Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 3 Aprile, 2024
Nome: 
Nicola Zingaretti

A.C. 982-A

Grazie, signor Presidente. Care colleghe, cari colleghi, Abramo Lincoln amava dire: tre cose formano una Nazione; la sua terra, il suo popolo e le sue leggi. Per questo siamo, a volte, pignoli e, da forze di opposizione, ci ostiniamo comunque a fare di tutto affinché questo Parlamento promulghi buone leggi, degne della Repubblica italiana, perché amiamo l'Italia, che sentiamo la nostra Patria. L'idea di conferire il titolo di monumento nazionale a molti teatri italiani è stata ed è una buona idea, lo abbiamo detto subito, mettendoci a disposizione per la costruzione di un testo degno del nostro Paese, ma la legge per ottenere questo risultato è pessima, anzi è un pasticcio imbarazzante che, in parte, abbiamo tentato di correggere. Quindi, oggi stiamo discutendo di una buona idea, ma di una brutta legge e di un'occasione sprecata. È una buona idea, lo ribadiamo, perché il teatro - come è stato detto in quest'Aula, ma noi non siamo divisi su questo - è una parte fondamentale della nostra cultura: sui palcoscenici italiani si sono formati donne e uomini che, recitando, hanno contribuito a formare intere generazioni di ragazzi e di ragazze, di donne e di uomini. Mi permetto di dire: il teatro è servito a costruire una coscienza civile. E, poi, il teatro è lavoro, come è stato detto, spesso sfruttato, lavoro precario. Il teatro è un manufatto architettonico e, se ci si fermasse alla data di costruzione, forse il tema oggi sarebbe quello di un premio di architettura, sapendo che però poi non tutti i teatri vecchi - se fosse solo questo - sono teatri belli che meritano riconoscimento, il titolo storico. Il teatro è anche ciò che avviene dentro questa architettura, invece, è l'arte che si esprime, è il valore che infonde al territorio dove il teatro si trova. Il teatro merita di essere definito storico perché, a volte, al suo interno si sono svolti degli eventi storici, delle prime che rimangono nella memoria collettiva italiana. Nel 1931, Eduardo De Filippo diede, per la prima volta, Natale in casa Cupiello al Teatro Kursaal di Napoli; oggi, però, quel teatro è un cinema; il teatro si chiama Cinema Filangieri, non è più un teatro; è storico? Non lo so, secondo questa legge. All'Ambra Jovinelli di Roma il palcoscenico ha visto protagonista Ettore Petrolini, ed è storico, ma il Teatro Sistina, che ha prodotto celebri spettacoli, con Garinei e Giovannini, con Aldo Fabrizi, che a Broadway ha tenuto - in italiano! - il cartellone per mesi, è storico? No, secondo questa legge, perché è stato costruito dopo. Purtroppo, il Teatro Orfeo, che ha visto Macario, Totò, dove nacque, dentro un camerino, Pupella Maggio è diventato, all'improvviso, un cinema a luci rosse; eppure ha più di cento anni; è storico? Non lo so, secondo questa legge.

Per questo noi diciamo, Presidente, che quando lo Stato, quando questo Parlamento sceglie di conferire un titolo così importante a una parte così importante della nostra identità dovrebbe essere, questo Parlamento, molto rigoroso, molto attento alle cose di cui trattiamo, deve essere assolutamente prudente, per non commettere errori. Dovrebbe aver chiara questa complessità e dare al termine storico il valore che questo termine, almeno in Italia, questa nostra grande Patria, deve avere. Per questo noi abbiamo proposto, con i nostri emendamenti, non di non fare la legge, ma di introdurre un criterio più sensato.

La legge avrebbe dovuto individuare un titolo, certo: se lo merita il teatro italiano e dei luoghi di produzione culturale italiana del luogo storico, avrebbe dovuto indicare i criteri, oltre a quello dell'età, chiari, sui quali avremmo potuto anche discutere insieme, come il valore artistico o la garanzia di una programmazione dal vivo che continua. Avrebbe dovuto, se sono storici, me lo faccia dire, almeno, garantire un fondo per non farli chiudere i teatri , perché facciamo finta di non sapere che i teatri stanno chiudendo e lo dice un presidente di regione che è orgoglioso di poter dire nell'Aula di Montecitorio che in 10 anni nel Lazio di teatri chiusi ne abbiamo riaperti oltre 50, senza legge sulla storicità, ma perché amavamo la cultura che i teatri producono. Avremmo potuto pensare a un fondo per le produzioni teatrali, per l'innovazione tecnologica, a un fondo per le tournée, perché agli attori non si pagano più le prove e, quindi, i teatri e le compagnie muoiono. Ecco che cosa si sarebbe potuto fare, perché il teatro, anche quello storico, purtroppo, è una parte della nostra cultura che soffre e andrebbe aiutata.

Quindi, alla fine, una buona legge avrebbe dovuto istituire una commissione e non con i bolscevichi, avremmo dato al Ministro della Cultura di questo Paese il diritto di definire una commissione che sulla base di criteri avrebbe poi definito questo termine “storico”, per darlo a chi davvero se lo merita. Invece, si è preferita un'imbarazzante, perché è imbarazzante, lista di nomi che noi proponiamo agli italiani , fatta non ho capito ancora con quali criteri. Ma se fossero stati così oggettivi, i criteri, perché non rimandare tutto a quei criteri, invece di mettere 400 nomi su alcuni fogli di carta? Il motivo lo sappiamo e si chiama propaganda politica e cioè la possibilità di andare con la bandierina nel proprio comune e dire: io ho fatto diventare questo teatro “storico”. Tuttavia, quando questo significa far parte di questa legge, purtroppo, non significa assolutamente nulla, se non un titolo perché si sta dentro una lista.

Per questo, noi, Presidente, e chiudo, ci asterremo su questo provvedimento, perché condividiamo l'idea, ma denunciamo con forza un'occasione persa per il teatro e per la cultura italiana. Il teatro italiano è molto più storico di questa lista che ci proponete e che con alcune modifiche - io sono contento - ci ha impedito di fermarci a pochi metri, l'altra settimana, dal dramma, perché aveva ragione un grande drammaturgo: “Il dramma resta sempre, dall'inizio alla fine, marcatamente politico”, William Shakespeare. Almeno questo, abbiamo provato ad evitarlo.