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Grazie, Presidente. Ci troviamo oggi a preparare il Consiglio europeo in un clima che è tra i peggiori degli ultimi vent'anni: due guerre alle porte, decine di migliaia di morti, ospedali sommersi da feriti, città e infrastrutture distrutte, popolazioni disperate e costrette a spostarsi da una parte all'altra, confini violati, abusi, stupri e violenze di ogni tipo.
Accade alle porte orientali dell'Europa, accade sulla sponda opposta del nostro mare. Per questo ci saremmo aspettati un discorso della Presidente del Consiglio volto a rivendicare il ruolo dell'Europa, come continente prima di tutto di convivenza e costruttore di pace. Invece, abbiamo ascoltato parole di rancore e di odio volte a individuare e a dividere piuttosto che a unire. La solita retorica risentita e minacciosa, ancora una volta alla ricerca di nemici: le ONG che salvano vite umane, l'Agenzia dell'ONU che si occupa dei rifugiati, i migranti che vagano nel Mediterraneo. Non è questo il ruolo di una Presidente del Consiglio, non è questo lo spirito con cui noi crediamo si debba affrontare un Consiglio europeo, proprio in ore angoscianti, mentre sotto tiro sono le forze ONU, quella missione UNIFIL di cui l'Italia è un pilastro, con i nostri soldati attaccati e nelle condizioni di non potere svolgere quella missione per cui sono stati chiamati nel 2006, bloccati da una violenza simbolica anche perché inaspettata.
Per questo il Consiglio europeo avrebbe forse dovuto avere un unico punto all'ordine del giorno: far tornare l'Europa protagonista della politica internazionale. Invece, siamo in una situazione di stallo, dettata dalla transizione tra una Commissione e l'altra, da un ritorno del protagonismo dei singoli Paesi e da una politica di piccolo cabotaggio per favorire ora quella Nazione ora l'altra, che allontana drammaticamente la prospettiva di costruire un'Europa integrata, in grado di affacciarsi sui grandi scenari in modo forte e convincente.
I primi segnali che vengono dalla nuova governance lasciano vuoti, sottovalutazioni e omissioni davvero preoccupanti, proprio quando, invece, servirebbe mettere in campo un rinnovato e più incisivo impegno diplomatico e politico dell'Unione, in collaborazione con gli alleati, per promuovere tutte le iniziative utili al perseguimento di una pace giusta e sicura. Siamo di fronte al rischio di una saldatura dei conflitti in corso che potrebbe portarci a scenari inimmaginabili, di gravità non più gestibile e con il coinvolgimento di altri attori globali.
Per questo è il tempo di assumere posizioni nette. Parliamo della condanna verso il Governo israeliano. Per la prima volta viene attaccata la bandiera delle Nazioni Unite in un contesto di continua delegittimazione del ruolo, della presenza e dell'iniziativa delle istituzioni multilaterali, come è stato a Gaza per l'Agenzia dell'ONU che si occupa dei profughi palestinesi, per le parole gravissime pronunciate verso il Segretario delle Nazioni Unite ma anche in Ucraina. È un punto inaccettabile. Vanno condannati, senza esitazione, i crimini commessi a Gaza: 42.000 morti, di cui un terzo bambini; va condannata l'annessione non autorizzata della Cisgiordania; va detto, senza esitazione, che Netanyahu deve fermarsi in Libano, come a Gaza, dove nessuna ritorsione trova senso nel dare alle fiamme le tende di un ospedale.
Perché finora sono stati inascoltati, ribadiamo la richiesta di un cessate il fuoco e anche che il Governo italiano si faccia promotore, in sede europea, di un sostegno convinto agli appelli per un embargo sulle armi a Israele e subito per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Dobbiamo farlo perché non abbiamo avuto esitazione nella condanna di Hamas del 7 ottobre, un attacco vigliacco e atroce con i suoi 1.200 morti e 200 ostaggi. Nessuna esitazione nel condannare gli attacchi di Hezbollah su Israele e nel chiedere il rispetto della risoluzione n. 1701, che prevede la consegna degli armamenti a UNIFIL, e nemmeno nel condannare ogni forma di antisemitismo che rischia di riportarci a una pagina mostruosa della storia che noi abbiamo combattuto sempre dalla parte giusta. Va fermato il coinvolgimento dell'Iran che, colpendo per rappresaglia Israele, ha prolungato ed esteso l'escalation brutale che da settimane travolge quella regione.
Solo se l'Europa sarà in grado di fare la sua parte in Medio Oriente sarà più forte anche nel sostegno dell'Ucraina, un sostegno economico e militare volto alla sua autodifesa. Il diritto dell'Ucraina a vivere libera e indipendente rimane per noi un prerequisito che non può essere messo in discussione neanche da variabili strategiche. Questo sia chiaro al Governo e sia chiaro a lei, Presidente, lì dove le toccherà la sintesi con posizioni meno adamantine che ci sono nella sua maggioranza. Infatti, esistono nel Governo forze che continuano ad avere simpatie russe e in Europa siedono nei banchi di forze dichiaratamente filo-putiniane.
Noi dobbiamo pretendere che dall'Europa si mettano in campo tutte le iniziative volte al perseguimento di una pace giusta e sicura, anche favorendo le basi per lo svolgimento del secondo vertice per la pace, fare pressione attivamente sull'Ungheria, revocare i propri veti e consentire lo sblocco dello strumento europeo per la pace, compreso il nuovo Fondo di assistenza per l'Ucraina. Presidente, alzi il telefono e chiami il suo amico Orbán: serve anche a questo il suo ruolo di Presidente del G7, oltre che di Presidente del Consiglio del nostro Paese.
Un'Europa forte può agire anche nei conflitti che ci paiono più lontani, come in Sudan, dove ormai da 18 mesi si combatte una guerra civile che ha causato più di 20.000 vittime e ha costretto 10 milioni di sudanesi a fuggire. Anche in questo caso è necessario che l'Europa faccia pressioni per riavviare il dialogo tra le parti, fermare il conflitto e ripristinare le istituzioni democratiche, che supportino le legittime aspirazioni del popolo sudanese. Tra le ricadute dei conflitti - c'è anche questo - non possiamo dimenticare le migrazioni: noi ribadiamo, anche in questa occasione, la contrarietà alla esternalizzazione dei confini, soprattutto alla luce degli scenari nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Come fate a non vedere che non esistono più condizioni di sicurezza per i migranti, come accade in Tunisia? La Tunisia va tolta dalla lista dei Paesi di origine sicuri, perché bisogna guardare in faccia a quello che accade, alla violazione sistematica dei diritti umani. Finora abbiamo assistito a un approccio sbagliato, altro che modello per l'Europa. Sono risposte miopi, insufficienti e costose, come nel caso dei centri per i migranti in Albania - di cui vi chiederemo conto -, dove si consuma una grave violazione dei diritti umani, soprattutto a seguito della recente sentenza della Corte europea sui rimpatri. Ecco, mentre ancora nella nebbia restano le procedure per la realizzazione di quei centri: 60 milioni che ci risulta essere già impegnati in maniera opaca dal Ministero della Difesa; 800 milioni complessivi. Uno spreco inaccettabile di soldi pubblici, mentre con quelle risorse vedremo cosa farete, dovreste impiegarle per abbattere le liste d'attesa nella sanità per 4.500.000 di italiani che rinunciano a curarsi.
Siamo a una svolta per l'Europa, questa svolta sarà possibile solo dalla spinta del protagonismo dell'Italia. Noi chiediamo al Governo di riprendere le fila della lunga tradizione diplomatica e di fare sentire la sua voce, perché la forza da sola non basta mai a garantire sicurezza. Occorre, in questo momento più che mai, ragione e politica ed è quello che oggi noi le chiediamo e pretendiamo che il Governo italiano eserciti in Europa e in tutti i contesti internazionali.