A.C.1637-A
Grazie, signora Presidente, sottosegretario, colleghe e colleghi, quasi 6 milioni di cittadini italiani iscritti all'AIRE, che è l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, e altre centinaia di migliaia di nostri connazionali, che anche se non iscritti hanno dimora e domicilio all'estero, dove vivono e lavorano spesso con le loro famiglie, meriterebbero una maggiore attenzione e sensibilità da parte dello Stato italiano, delle sue istituzioni, dei Governi, che troppo spesso si dimenticano della loro esistenza, dei loro problemi e quindi delle loro esigenze e dei loro diritti. Non mi soffermo sull'importanza che questa presenza così rilevante di cittadini italiani nel mondo rappresenta per il nostro Paese: ce lo ripetiamo sempre con grande retorica, ma ce lo dimentichiamo altrettanto rapidamente, proprio quando dovremmo tutelare i loro diritti. Esempio emblematico di questa dimenticanza è proprio il decreto su reddito e pensione di cittadinanza. Sono state introdotte misure - così si spera - importanti in materia di welfare, assistenza e previdenza, con l'impiego di ingenti risorse per aiutare teoricamente le persone, i cittadini italiani, ma non solo, che vivono difficoltà economiche ed esistenziali. Eppure è mancata la sensibilità di capire che alcune di queste misure avrebbero potuto sostenere e tutelare anche i nostri connazionali emigrati, soprattutto i giovani che, per vari motivi, hanno deciso di andarsene all'estero. Invece i provvedimenti adottati escludono implicitamente e ingiustamente i nostri emigrati. È irragionevole, per esempio, applicare il vincolo dei due anni di residenza continuativa al momento della presentazione della domanda anche ai nostri giovani e meno giovani lavoratori andati all'estero per trovare la fortuna e il lavoro che non hanno trovato in Italia. Infatti, questi nostri connazionali, se dovessero decidere di rientrare in Italia dopo uno sfortunato tentativo di ricerca di lavoro all'estero, o comunque dopo un'esperienza negativa all'estero - e ci sono - non potrebbero usufruire del reddito di cittadinanza, pur avendone diritto, perché prive di reddito, solo perché non fanno valere i due anni di residenza in Italia, avendo vissuto gli ultimi anni all'estero. Abbiamo cercato di correggere questa evidente iniquità nei loro confronti, con i nostri emendamenti, ma Governo e Parlamento non hanno recepito il valore giuridico e solidale della nostra rivendicazione. Lo stesso dicasi degli anziani emigrati soprattutto in Paesi dell'America Latina, i quali, rientrando in Italia per motivi economici e umanitari - basti pensare al Venezuela - volessero richiedere la pensione di cittadinanza; anch'essi non potranno far valere i due anni continuativi di residenza in Italia al momento della domanda.
Insomma, una restrizione concepita da questo Governo per escludere i lavoratori immigrati da Paesi terzi dalla possibilità di richiedere il reddito e la pensione di cittadinanza, che già di per sé è una cosa molto grave e discriminatoria, si ritorce invece proprio sui nostri giovani e anziani emigrati italiani.
Questa smemoratezza dell'esistenza degli italiani all'estero e dei loro diritti si è manifestata anche nella predisposizione della norma “quota 100”, che praticamente non potrà essere fruita anche dai futuri titolari di pensione in regime internazionale, i quali non potranno cessare il lavoro, come richiesto dalla norma, per il semplice fatto che il misero pro rata italiano non consentirebbe loro di sopravvivere. Sarebbe stato più logico e giusto prevedere l'esclusione dei richiedenti “quota 100” in regime di convenzione dal vincolo della cessazione del rapporto di lavoro.
Infine, avevamo chiesto con i nostri emendamenti l'aumento dell'importo minimale delle pensioni in convenzione, che attualmente è di circa 12 euro mensili, una vera miseria, per ogni anno di contribuzione versata in Italia (vedesi legge n. 335 del 1995): anche questa richiesta, per aiutare i nostri pensionati poveri che vivono all'estero, è stata respinta. Direi allora che la collega Nesci ha ragione quando dice che i nostri connazionali all'estero non torneranno più in Italia, visto che lo Stato ha deciso di non prendersi cura di loro e di non tendere la mano a coloro che desiderano tornare in Italia perché sono in difficoltà.
Vede, sottosegretario Cominardi, lei dice che grazie a questo provvedimento - si riferiva a “quota 100”- anche molti giovani emigrati all'estero avranno la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro; peccato davvero, perché questo è esattamente quello che ci saremmo augurati. Vorrei ribadire che i giovani che sono all'estero potrebbero essere indotti a tornare in Italia non per la misura assistenziale del reddito di cittadinanza, ma piuttosto per il fatto che l'iscrizione all'elenco degli aventi diritto apre le porte anche al percorso di immissione o reimmissione al lavoro e, quindi, significherebbe aprire per loro prospettive di futuro nel nostro Paese; questo significa concretamente prendersi cura delle persone, soprattutto dei tanti che per necessità e per dignità sono andati all'estero. Non smetteremo quindi di denunciare la scarsa sensibilità dimostrata finora da questo Esecutivo nei confronti del mondo dell'immigrazione e continueremo a sollecitare uno spirito di collaborazione, con l'obiettivo prioritario di ripristinare equità e diritti dei nostri connazionali, troppo spesso dimenticati da questo Governo, che evidentemente li considera cittadini di “serie B”.