Discussione generale
Data: 
Martedì, 12 Luglio, 2022
Nome: 
Andrea Orfini

A.C. 3625​ e abbinate

Grazie Presidente, quello che discutiamo oggi è un provvedimento importante, frutto di un lavoro lungo, faticoso per certi versi, che è arrivato al termine anche grazie a un rapporto virtuoso tra il Governo e il Parlamento fatto di momenti più semplici, altri difficili, ma di un dialogo costante per il quale voglio ringraziare il Governo che ha portato a un risultato importante. È un provvedimento che ha dentro tante cose, ma il cui cuore è la costruzione di un sistema innovativo di tutele per le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo dal vivo. Un sistema innovativo che ha il merito di affermare un principio che dovrebbe essere scontato, ma purtroppo, nel nostro Paese, non lo è stato, ossia che chi fa cultura è prima di tutto un lavoratore. Detta così sembra banale, ma, per le norme e la mancanza di tutele e di diritti in cui hanno vissuto per decenni queste lavoratrici e questi lavoratori, in Italia così non era. Con questo provvedimento noi in qualche modo riconnettiamo idealmente i tanti articoli della nostra Costituzione che parlano della centralità del lavoro, a cominciare dall'articolo 1, come anche l'articolo 9 della nostra Costituzione, affermando un principio semplice: per promuovere la cultura bisogna prima di tutto tutelare le lavoratrici e i lavoratori che in questo settore orbitano. Quello della necessità di tutelare i diritti dei lavoratori è un principio valido sempre, ma - permettetemi di dire - lo è forse ancor di più in questo settore, perché un Paese dove la cultura è diffusa e forte, è un Paese migliore, un Paese in cui la democrazia è più forte. Ma, perché questo accada davvero, perché sia vero, c'è bisogno che la cultura sia libera. Se la cultura è precaria, se i diritti e le tutele dei lavoratori sono negati, quella libertà corre il rischio di diventare non una condizione riconosciuta a tutti, ma un lusso per pochi e, quindi, di mettere in discussione quel principio di cui parlavo. Oggi con questo provvedimento noi riconosciamo lo specifico di una professione, anzi tante professioni ormai molto particolari - ne hanno parlato nel dettaglio le relatrici e Gribaudo e Carbonaro, che ringrazio per il lavoro che hanno fatto - uno specifico che aveva bisogno di un sistema di tutela, disegnato su quelle specificità. Noi non potevamo - anche se ci è stato detto da alcuni - applicare ai lavoratori di questo settore le misure già esistenti e già previste come elementi di tutela dei lavoratori, perché siamo di fronte a qualcosa di differente. Noi cosa facciamo nella sostanza con questo provvedimento? Riconosciamo il fatto che quei lavoratori non stanno lavorando solo nel momento in cui c'è un evento o sono su un palco, ma che anche i momenti di studio, di creazione, di ideazione e di preparazione di quel momento sono da considerare lavoro e, quindi, in quanto tali, devono essere retribuiti e devono essere considerati anche ai fini del raggiungimento del trattamento pensionistico. Lo facciamo attraverso uno strumento innovativo, che abbiamo chiamato indennità di discontinuità. Ovviamente non è tutto risolto e, nel momento in cui rivendichiamo un provvedimento importante, dobbiamo riconoscerlo, perché questa è una legge delega.

Si è scelto - giustamente a mio avviso - questo strumento, che si è sovrapposto a un lavoro parlamentare che era già iniziato, anche per garantire che si potesse arrivare al termine di questo lavoro. Però, molto dipenderà da come il Governo redigerà i decreti attuativi di questa legge delega: quello sarà un momento importante. Esattamente come un momento importante sarà la prossima legge di bilancio, in cui noi dovremo garantire risorse necessarie per far sì che quello che abbiamo scritto in questa norma abbia davvero un effetto sulla vita di tante centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori. Io credo sia importante che non si interrompa un metodo, che è stato quello dell'incontro, del confronto e del dialogo che ha portato a questo risultato, perché, se siamo arrivati fin qui, è anche - anzi, direi forse soprattutto - per quel metodo, anche perché veniamo da anni atroci per questo settore. Ormai sono quasi tre anni, sono stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire.

Come è stato ricordato anche oggi, appena c'è un problema, vengono stigmatizzati ingiustamente come un pericolo. I lavoratori e le lavoratrici di questo settore sono stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire. Io ricordo le primissime riunioni durante il primo lockdown, ovviamente on-line, quando ancora non eravamo nemmeno abituati a quegli strumenti che oggi sono diventati usuali nella nostra attività politica. Ricordo incontri con rappresentanti di questi settori che ci chiedevano sostegno immediati per affrontare la crisi, ma non si limitavano a questo; ci chiedevano sostegni, ma anche riforme. Non era scontato, perché, nel momento della massima difficoltà, non si sono limitati alla richiesta di una soluzione emergenziale, ma hanno immaginato e chiesto alla politica di rifondare e ripensare l'intero sistema normativo che regge e regola questo settore.

Credo sia uno degli effetti più preziosi di questo percorso che abbiamo alle spalle, cioè una unità, un'unione tra lavoratrici e lavoratori, che non si sono limitati a fare una battaglia per i loro diritti, ma sono diventati protagonisti del processo legislativo, perché queste norme noi le abbiamo scritte insieme a loro, sono state scritte anche, se non soprattutto, da loro.

Oggi, nel momento in cui siamo chiamati ad approvarle, siamo convinti che siano e che saranno delle buone norme, anche perché sono state concordate e scritte insieme a coloro che ne subiranno gli effetti. A quelle lavoratrici e a quei lavoratori - ovviamente oltre a ringraziarli - voglio dire di non fermarsi, perché un settore che in questi anni era stato molto diviso, che aveva vissuto una rappresentanza molto parcellizzata, ha invece trovato una forte sintesi e ha saputo diventare un soggetto unitario, che si è relazionato nel modo giusto alla politica e ha ottenuto dei successi.

Se oggi noi siamo qui è grazie a quei lavoratori. Penso a quelle prime riunioni, con “La musica che gira”, con UNITA con i “Bauli in piazza” con le organizzazioni sindacali, con tutte quelle realtà che abbiamo conosciuto in questi momenti drammatici e che ci hanno aiutato ad arrivare fin qui. Oggi è un momento importante - lo dicevo all'inizio - per noi, perché mettiamo un punto a un lavoro di più di due anni e lo facciamo ottenendo un risultato positivo.

Nel momento in cui lo rivendichiamo, dobbiamo però essere anche consapevoli che in questi due anni qualcosa si è perso, anzi molto si è perso, perché tante di quelle lavoratrici e tanti di quei lavoratori hanno smesso di fare questo mestiere, perché la crisi ha portato anche a questo, al fatto che molti hanno smesso, che molti luoghi della cultura, piccoli teatri, live club e luoghi vari, dove si faceva cultura hanno chiuso e probabilmente non riusciranno a riaprire.

Questo non è un dramma solo per chi ha dovuto rinunciare al proprio progetto di vita, alla propria passione e al proprio lavoro, ma significa anche il rischio di desertificazione culturale per il nostro Paese: è un problema per noi, non solo per loro, è un problema per le istituzioni. Allora, queste riforme, che noi oggi discutiamo e che credo approveremo, in qualche modo spero aiutino anche a ritrovare la speranza a chi ha smesso di fare questo lavoro, magari a ricominciare a farlo in una condizione di maggiore certezza e sicurezza, con tutele e con più diritti. Spero che anche da questa occasione cresca la consapevolezza in tutti noi, nelle classi dirigenti del Paese, che la forza del nostro Paese, la capacità migliore di uscire dalla fine di questa pandemia, è anche legata alla capacità di riannodare quel filo spezzato in questi anni tra cultura e lavoro. Oggi facciamo un primo passo importante e, però, abbiamo il dovere di dire a quelle lavoratrici e a quei lavoratori che non ci fermeremo e che, insieme a loro, continueremo a cercare di dare a questo settore le riforme che merita