Grazie, Presidente. Con la riforma del CSM e dell'ordinamento giudiziario chiudiamo un ciclo impegnativo e ambizioso di riforme destinate a cambiare in profondità la giustizia italiana. Dopo la riforma del processo penale e quella del processo civile approvate nei mesi scorsi oggi affrontiamo un altro tema decisivo: l'assetto ordinamentale della magistratura e il funzionamento del CSM, il supremo organo disegnato dai nostri padri costituenti per garantire l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati. Una riforma non più rinviabile, come più volte ci ha detto il Presidente Mattarella, da ultimo proprio in quest'Aula in occasione del suo discorso per il secondo insediamento, anche alla luce del quadro sconcertante e inaccettabile - sto usando le parole del Capo dello Stato - emerso dopo lo scandalo Palamara, che ha prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e l'autorevolezza dell'intero ordine giudiziario. Molti si sono accostati a questa riforma con l'idea che fosse l'occasione per dare un colpo alla magistratura, per vendicarsi di un potere considerato troppo autonomo e irresponsabile, sulla scia di una guerra tra politica e magistratura che ha inquinato il dibattito pubblico e impedito incisive riforme della giustizia negli ultimi 20 anni. Molti lo hanno fatto, ma non noi, che abbiamo agito - e voglio ringraziare per questo il prezioso lavoro del nostro relatore Verini - in questi mesi di discussione difficile, a volte aspra, all'insegna di due stelle polari, di due riferimenti ineludibili e irrinunciabili che hanno guidato le nostre scelte: la salvaguardia dei princìpi costituzionali e l'interesse dei cittadini ad una giustizia efficiente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). In nome dei primi, di quei principi scolpiti nella Costituzione, abbiamo fatto da argine a scelte che avrebbero compromesso l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati, come la responsabilità civile diretta, che li avrebbe esposti ai condizionamenti più pericolosi, soprattutto dei poteri economici e criminali, e ad altre scelte che ne avrebbero definitivamente e irrimediabilmente minato il prestigio, come il sorteggio per l'elezione dei componenti togati del CSM. Una definitiva manifestazione di sfiducia nella capacità della magistratura di selezionare i propri rappresentanti, oltretutto inidonea a metterla al riparo da degenerazioni correntizie. In nome, invece, dell'interesse dei cittadini italiani abbiamo lavorato per introdurre princìpi volti ad aumentare l'efficienza, facendo emergere le qualità e i meriti dei magistrati. Qualcuno, a questo proposito, ha parlato di rischio di derive efficientiste, cioè di regole che, pur di garantire i numeri, rischierebbero di compromettere la qualità.
Una preoccupazione legittima, ma decisamente discutibile in un Paese nel quale gli impietosi dati della giustizia italiana ci consegnano tempi di risoluzione delle controversie che sono il triplo della media europea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e condanne della CEDU per l'eccessiva lunghezza dei processi che sono il doppio del secondo Paese in questa non commendevole classifica. In realtà l'efficienza è il primo, il più importante, il più ineludibile, il più urgente dei problemi della giustizia italiana, se abbiamo davvero a cuore l'interesse dei cittadini italiani; e l'efficienza si persegue e garantisce attraverso regole dei processi che, salvaguardando garanzie e contraddittorio, consentano tempi ragionevoli per arrivare alla decisione, come abbiamo fatto con le riforme del processo penale e civile. Si garantisce attraverso risorse e personale adeguati, e ricordo che abbiamo messo oltre 2 miliardi del PNRR per l'assunzione di 16 mila addetti all'ufficio del processo. Ma l'efficienza si garantisce anche attraverso un'incisiva riforma dell'ordinamento giudiziario e del CSM. Nell'ultimo quinquennio, il 99,2 per cento dei magistrati ha ottenuto una valutazione positiva. Come ha scritto recentemente, con una battuta, ovviamente, il Presidente Violante, neanche in un convento di orsoline si può trovare una percentuale così alta di giudizi positivi.
Lo scandalo Palamara ha disvelato quanto già emergeva da tante circostanze passate, e cioè che dentro questa sostanziale incapacità della magistratura di valutare adeguatamente le proprie qualità imperversano le correnti, che molto spesso hanno orientato e indirizzato le nomine dei capi degli uffici per appartenenza e non per attitudini e capacità. Ma noi sappiamo quanto contano i capi degli uffici giudiziari; lo sappiamo dalle statistiche che ci dicono che gli uffici più efficienti spesso prescindono dal rapporto tra affari correnti, sopravvenienze, giudici, personale, e che quindi la guida, l'organizzazione dell'ufficio conta molto di più. E se non ci si mandano quelli più idonei e preparati, ma quelli più fedeli, si fa un grande danno alla giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Era ed è ancora tollerabile tutto questo? Noi crediamo di no, ed è per questo che riteniamo che le novità più significative di questa riforma risiedano proprio nell'introduzione di criteri limpidi di valutazione dei magistrati, articolati in giudizi distinti, e nell'individuazione di meccanismi di scelta del CSM che valorizzino quei giudizi. Abbiamo lavorato perché a queste valutazioni partecipasse anche l'avvocatura nell'espressione della sua rappresentanza istituzionale, perché siamo convinti che questo apporto sia fondamentale per una corretta valutazione delle qualità, anche di carattere organizzativo, dei magistrati. Così come abbiamo condiviso l'idea che una valutazione corretta debba comprendere anche la verifica della tenuta dei provvedimenti assunti nelle successive fasi e gradi dei giudizi, attraverso una verifica non delle singole e fisiologiche riforme che statisticamente capitano a tutti, ma delle significative anomalie che possono segnalare un esercizio non corretto della giurisdizione. A tale fine, il fascicolo del magistrato altro non è che uno strumento per avere i dati utili alla corretta e trasparente valutazione dell'attività svolta; tutto ciò per fare emergere finalmente i giudici meritevoli, quelli che, grazie alla qualità del loro lavoro e alle loro capacità organizzative, possono e devono ambire a ricoprire ruoli di maggiore responsabilità, a prescindere dalle loro appartenenze correntizie. Anche di qui passa una quota non marginale di recupero dell'efficienza della giustizia italiana, e questo vale molto di più, noi crediamo, della legge elettorale del CSM.
Sappiamo bene, infatti, che qualunque legge non impedirà alle correnti di condizionarne in qualche modo gli esiti, ma sappiamo anche che non sono le correnti il problema della magistratura italiana; che, anzi, le correnti forniscono un apporto di discussione e confronto utile e vitale, e giustamente concorrono all'elezione dei loro rappresentanti in seno al CSM. Il problema sono le loro degenerazioni, che possono essere corrette e contenute se, come abbiamo fatto, le regole di valutazione, i criteri di scelta e le modalità di funzionamento del CSM vengono messi in sicurezza dai ricatti correntizi. Questa riforma affronta anche altri nodi importanti: introduce norme rigorose per disciplinare il rapporto tra i giudici e l'attività pubblica, politica, impedendo il ritorno all'attività giurisdizionale per chi si candida o assume ruoli politico-istituzionali. Una scelta che riguarda pochi magistrati, ma che influisce pesantemente sull'immagine di terzietà e imparzialità; una caratteristica da custodire gelosamente per recuperare alla magistratura credibilità e autorevolezza.
Si riduce poi il passaggio di funzioni tra giudicanti e requirenti, e viceversa, ad uno solo; una scelta che secondo noi viene un po' sopravvalutata nelle sue conseguenze pratiche dal momento che non compromette l'unità della giurisdizione scritta nella Costituzione e che riguarda pochi magistrati, visto che la stragrande maggioranza dei giudici non cambia funzione una volta assunto l'incarico o lo fa al massimo una volta soltanto. Certo, non c'è tutto in questa riforma; c'è bisogno anche di una riforma costituzionale che introduca un'alta corte per i ricorsi disciplinari e le nomine della magistratura, che toglierebbe ulteriori elementi di condizionamento e frizione nello svolgimento delle attività giurisdizionali e degli organi di autogoverno. Ci permettiamo, in tal senso, di rivolgere un appello alle forze politiche perché non facciano cadere questa nostra proposta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). In conclusione, noi riteniamo che questa sia una buona e coraggiosa riforma, e ci auguriamo che collabori alla sua piena realizzazione l'intera magistratura, che deve avere la capacità di guardare avanti, di raccogliere la sfida del cambiamento, di ripartire dalla giurisdizione abbandonando posizioni rigidamente conservatrici. È una riforma che si colloca a metà strada tra chi la considera inutile e chi le considera pericolosa, si colloca cioè sull'asse del riformismo possibile, quel riformismo che sta nel DNA del Partito Democratico che, anche in questa lunga e complicata discussione sulla riforma della giustizia, ha svolto il suo ruolo sul versante, scarsamente frequentato, della serietà, della responsabilità, della costruzione delle soluzioni. Per noi, il versante della dignità della politica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).