Discussione generale
Data: 
Lunedì, 25 Novembre, 2019
Nome: 
Patrizia Prestipino

A.C. 2222

Presidente, “Il reciproco amore tra chi apprende e chi insegna è il primo e più importante gradino verso la conoscenza”: in queste parole Erasmo da Rotterdam aveva già condensato quello che è il ruolo che la scuola ricopre nella formazione delle future generazioni, ed era il Cinquecento. Perché la scuola, colleghi, non è solo il luogo dell'aggregazione sociale per eccellenza, ma è anche quello in cui gli individui crescono, sviluppano la propria personalità, maturano; è il luogo in cui si diventa persone e cittadini consapevoli e si fronteggiano le prime responsabilità, tutte, quelle soggettive e quelle oggettive, in cui si scoprono le proprie potenzialità, ma anche e soprattutto le tante fragilità emotive e psicologiche, e magari lì nella scuola si prova anche a vincerle, a sanarle, queste fragilità.

L'unica rete di protezione sociale che ancora resiste in questa nostra società: è infatti nel contesto scolastico che l'alunno crea la propria identità e il docente finisce inevitabilmente per costituirne il principale punto di riferimento. Perché è questa figura che contribuisce alla formazione dei ragazzi, sollecita la loro curiosità verso il mondo, cerca di rispondere a tutti gli interrogativi che gli vengono posti.

Una scuola che troppo spesso oggi è chiamata a rispondere anche a cose a cui non dovrebbe rispondere, a colmare i vuoti lasciati dalle famiglie. Già, la scuola che non deve quindi più solo istruire, ma anche educare: educare non nel senso ottocentesco di foggiare o di forgiare, ma nell'accezione latina di ex ducere, tirare fuori dallo studente ciò che di più prezioso ha dentro, di più proprio, di più autentico, di unico. È questa la vera sfida di noi docenti: aprire gli orizzonti degli studenti attraverso l'informazione, offrendo la conoscenza come una ricchezza per la vita. È la conoscenza che permette all'uomo di comprendere, interagire con la realtà, di comunicare e confrontarsi, di avere autostima e indipendenza.

Ma la scuola non va circoscritta solo alla dimensione intellettuale: deve tenere conto che lì, proprio in quel luogo, al suo interno, si formerà l'alunno nella sua dimensione affettiva, emotiva, sociale, morale e anche religiosa. È così che la scuola prepara alla vita, fornisce agli studenti gli strumenti per divenire cittadini del mondo e per conquistare una propria libertà intellettuale e personale.

Perché dico queste cose? Perché solo se si concepisce il mondo scolastico in questa sua interezza, con tutte le sfaccettature e le sue molteplici esigenze, ma anche le sue innumerevoli problematiche, si può comprendere il ruolo che hanno davvero gli insegnanti, che oggi sono spesso chiamati anche ad affrontare temi che fuoriescono dal loro personale ambito di competenza: pensiamo ai temi civici, ambientali, alimentari, sentimentali, di genere. Agli insegnanti si chiede tutto e di più. La scuola, colleghi, è questa: è una sfida quotidiana dura, complessa, che a volte si fa improba di fronte ai tanti drammi sociali, la povertà, il bullismo, l'emarginazione, l'omofobia, il razzismo; ma dove alla fine le differenze e gli errori non sono mai considerati un problema, ma una ricchezza e un'opportunità di crescita.

Ecco perché per tutto questo la scuola ha bisogno di stabilità. Gli alunni e i docenti necessitano di continuità e di stabilità nel reciproco rapporto, come diceva Erasmo da Rotterdam. Ed è questo il motivo principale per cui il Governo è intervenuto con questo decreto: superare le criticità relative alla carenza e all'instabilità del personale scolastico di ruolo nelle scuole statali, forse quello che il collega Mollicone - lo dico con affetto - ha dimenticato quando si perde nei suoi rilievi formali ma poi perde di vista quello che è l'obiettivo principale che il legislatore si deve porre, ossia dare stabilità a un mondo precario che la precarietà non se la può permettere, cioè la scuola.

Tale situazione aveva, infatti, comportato per le scuole statali la necessità di coprire parte del fabbisogno facendo ricorso a contratti a tempo determinato con docenti non abilitati. In questo modo, si è penalizzata la qualità dell'insegnamento e, al contempo, per le scuole paritarie è diventato impossibile rispettare l'obbligo di utilizzare esclusivamente docenti abilitati al fine di ottenere e mantenere il requisito della parità scolastica.

Con questo decreto, invece, si mira all'immissione in ruolo di personale docente nelle scuole statali secondarie di primo e secondo grado tramite graduatorie distinte per regioni e classi di concorso nonché per il sostegno, per ridurre il rischio che nei futuri anni scolastici possano rimanere scoperti posti disponibili. Si vuole, quindi, assicurare stabilità all'insegnamento, porre rimedio alla grave carenza di personale di ruolo nelle scuole statali, ridurre il ricorso a contratti a termine e arginare il fenomeno di precariato per quell'enorme - purtroppo enorme - numero di docenti che si sono - sì - formati e specializzati, ma che continuano a vivere in constante clima di insicurezza personale e sociale.

In Italia c'è - sì - una lieve diminuzione del tasso di disoccupazione, ma non si può dire lo stesso per i precari della scuola, con le loro prospettive di vita sempre più incerte. Consideriamo un po' di numeri: alla fine dello scorso anno scolastico sono andati in pensione 42 mila docenti, 9 mila dei quali per effetto di “quota 100”; all'inizio di quest'anno le cattedre libere nella scuola secondaria erano circa 50 mila, e gran parte sono state occupate da supplenze, in quanto le assunzioni previste non sono state sufficienti per compensare le carenze. Secondo i calcoli dei sindacati, su circa 844 mila docenti, almeno 170 mila sono supplenti, di cui 63 mila solo per il sostegno. Insomma, un precario su cinque.

Nemmeno le graduatorie d'istituto sono state risolutive e spesso i presidi sono ricorsi alla messa a disposizione con una seguente segmentazione della didattica: supplenze di qualche mese, addirittura di poche settimane, cattedre in cui si susseguono docenti con approcci e metodi didattici diversi, e quindi programmi che non progrediscono, anzi si fermano, con le lamentele quindi della comunità, dei genitori, eccetera eccetera.

La mancanza di concorsi ordinari negli anni scorsi ha determinato l'allungarsi delle graduatorie: nuovi precari che si aggiungono alle liste esistenti senza che i vecchi siano stati stabilizzati tramite un concorso ordinario.

Oggi, nonostante le cattedre vacanti, ci troviamo di fronte a una folta schiera di supplenti e di precari a cui è preclusa la possibilità di fare piani a lunga scadenza, sia in ambito scolastico-educativo sia nella sfera personale. E stiamo parlando non di normali professionisti, ma dei responsabili della formazione delle nuove generazioni.

Alcuni dati possono aiutarci a comprendere meglio l'urgenza di questo provvedimento: nell'anno scolastico 2019-2020 risultano circa 8 mila docenti iscritti nelle GAE della scuola secondaria, di cui molti concentrati in un numero relativamente ridotto di province e/o iscritti per classi di concorso, caratterizzate però da scarse facoltà assunzionali; nelle graduatorie del concorso ordinario del 2016 e del concorso straordinario del 2018 sono iscritti, rispettivamente, 2.043 e 5.880 soggetti; per la scuola secondaria, nel biennio 2020-2021 e 2021-2022 sono previste facoltà assunzionali complessive per 48 mila docenti, al netto di quelle che saranno utilizzate per lo scorrimento delle GAE, circa 8 mila, e delle graduatorie dei concorsi 2016 (2.043 unità) e 2018 (5.881 unità).

Vengono quindi destinati al concorso straordinario 24 mila posti, la metà di quelli complessivamente disponibili. Non è immaginabile che, in un tale contesto, la scuola italiana possa mantenere uno standard qualitativo elevato, come è complicato per un docente in queste condizioni essere un interlocutore di rilievo.

È proprio in questa situazione di emergenza strutturale dell'occupazione del settore scolastico che è stato concepito questo concorso straordinario per 24 mila posti, insegnanti di sostegno inclusi, tramite una procedura bandita a livello nazionale e organizzata su base regionale.

È, quindi, prevista l'abilitazione per personale docente della scuola secondaria e paritaria con esperienza di servizio almeno di 36 mesi (tre anni), coloro che hanno maturato un'esperienza professionale nel sistema di istruzione e formazione professionale di competenza regionale (IeFP), i cosiddetti docenti ingabbiati. Inoltre, è disposta la stabilizzazione del personale docente precario della scuola secondaria statale con un'anzianità di servizio pari a 36 mesi. In aggiunta, le graduatorie d'istituto diventeranno graduatorie provinciali, al fine di facilitare le supplenze per i posti rimasti liberi al termine dell'immissione in ruolo del prossimo anno.

Le graduatorie di terza fascia (supplenti precari non abilitati, precari storici) saranno riaperte con proroga fino all'anno 2022-2023, per evitare il ricorso eccessivo alle domande cosiddette di messa a disposizione, come invece è avvenuto nell'anno corrente. È stata poi approvata la call veloce per colmare i posti che restano vuoti ogni anno e che di solito vanno a supplenza. Vi è la possibilità di spostarsi in una regione diversa nella quale siano rimasti posti vacanti, così da permettere l'ottimizzazione delle assunzioni e lo svuotamento delle graduatorie.

Infine, per i diplomati magistrali è stata stabilita la trasformazione del contratto di lavoro in contratto a tempo determinato in caso di sentenza sfavorevole, al fine di garantire la continuità didattica. Le parole chiave di questo decreto continuano ad essere “continuità e stabilità”, che sono le parole chiave di risoluzione ai problemi del precariato della scuola.

Infine, un nuovo concorso ordinario per gli insegnanti di religione cattolica è stato autorizzato entro l'anno 2020.

 

Da docente so che c'è ancora tanto da fare per la scuola, e che, per quanto si faccia, non sarà mai abbastanza per la nostra comunità scolastica, ma questo decreto è già un primo e importante passo per rendere più efficiente il sistema scolastico: dare agli studenti la formazione di cui necessitano e riconoscere agli insegnanti il ruolo e la giusta importanza che meritano. Ce lo ha suggerito la ragione, ce lo ha imposto la nostra coscienza di legislatori.