Discussione generale
Data: 
Martedì, 19 Ottobre, 2021
Nome: 
Serse Soverini

A.C. 1494-A

Grazie, Presidente. Io mi limiterò a commentare solamente le giuste motivazioni di un intervento su una legge, la Prodi-bis, dettate dalla particolare condizione in cui ci troviamo. Noi stiamo - anche nella discussione che ha preceduto questo giro di interventi in discussione generale - parlando di una serie di provvedimenti incrociati per quanto riguarda la crisi d'impresa, per quanto riguarda una situazione di crisi generale del contesto. Noi stiamo parlando, in questo momento, di provvedimenti che intervengono in una situazione di crisi sulla crisi, cioè della crisi epidemiologica, che si è innescata, si è anzi radicata su una crisi precedente, una crisi finanziaria che caratterizzava l'assetto del nostro sistema di impresa. Quindi, abbiamo necessità di arginare questo fenomeno, questo legame tra crisi pandemica e crisi strutturale, perché sappiamo che il livello di indebitamento del nostro sistema di servizi e di imprese è abbastanza alto, poi se saliamo nella scala dimensionale, è noto, è ancora più alto. Abbiamo bisogno, come dire, di rallentare i processi di crisi proprio per il fatto che dobbiamo definire alcuni passaggi, prima di definire la crisi d'impresa, che sono legati a un problema finanziario generale.

Io voglio dare alcuni dati per spiegarmi ancora meglio. I dati di Bankitalia certificano una situazione grave di aumento di shock aziendali, con 4 mila imprese fallite lo scorso anno, anche se non dichiarate perché si trattava di fallimenti coperti dalla moratoria anti COVID; 4 mila imprese che si andranno a sommare ad altri 3 mila fallimenti previsti sul 2021. Questa è la situazione attuale nella quale noi ci muoviamo. Vale la pena di soffermarsi sulla situazione in essere, perché, oltre ai suddetti numeri, in Italia, a riprova della debolezza finanziaria del nostro sistema di imprese, Assonime, l'associazione italiana di società di capitale, che richiama una ricerca di Cerved, individua nel nostro Paese uno stock di debito delle imprese arrivato a 90 miliardi in più rispetto a quello del 2019. Vi sono, quindi, 20 mila aziende italiane sane che si trovano ad affrontare una situazione paradossale di liquidità negativa: vuol dire che hanno dovuto registrare più uscite che entrate e che le uscite superano lo stock di liquidità disponibile. A queste imprese illiquide fanno capo circa 600 mila posti di lavoro.

Quindi, dobbiamo allargare le maglie e far sì che il percorso verso il fallimento, anche per le imprese illiquide, sia, come dire, molto più frenato, gestito diversamente, salvando il salvabile, perché questo dobbiamo fare. Anche questo provvedimento, che rivede la legge Prodi-bis, deve entrare in quest'ottica. Non dobbiamo pensare ad una legge che ne certifichi la morte, ma ad una legge che recuperi situazioni di crisi, che sono recuperabili per una straordinaria mancanza di liquidità che si innesca su una precedente crisi di liquidità delle imprese. Quindi, la situazione è eccezionale. Questo provvedimento è soprattutto tempestivo, come altri che sono in corso, perché ancora ci troviamo in una situazione velata, nascosta dalle varie moratorie in corso sulle imprese, che, a gennaio, si presenterà per quello che è, con i numeri che ho appena detto.

Se incrociamo i dati che ho appena elencato con quelli del Fondo di garanzia delle PMI, emerge un quadro di profonda crisi finanziaria che riguarda questa parte del sistema Italia, composta dalle società di servizi, ma anche manufatturiere, che va ben oltre le 20 mila aziende suddette e che riguarda un totale di 110 mila imprese in Italia in stato di liquidità negativa. Allora è da questa considerazione che dobbiamo partire. Fotografiamo l'esistente, cerchiamo di costruire percorsi che tengano conto dell'emergenza, che rallentino il più possibile il percorso delle imprese verso una certificazione di fallimento, che ne permettano il recupero, vista anche la condizione in cui siamo.

Io sono anche convinto che occorra estendere tutto ciò, anche con riferimento alla diversa struttura dimensionale delle imprese, quindi non solo le grandi; oggi vi sono imprese che, per fatturato, riescono ad equipararsi alle grandi, con numeri di dipendenti molto inferiori, quindi la definizione di piccola, media e grande impresa oggi va allargata.

Penso che questo sia un provvedimento puntuale nell'ottica che ci siamo detti prima, appunto, di costruire tutta una serie di dighe di contenimento delle condizioni di crisi finanziaria nel quale il nostro settore manifatturiero e di servizi si trova, di contenimento e, naturalmente, al fine di evitare la soluzione peggiore.

Voglio solo aggiungere una cosa, perché poi credo che sul testo, per quanto riguarda il nostro partito, il mio collega Zardini possa essere molto più puntuale e preciso di me, avendo fatto un importante lavoro di ricerca in Commissione, dato che questo è un testo importante. Voglio soltanto dire, rispetto ad alcuni interventi che ho sentito svolgere prima, anche sul made in Italy: cerchiamo un attimo di essere cauti quando parliamo o, perlomeno, non cauti, perché chi è che non difende il made in Italy in Italia? Cioè, voglio sapere chi è quella persona italiana che si alza la mattina e dice: speriamo che il made in Italy fallisca. Il problema è il come. Intanto è un made in Italy che sta in giro per il mondo, dobbiamo smetterla di pensare che il made in Italy che esportiamo sia fatto dall'artigiano chiuso nella sua bottega, che si alza la mattina col colpo d'ingegno e inventa il prodotto, non è così. L'oreficeria, per esempio, guardo il mio collega Zardini, e il Veneto, che ha un potentissimo distretto di oreficeria: sono sistemi d'impresa. Il made in Italy italiano è in crisi per altri elementi molto più importanti, che riguardano, ad esempio, la pochissima considerazione che viene data in questo Paese al passaggio generazionale, al trasferimento di competenze: noi non formiamo più i ragazzi alla bellezza e alla competenza nel campo dell'artigianato; questo, per esempio, sarebbe molto più importante, questo è un sapere da tramandare, semmai, con politiche che riguardano la formazione e anche il sostegno dei giovani che intraprendono queste strade.

Per quanto riguarda il made in Italy, perché dobbiamo far diventare il made in Italy, che è un settore altamente globalizzato, una bandiera sovranista della conservazione dei confini nazionali, quando un imprenditore sano di mente la prima cosa che aspira è avere un mercato globale davanti, con logiche di mercato, non certo confinarsi in una logica Paese di autoprotezione che è il contrario di quello a cui ispira un imprenditore artigiano; però è artigianato imprenditoriale, questo lo dico per chiarezza, perché siccome in quest'Aula parliamo al Paese, cerchiamo di far capire al Paese che qualche idea chiara ce l'abbiamo, non è la bottega, perché qui si confondono le idee alle persone. Stiamo parlando di imprese che hanno industrializzato un prodotto artigianale e che hanno bisogno di mercati globali. Poi, se vogliamo confondere il discorso di una legge sul fallimento delle grandi imprese che è necessario fare, che è necessario rivedere e riadattare al contesto, come dicevo prima, di doppio livello della crisi: la precedente crisi finanziaria sulla quale si è innescata la crisi di liquidità del COVID, ecco, se dobbiamo parlare di questi temi e agganciarli ai gravi problemi che hanno sempre afflitto casi come Ilva e Alitalia, il problema non è tanto la gestione della crisi tecnica, la gestione tecnica della crisi Alitalia, è che l'Italia non riesce ad avere una politica industriale sulle grandi imprese, su imprese di dimensione strategica, perché l'Alitalia è un problema di mancata visione industriale del Paese e di speculazione politica.

Io penso che – è il discorso che facevo prima rispetto all'artigianato -, anche qui, Alitalia si è ridotta in questo modo perché ne abbiamo fatto un problema di sovranità nazionale, perché non siamo riusciti a pensare al mondo per quello che è e si è fatta speculazione nazionale su una dimensione di impresa. È questo il guaio; attenzione, non trasferiamo la logica di Alitalia al made in Italy perché il made in Italy va già bene così, ha solo bisogno di due cose: liquidità e formazione di giovani, per il resto gli imprenditori non hanno bisogno di nessuna bandiera sovranista per riuscire a vendere i loro prodotti perché quello lo sanno fare bene, lo sanno fare benissimo e gli imprenditori che funzionano - vi do anche una notizia - in alcuni casi pagano volentieri le tasse, purché gli siano dati dei servizi fatti bene. È qui che noi dobbiamo insistere, con la qualità dei servizi. Io la smetterei e starei attento, perché su Alitalia abbiamo fatto dei danni; cerchiamo di evitare di farli anche sulle piccole e medie imprese artigiane.