Dichiarazione di voto
Data: 
Martedì, 21 Marzo, 2023
Nome: 
Ilenia Malavasi

A.C. 977

Grazie, Presidente. Colleghe, colleghi, Vice Ministra, ho l'onore e l'onere di intervenire adesso, a nome del Partito Democratico, nel merito dell'approvazione di un importante disegno di legge. È un provvedimento necessario, nel quale crediamo, atteso dal Paese da circa vent'anni, sulla non autosufficienza, per la tutela della dignità e la promozione delle condizioni di vita indipendente delle persone, ma anche di cura e di assistenza delle persone anziane non autosufficienti.

Questa legge - vale la pena ricordarlo - nasce da una proposta approvata dal Governo Draghi, come hanno ricordato in tanti, nell'ultima seduta di quel Governo, il 10 ottobre 2022, grazie al lavoro di confronto e di collaborazione tra tanti Ministeri e attori sociali, come la rete per la non autosufficienza, e con l'apporto fondamentale dei Ministri Speranza e Orlando, a cui va il nostro applauso e il nostro ringraziamento.

Apprezziamo che questo Governo abbia raccolto tanta parte del testo e riconosca l'elaborazione sviluppata dal Governo precedente, seppure con alcune modifiche, per noi sostanziali e di merito, che ci preoccupano e su cui orienterò il mio intervento. Sta, infatti, in noi la consapevolezza dell'importanza della centralità di questo atto legislativo, una legge che riteniamo di civiltà e di maturità per un Paese come il nostro, una legge cui arriviamo solamente oggi, ma che nasce da una storia importante, una lunga storia, cui ha dato un contributo fondamentale anche la forza politica cui appartengo, con il protagonismo di donne e di uomini che hanno contribuito e sempre difeso la cultura del welfare pubblico, della cura, dell'assistenza, del diritto alla felicità e del diritto al rispetto e ad un'esistenza dignitosa in ogni età della vita, una cultura che trae origine e nutrimento dalla nostra Costituzione. Una civiltà - uso le parole di Papa Francesco - si giudica da come gli anziani vengano trattati e da quale posto riserviamo loro nella nostra società.

Per questo, per la profondità di questo significato, per la bellezza di queste parole, il provvedimento è così importante. È una legge che si pone l'obiettivo di assicurare un sistema unico ed universale, per provare a superare distanze, divari territoriali, privilegiando servizi e presa in carico delle persone, una legge che, per la prima volta, affronta, in maniera organica, il tema del diritto alla salute, al benessere, alla cura e all'assistenza delle persone anziane in un Paese, come il nostro, in cui il livello della popolazione anziana è uno dei più elevati al mondo e il tasso della non autosufficienza è tra i peggiori.

È una riforma dunque importante per garantire la presa in carico della condizione di fragilità delle persone anziane, in una cornice più generale di norme a tutela di tutti coloro che si trovano in una condizione di non autosufficienza che riguarda milioni di persone.

È chiaro che una riforma così importante deve mettere a sistema una vera integrazione tra il Servizio sanitario nazionale e il sistema socioassistenziale per rimettere al centro il diritto alla cura per tutti e per tutte e deve definire, prima di tutto, una platea di persone e di utenti alla quale si vuole riferire. Di questo, purtroppo, non c'è traccia.

Avremmo certamente preferito un maggior confronto tra maggioranza e opposizione, anche per apportare qualche miglioria che riteniamo necessaria, ma in Commissione tutti i nostri emendamenti sono stati bocciati senza alcuna spiegazione e alcun confronto, con un semplice invito al ritiro o un voto contrario. Una mancanza di dialogo e di confronto su temi così importanti non è un buon modo di fare politica o di lavorare, ma semplicemente un'inutile prova di forza, di numeri, di una maggioranza non interessata a ragionare insieme per fare il bene del nostro Paese. Del resto, siamo abituati, perché non è una novità che spesso abbiamo proceduto in quest'Aula a suon di fiducia.

Stiamo discutendo una legge che si rivolge a una platea - udite, udite - di 13 milioni di uomini e di donne che hanno oltre 65 anni, il 22 per cento della popolazione, 7 milioni con più di 75 anni, 6,4 milioni di persone non totalmente autonome, 3,8 che hanno una grave non autosufficienza, a fronte di poco più di 300.000 persone che sono ricoverate nelle nostre RSA. Certamente è un dato positivo l'allungamento della vita, ma questi numeri descrivono anche un quadro poco rassicurante, dove una parte maggioritaria di persone anziane vive in profonda solitudine, affidata spesso esclusivamente alla cura dei familiari e gli assistiti a domicilio tra il Servizio sanitario nazionale e i servizi sociali dei comuni sono solo 185.970.

Se, da un lato, dunque, questo richiede un maggiore investimento nel Servizio sanitario nazionale e sulla necessaria, quanto indispensabile, integrazione tra Servizio sanitario, sociale e socioassistenziale, è anche vero che è necessario investire in servizi di prossimità, in medicina territoriale. Ringrazio il Ministro Speranza per il decreto ministeriale n. 77 che ci orienta in questa direzione. È necessario anche promuovere l'invecchiamento attivo, con una visione non solo assistenziale degli anziani, sostenendo persone fragili, ma anche chi vive in una condizione di non autosufficienza e chi si prende cura di loro. Serve, dunque, una nuova visione, una presa in carico multidimensionale della persona, che veda il riconoscimento del diritto delle persone anziane alla continuità di vita e di cura presso il proprio domicilio, perseguendo il principio della semplificazione e dell'integrazione delle procedure di valutazione della persona tramite punti di accesso unici, diffusi sul territorio, per effettuare una valutazione unica, completa, che possa definire un progetto assistenziale individualizzato che deve contenere prestazioni sanitarie, sociali, assistenziali.

Nel sostenere, dunque, l'importanza della domiciliarità, è necessario riorganizzare il frammentato quadro normativo dell'assistenza domiciliare per riconoscere il ruolo e le attività dei soggetti pubblici, privati e no profit, compreso il Terzo settore, che operano come erogatori di servizi di assistenza e cura domiciliare.

Sono stati quasi interamente eliminati - e lo dico con rammarico - i riferimenti alla figura del caregiver - cosa che ci rammarica - e rimarchiamo in questa sede l'urgenza di una legge che tuteli e sostenga il caregiver familiare. Spesso il caregiver si occupa e si prende cura di un familiare o di un convivente che necessita di un intervento assistenziale temporaneo o permanente. Spesso è un impegno continuativo che comporta scelte o rinunce che rischiano di penalizzare, in primis, le donne - come è accaduto nel periodo pandemico, con la chiusura dei servizi -, spesso costrette a lasciare la propria attività lavorativa, perdendo così anche la propria indipendenza economica.

Non è una questione di singoli individui: è una questione pubblica, di protezione sociale, che riguarda l'intera comunità, perché è l'intera comunità che deve riconoscere un nuovo modello di welfare, il valore della cura, del lavoro di cura, del prendersi cura, della persona, della relazione, dell'ambiente, perché il “care” deve diventare fondativo per un nuovo modello sociale, equo, inclusivo, solidale, dove i diritti dei caregiver vengono riconosciuti.

Per questo è urgente e non più procrastinabile una definizione di una nuova legge mirata al ruolo sociale del caregiver, che venga riconosciuto, perché necessita di diritti, di coperture assicurative, previdenziali, pensionistiche, rapportate al PAI, di certificazione di competenze acquisite, di pari opportunità, di rispetto e di conciliazione di vita e di lavoro.

Sono tanti i nodi irrisolti, oltre a quelli che ho già ricordato, ma, certamente, vogliamo ragionare insieme, perché manca la revisione dei criteri minimi di autorizzazione ed accreditamento dei soggetti erogatori di servizi, pubblici e privati, così come non sono chiari i criteri per l'introduzione della misura universale e la revisione dell'indennità di accompagnamento. Così come siamo preoccupati sui LEPS: siamo preoccupati per la prevista procedura per la definizione dei LEPS, che rischia di escludere il Parlamento, proprio con il rischio di fare presto e di fare male, male soprattutto al Paese, andando a cristallizzare i divari territoriali. Sappiamo che il nostro Paese è attraversato da profondi divari territoriali che interessano non solo le differenze tra Nord e Sud, ma anche le aree interne, le montagne e le periferie.

Nel Titolo V della nostra Costituzione, i livelli essenziali delle prestazioni che riguardano diritti civili e sociali devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; non possono essere lasciati all'autonomia delle singole regioni. È per questo che è così importante definire i livelli essenziali delle prestazioni, prima di parlare di autonomia differenziata.

Non ci possiamo permettere un mero procedimento di ricognizione per fotografare standard esistenti e finanziamenti storici, perché questa ipotesi di definire così i livelli essenziali delle prestazioni rischia unicamente di cristallizzare ingiustizie, ignorando la necessità di perequazione delle risorse finanziarie. Per questo chiediamo un percorso serio per definire i livelli essenziali delle prestazioni, individuando un finanziamento adeguato e monitorandone l'attuazione.

Concludo su un ultimo punto: le risorse. Mancano le risorse. Nel testo è scritto in più passaggi “con le risorse esistenti”, “a spesa invariata”. Non si può certamente pensare di fare in questo modo una riforma così importante. Lo diciamo chiaramente: non è sufficiente, servono più risorse per il Servizio sanitario nazionale, ma più risorse per attuare le misure previste dalla legge delega, che porti al consolidamento dei LEPS e alla loro integrazione con i livelli di assistenza sanitaria.

Per queste motivazioni e anche con queste preoccupazioni, riconoscendo l'importanza di questa legge, abbiamo lavorato in Commissione con disponibilità e generosità, senza raccogliere alcuna apertura, né alla Camera né al Senato. Peccato: resta il rammarico, ma più forte in noi è la responsabilità di continuare a spronare questo Governo, consapevoli del fatto che gli impegni, le scadenze e le risorse del PNRR riguardano tutti noi.

Per questo motivo abbiamo deciso di astenerci, ma ci prendiamo oggi un impegno davanti al Paese: quello di continuare a combattere per garantire agli anziani una vita degna di essere vissuta fino alla fine, possibilmente nel proprio nucleo familiare, con i propri cari, sentendosi parte di una comunità, che hanno contribuito a costruire e alla quale, spesso, possono ancora dare un contributo.

Nessuna delega in bianco, dunque, ma una vigilanza ferrea, perché ci saremo per dare il nostro contributo per una buona attuazione dei principi della delega, per verificare che ci siano le risorse necessarie e che vengano messe, che venga dato valore al lavoro di cura, che venga garantita la qualità dell'assistenza, che vengano rispettati i LEA e definiti i LEPS, con un monitoraggio costante, superando i divari territoriali e definendo, anche in questo caso, la cosa più importante per noi: l'uniformità e l'universalità dei diritti e l'unità del Paese.