Mi rivolgo, Presidente, a lei e all'Aula con il rispetto che nutro, io e tutto il Partito Democratico, per quest'Aula, e con la coscienza di chi è forte dei propri principi non rinunciabili; e aggiungo anche con la coscienza di chi sa di avere perso il 4 marzo, e che dunque sa di doversi interrogare sui propri limiti. Ma il rispetto non è debolezza…
Questo, colleghi, non è un talent show, è la Camera dei deputati della Repubblica italiana. Ma interrogarsi, Presidente, non vuol dire smettere di essere forti dei propri principi, e perdere non vuol dire smettere di lottare. Chi è forte non ha paura di essere rispettoso; è chi è in difficoltà, come abbiamo visto qui, che usa la forza dell'arroganza. Mi permetto di rivolgermi anche, oggi, ai colleghi di minoranza. Come ha detto qui il presidente del gruppo del Partito Democratico Delrio, noi non intendiamo dare lezioni a nessuno dei nostri colleghi dell'opposizione, fate opposizione come meglio credete, ognuno ha anche le sue dinamiche interne; ma neanche accettiamo di ricevere ogni giorno una lezione su come si stia al mondo, perché, se siamo tutti minoranze, evidentemente abbiamo tutti qualcosa su cui riflettere.
E mi rivolgo poi, per il suo tramite, ai colleghi di maggioranza, e in particolare ai neo eletti, con una domanda semplice per voi: ma voi avete avuto un ruolo in questo testo che stiamo per votare? Riflettete, non per dare ragione a me o a noi; lo dico perché voi pensiate alla funzione che avete in questa Camera. Avete fatto altro per questo testo che non schiacciare un bottone? Sa cosa mi ha colpito del momento in cui lei ha annunciato la seduta fiume, signor Presidente? Mi ha molto colpito l'applauso della maggioranza. Quando il 24 luglio del 2013, precedente che lei ha citato, qui fu annunciata la seduta fiume, a nessuno della maggioranza venne in mente di battere le mani. Se posso permettermi umilmente di dare un consiglio, voi non dovete gioire quando qui dentro si tagliano gli interventi dei vostri avversari politici: oggi capita a noi, domani può capitare a voi, oppure può capitare anche di peggio, come capita già oggi in Ungheria, in Turchia o in Russia, Paesi che voi così tanto amate.
Riflettete, colleghi. Non ve lo dico io, è questa la questione politica sottesa alle procedure che sono state utilizzate: non solo la censura preventiva sul pensiero delle opposizioni, ma anche su quello delle maggioranze. Userò parole che ho già usato nella nottata, ma lei non c'era, mi fa piacere ripeterle. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi, vorrei iniziare con una premessa, ricordando a lei e all'Aula il significato di decreto-legge, cioè un provvedimento provvisorio con forza di legge, adottato dal Governo in caso di urgente necessità, la cui efficacia viene meno se non è convertito in legge dal Parlamento. Come ribadito più e più volte da questo gruppo, in questo modo il Parlamento viene privato della sua funzione legislativa, delegando ad un organo formato da poche persone di opposta provenienza politica il potere di legiferare; ma la beffa più grande, Presidente, è che non è neppure rappresentativo della scelta dei rispettivi elettori, visto che in campagna elettorale i due partiti che formano questo Governo dichiaravano che mai si sarebbero alleati gli uni con gli altri, sulla sua parola d'onore Matteo Salvini a Repubblica TV e sulla sua parola d'onore Luigi Di Maio a Porta a Porta.
E questa, a parer mio, è una presa in giro nei confronti dei cittadini italiani e degli elettori che vi hanno votato, visto che, da quando è nato questo Governo, il Governo non ha fatto altro che usare il Parlamento come un organo secondario, atto solo a votare decreti-legge proposti dallo stesso Governo. E il nome del Parlamento dovrebbe farci riflettere, perché riferito all'azione del parlare, perché in questo luogo si promuove, si discute e si dibatte, per giungere a decisioni politiche, e non un luogo dove si spinge un tasto per far passare leggi proposte unicamente dal Governo.
Per completare, uso parole non mie, ma di Benito Mussolini: i regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali di tanto in tanto si dà al popolo l'illusione di essere sovrano. Il nostro gruppo non permetterà mai che questa frase possa attuarsi, e per questo lotterà con tutte le forze perché i cittadini non siano illusi, ma diventino loro i sovrani. Presidente, non sono parole mie, queste; sono parole del deputato del MoVimento 5 Stelle Paolo Bernini, che le pronunziò nella serata del 24 luglio del 2013, quando la maggioranza annunciò la seduta fiume. Voi siete entrati in questo Parlamento facendovi paladini della democrazia, dicendo che qui c'erano gli usurpatori della democrazia; ci avete spiegato che cosa non si deve fare e dopo cinque minuti che siete al Governo voi lo fate, calpestando i diritti della minoranza, impedendo il confronto, diventando manichini dei vostri Governi, ritrovandovi qui solo a schiacciare un bottone.
E la questione dello scontro tra noi, dunque, in quest'Aula, è politica, è il cuore della politica. Far decidere a pochi, sterilizzare il Parlamento, impedire l'opposizione nei suoi diritti è una visione politica, è la cifra che voi state utilizzando per difendervi dalle contraddizioni, dalle divisioni, dai rischi di spaccatura.
Godetevi i sondaggi favorevoli di questi mesi perché il tempo, poi, è sovrano, le cose possono cambiare, arriva il momento in cui finiscono i comizi e si deve governare.
Ma voi avete una linea di pensiero, a voi serve creare nemici ogni giorno: gli immigrati, l'Europa, i giudici, i giornali, ora persino l'ONU. Avete bisogno di nemici perché i nemici rinforzano le proprie truppe, indicano la strada, nascondono i problemi e l'incertezza. Ve lo dico per esperienza: essere solo “anti”, “contro”, “no qualcosa” non porta alla fine il successo.
Noi siamo “per”, voi siete “contro”. Eravate contro il Jobs Act e avete fatto il decreto “Di Maio” che crea oltre 1.300 posti di lavoro persi al giorno; eravate contro la decisione sull'Ilva e l'avete ripetuta come una fotocopia; eravate contro le scelte fatte per il tribunale di Bari e avete sbagliato tutto; siete contro la scienza per i vaccini, siete contro i cittadini delle terre terremotate, siete contro i progetti di riqualificazione delle nostre periferie.
Noi siamo “per”. Noi siamo “per”, signor Presidente. Per essere per la scienza, per le famiglie, per il sistema scolastico, per le periferie, per i terremotati, per la giustizia e siamo stati in queste ore per il Paese e per le istituzioni in quest'Aula. E lo faremo tutti insieme in piazza a Roma, in Piazza del Popolo il 30 settembre. Saremo lì per chi non ha paura e per chi non investe sulla paura, per chi non sfrutta la paura, ma per chi vuole trovare ragioni per il futuro e non solo nemici.
Si può perdere, come è capitato a noi, e si può vincere; ma quando poi si semina solo guerra, odio e nemici, la guerra torna indietro. Quando chiunque è un nemico e ogni confronto è una battaglia, quando i nemici sono in particolare le autorità di controllo, quando nemico è Draghi, quando nemico è il presidente della Consob, quando nemici sono i Paesi europei confinanti, come la Francia o il Ministro del Lussemburgo, e quando gli amici sono Orbán, Putin, Bannon e Trump, allora noi sappiamo dove voi volete portarci; lo sappiamo e ce ne rendiamo conto.
Noi preferiamo aumentare gli amici, allargare l'orizzonte di questo Paese e dell'Europa. Noi vogliamo costruire il futuro, voi volete riportarci indietro.
E concludo su una cosa che ha già citato Ettore Rosato poc'anzi. Ci sono stati, Presidente, in queste ore, alcuni interventi di miei colleghi – e mi permetta di ringraziare tutti i colleghi del Partito Democratico per la fedeltà a questa istituzione che hanno dimostrato in queste ore - ci sono stati interventi che ci hanno toccato il cuore perché hanno raccontato storie vere e personali. E quando la politica riesce a toccare il cuore, quando qui dentro noi, fuori dalle liturgie, come democratici, ci accorgiamo di toccare il cuore e di raccontare la vera vita vissuta, vuol dire che noi siamo di nuovo sulla buona strada. Tenetevi i nemici, noi ricominciamo a costruire il futuro.