilisce alcune priorità e va avanti in quella direzione.

Infine, il terzo capitolo delle decisioni che prenderemo riguarda il grande campo dell'educazione, dell'istruzione, della cultura e io sono molto soddisfatto del fatto che su questo tema - su cui tradizionalmente l'Italia si batte, insiste, cerca di spingere avanti la costruzione dell'Unione europea - si realizzeranno dei limitati, ma molto significativi passi in avanti. Li abbiamo, in un certo senso, condivisi, su iniziativa italiana e francese nell'ultimo incontro dei Capi di Stato e di Governo in Svezia; li tradurremo in decisioni definitive nella giornata di giovedì. Le decisioni riguardano, in primo luogo, il plurilinguismo e cioè l'impegno per tutti i Paesi europei a convergere verso un sistema che comprenda oltre alla lingua madre almeno altre due lingue straniere, nei diversi ordini di scuola; il che è molto utile e può essere anche un'occasione importante, in alcuni Paesi, per la diffusione dell'italiano; riguarda la moltiplicazione di risorse per il programma Erasmus Plus e sappiamo tutti quale sia il valore reale, oltre che simbolico, di questo programma; riguarda il progetto di iniziativa italiana di una carta dello studente europea, che metterà in condizione gli studenti dei diversi Paesi europei di accedere ad alcuni servizi, soprattutto culturali, in tutto il panorama europeo.

Riguarda, infine, il progetto, di matrice francese, della creazione di una ventina di università europee che possano essere più competitive a livello globale in una competizione tra università, nelle quali, obiettivamente, a onor del vero, al di là di alcuni esempi britannici, non sempre le università europee sono al top del ranking internazionale. Quindi, far convergere forze è utile e importante.

Questi sono, colleghe e colleghi, i tre punti fondamentali che verranno decisi nel vertice, ma non meno rilevanti sono gli argomenti su cui il Consiglio europeo prevede una discussione, senza, per il momento, decisioni. E questi sono due argomenti fondamentali per noi e per l'intera Europa; il primo, è un'ulteriore tappa nella discussione che, come sapete, va avanti da un tempo piuttosto lungo sulle politiche migratorie comuni; il secondo, riguarda, invece, l'avvio di una discussione sull'Unione monetaria e bancaria.

Sulle politiche migratorie l'Italia si presenterà a questo Consiglio europeo a testa alta e forte dei risultati che abbiamo ottenuto in questo campo e che sono considerati, per la loro importanza, a livello europeo e internazionale. Sui risultati, si potrebbe dire che i numeri parlano da soli, da un certo punto di vista; io ve ne ricordo alcuni, ma li conoscete bene. Da una parte, parliamo della riduzione del numero di arrivi in Italia, frutto dell'azione in ordine al traffico di migranti, una riduzione consistente, il 33 per cento in meno su base annuale, addirittura il 69 per cento in meno se parliamo del periodo da luglio a oggi; il 69 per cento in meno vuol dire, per tradurlo in cifre assolute, 80 mila persone in meno arrivate in Italia e in Europa, grazie al lavoro che abbiamo fatto in Libia di costruzione di una capacità di attivazione di energie e di rimpatri volontari. Vi do un altro dato che riguarda i rimpatri volontari assistiti fatti dall'Organizzazione internazionale dei migranti dalla Libia verso altri Paesi africani; pensate che sono stati, l'anno scorso, un po' meno di 3 mila, ora, per quest'anno, si stanno avvicinando a 20 mila e, probabilmente, andranno oltre i 20 mila. Parliamo, quindi, di cifre moltiplicate potenzialmente per dieci rispetto a quelle dell'anno scorso. Una capacità, bisogna che lo diciamo forte e chiaro e anche con un certo orgoglio, resa possibile dall'azione politica dell'Italia, perché, se oggi è possibile, alle organizzazioni delle Nazioni Unite, UNHCR e IOM, essere presenti in Libia, intervenire in Libia, se oggi è possibile squarciare il velo sulle condizioni dei diritti umani dei migranti trattenuti in Libia, questo è possibile grazie all'azione dell'Italia e di questa azione, credo, dobbiamo chiamare tutta l'Europa ad essere riconoscente (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD, Democrazia Solidale-Centro Democratico e di deputati del gruppo Misto). Ci sono dei problemi di diritti umani in Libia, ci sono dei problemi terribili, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, il punto è che questi problemi terribili, che sono presenti da alcuni anni, purtroppo, da molti anni, in Libia, finalmente, grazie al trattato bilaterale tra Italia e Libia, possono essere svelati e su questi si può cominciare a lavorare.

Se UNHCR, adesso aprirà un centro in Libia per organizzare corridoi umanitari legali per i rifugiati, questo è possibile grazie al Trattato bilaterale tra l'Italia e le autorità libiche; se i numeri di IOM sono moltiplicati per dieci, questo è possibile grazie alla nostra azione; se i riflettori si accendono sulle condizioni inaccettabili dei rifugiati trattenuti in Libia, questo è grazie alla nostra iniziativa (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Democrazia Solidale-Centro Democratico e di deputati del gruppo Misto). E l'Italia deve avere l'orgoglio di aver dimostrato in questi mesi di essere al tempo stesso il Paese che, come è stato detto più volte dalle autorità europee, ha salvato l'onore dell'Europa, perché è il Paese in prima linea come capacità di accoglienza e di salvataggio in mare, e noi rivendichiamo con orgoglio questo nostro primato; contemporaneamente, l'Italia è orgogliosa di un altro primato, e cioè di essere stata capace di mettere in crisi il modello di business dei trafficanti di esseri umani, dimostrando a tutti che quella battaglia si può vincere, e si può vincere gradualmente, rendendo meno disumane le condizioni dei migranti trattenuti in Libia (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Democrazia Solidale-Centro Democratico).

Il punto (e di nuovo su questo punto noi interrogheremo i nostri partner in Europa) è se questo lavoro possa continuare ad essere soltanto un lavoro italiano, magari con un sostegno politico ed economico che noi riconosciamo e di cui siamo grati alla Commissione europea, ad alcuni grandi Paesi europei, primo fra tutti la Germania, senza però diventare fino in fondo un impegno soprattutto sul piano economico condiviso dall'insieme degli Stati membri. Io dico molto chiaramente che questo impegno ha dimostrato di funzionare, e proprio perché ha dimostrato di funzionare non può essere lasciato soltanto sulle spalle dell'Italia, della Commissione e di qualche Stato di buona volontà: deve diventare a tutto tondo un impegno dell'insieme dell'Europa (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Democrazia Solidale-Centro Democratico)!

Io non accetto come responsabile del Governo italiano l'ipocrisia di chi, proprio perché noi abbiamo acceso i riflettori sulla situazione in Libia, scopre la violazione dei diritti umani e dice che i migranti devono essere trasferiti tutti in Europa, parlando di Europa e pensando alla Sicilia. No, cari amici! Il problema è di migliorare lì questa situazione, e di approfittare delle condizioni nuove che abbiamo in questo momento, in cui finalmente - e vi assicuro, avendo seguito in questi anni molto da vicino questa questione, che è la prima volta - abbiamo una disponibilità da parte di numerosi Governi africani ad accettare l'idea di un rafforzamento dei rimpatri volontari assistiti. Non è un caso se OIM è passata da meno di 3 mila a quasi 20 mila, e potrebbe addirittura arrivare vicino a 30 mila nei prossimi 15-20 giorni, perché c'è stato uno scatto di sensibilità e di responsabilità da parte dei Governi africani. Conosciamo le loro difficoltà: sappiamo che non è facile, sia perché una parte dei loro bilanci dipendono dalle rimesse degli emigranti, sia perché non è facile spiegare per ciascuno dei governanti africani alle loro opinioni pubbliche che si accetta il ritorno dei migranti economici nelle comunità da cui si sono allontanati; ma se noi vogliamo davvero le cose di cui parliamo, e cioè trasformare un traffico ignobile in corridoi umanitari, in flussi migratori legali, gestibili, non pericolosi per chi li affronta, dobbiamo avere il coraggio di insistere, insistere nel lavoro con i Governi africani, nei rimpatri volontari assistiti, nel lavoro per denunciare, cambiare e migliorare le condizioni che oggi investono i migranti trattenuti in Libia.

Questo è l'impegno dell'Italia: domanderemo all'Europa se l'impegno dell'Europa è finalmente deciso in questa direzione, o se dobbiamo continuare ad andare solo col sostegno di qualche Paese di buona volontà, e per il resto in ordine sparso.

Io mi auguro che l'Europa colga meglio, pienamente questa occasione. Ripeto: non sottovaluto l'appoggio della Commissione, non sottovaluto l'impegno finanziario della Germania, che è rilevante da questo punto di vista. Vorrei un impegno dell'insieme dei Paesi europei, perché noi non rinunceremo ai nostri principi su queste questioni, non rinunceremo alle ricollocazioni di rifugiati obbligatorie: è una decisione che l'Unione europea ha preso, e sulla quale bisogna insistere; non rinunceremo all'idea che sia possibile accogliere e salvare la vita a chi arriva verso le nostre coste, e contemporaneamente consolidare la capacità dei Paesi africani di riassorbire almeno in parte le migrazioni illegali, il traffico clandestino, per fare questa grande operazione di spostamento dall'illegalità e dalla criminalità alla gestione, alla legalità, alla sicurezza. È un orizzonte non utopistico: quello che abbiamo fatto in questo 2017 dimostra che è possibile arrivare a questo obiettivo, e saremo esigenti con l'Europa per arrivarci.

Infine, colleghi, l'ultimo punto, e forse un punto di rilievo notevole della discussione che avremo al vertice del Consiglio europeo, sarà l'inizio di una discussione la cui fine è prevista al momento per giugno 2018, anche se non sono così sicuro che questa scadenza verrà mantenuta, perché ci sono molte spinte a prendere tempo legate a tanti fattori che ben conoscete del contesto politico europeo: l'avvio della discussione sull'unione monetaria e sull'unione bancaria. È una discussione che cominceremo sulla base di un pacchetto di proposte avanzato dalla Commissione europea, che io considero, questo pacchetto, come una buona base di partenza: quando si dice in gergo diplomatico “una buona base di partenza” significa una buona base di partenza, cioè che i temi sono sul tappeto, c'è uno sforzo per mettere le questioni reali al centro della discussione, bisogna spostare il traguardo di questa discussione il più avanti possibile, sapendo che contemporaneamente ci sono diversi gruppi di Paesi che considerano la proposta della Commissione in modo opposto al nostro, e che quindi vorrebbero tirarla un po' più indietro rispetto a dove essa si è spinta. Per semplificare, ci sarà in questa occasione una discussione tra i Paesi dell'Europa mediterranea, meridionale da una parte e quelli dell'Europa centro-settentrionale dall'altra, che già si va in qualche modo delineando.

Perché dico che il terreno scelto dalla Commissione comunque è una buona base di partenza? Perché ci sono alcuni temi importanti che sono stati decisi e proposti all'attenzione del Consiglio europeo. Il primo è quello di istituire dei meccanismi di riserva comunitari capaci - si dice tecnicamente, di backstop - di reagire alle crisi bancarie e finanziarie; meccanismi di cui - come forse non è sfuggito all'attenzione della Camera - siamo stati carenti nell'ultimo anno, due anni. Ora l'Unione europea si pone il problema di completare l'unione bancaria con un meccanismo di backstop capace di intervenire di fronte a eventuali crisi bancarie o finanziarie di singoli in automatico: non è intergovernativo, è comunitario, nella proposta della Commissione, di fronte a crisi di questo genere. È un passo avanti!

Così come è un passo avanti l'idea, peraltro da sempre sostenuta dall'Italia, di un Ministro delle finanze europeo, anche se dobbiamo - e qui la discussione comincerà subito - intenderci su quale sia la missione del Ministro delle finanze europeo, quale sia il suo rapporto con il bilancio dell'Unione europea, quale sia il suo rapporto con il Parlamento o, comunque, con una legittimazione parlamentare e democratica. Per intenderci, un Ministro delle finanze europeo che non abbia alcun rapporto con il bilancio e le politiche fiscali, alcun rapporto con il Parlamento e la legittimazione democratica, finirebbe per essere un controller, mandato non si sa da chi a controllare i conti economici, in questo caso sapremmo abbastanza di chi, cioè dei Paesi del sud Europa, dell'Europa mediterranea, chiamateli come preferite. Questo tipo di Ministro delle finanze europeo, sinceramente, non ci interessa, ci interessa un Ministro delle finanze europeo che abbia un rapporto con un bilancio dotato anche di risorse proprie e capace di finanziare quello che il Governo italiano chiama l'insieme dei beni comuni europei da finanziare.

Noi abbiamo un grappolo di questioni fondamentali, che vanno finanziate a livello europeo gradualmente, con risorse autonome e proprie del bilancio europeo: autonome e proprie significa realizzate attraverso forme di transazione europea sull'energia, sulle grandi piattaforme informatiche o su altro. Finanziare i beni comuni europei: che significa politiche migratorie comuni, politiche di sicurezza comuni, politiche sociali comuni. La proposta italiana di un fondo per assorbire le crisi asimmetriche dal punto di vista occupazionale: il MEF lo ha definito un Rainy day fund, un fondo per le giornate piovose, diciamo un fondo ombrello, ognuno lo chiami come preferisce, comunque un fondo il cui obiettivo è di attivarsi nel momento in cui ci siano delle difficoltà sociali, occupazionali, asimmetriche, in diversi Paesi. Sarebbe un'innovazione straordinaria per l'Unione europea e per i cittadini europei sapere di poter contare su un ombrello comunitario di fronte a crisi sociali e occupazionali straordinarie.

Noi lavoreremo in questa direzione, i temi giusti sono stati messi sul tappeto, gli obiettivi sui quali l'Italia spingerà perché questi temi giusti si sviluppino sono quelli del lavoro, degli investimenti nei beni comuni, della convergenza tra le diverse economie europee. C'è uno straordinario bisogno di convergenza, non è più possibile l'idea che si consideri di intervenire di fronte agli squilibri macroeconomici soltanto nei casi di economia in deficit e mai nei casi di economie in surplus. È un errore, è un errore anche per le economie che realizzano dei surplus fortissimi, perché quei surplus - che sono uno squilibrio macroeconomico rilevante per le regole europee attuali, anche se nessuno li prende mai in considerazione - potrebbero essere trasformati in investimenti fondamentali per l'insieme dell'economia europea, ma anche per quei Paesi del centro e del nord Europa, che ne trarrebbero beneficio in termini di ammodernamento di infrastrutture e di progresso dei loro Paesi. Quindi, abbiamo l'obiettivo della convergenza come obiettivo fondamentale da mettere sul tavolo di questa discussione.

Il punto, in conclusione, colleghe e colleghi, è in che direzione e con che obiettivo noi vogliamo utilizzare la condizione relativamente favorevole nella quale ci troviamo. L'eurozona si trova per la prima volta da molti anni in una condizione di crescita diffusa e stabile in tutti i Paesi dell'eurozona: in Italia anche, certamente, anzi, ieri l'OCSE ha certificato che siamo, assieme alla Germania, il Paese che cresce più velocemente oggi in Europa.

Quando dico cresce più velocemente, per evitare equivoci, non sto dicendo che cresce più degli altri, perché sappiamo che siamo ancora sotto la media europea in termini di crescita nel nostro Paese e abbiamo molta strada da fare, dico che l'OCSE sostiene che il ritmo di crescita è, in Italia e in Germania, più veloce che negli altri Paesi europei e questa è una grande opportunità. L'Europa come vuole utilizzare questa opportunità di una crescita stabile e diffusa in tutti i Paesi? Restando ferma? Limitandosi a salvaguardare regole ed equilibri costruiti nel corso degli ultimi dieci anni? Timorosa di qualsiasi passo avanti nella direzione della crescita e dello sviluppo? Se questa fosse l'impostazione europea, penso che sarebbe una rinuncia gravissima di cui potremmo pagare il prezzo in termini addirittura storici nei prossimi decenni.

Perché un'occasione come questa, in cui la crescita è così diffusa e così stabile nei diversi Paesi europei, se vogliamo tradurre questi numeri in benefici sociali per le famiglie, per le nostre comunità, in riduzione della povertà, in miglioramento delle nostre infrastrutture, ha bisogno di politiche espansive, di convergenza, di politiche fiscali comuni, di investimenti sui beni pubblici comuni. Questa sarà la linea dell'Italia e mi auguro che, con il sostegno del Parlamento, l'impegno dell'Italia aiuti l'intera Europa a non perdere un'occasione straordinaria che abbiamo aperta davanti