A.C. 2461
Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e colleghe, Sottosegretaria Siracusano, Presidente, io, a dire il vero, vorrei partire da un ragionamento metodologico sul tema catastrofi, perché, altrimenti, credo che ci perderemo nell'analisi della cronaca spiccia, ma in realtà noi stiamo parlando di fenomeni e questioni ben strutturate e radicate anche nel medio-lungo termine nella storia di questo Paese. E mi rivolgo, innanzitutto, Presidente, visto che lei è distratto dai colleghi del MoVimento 5 Stelle, se gentilmente mi consentono di intervenire… Grazie.
Presidente, ripartiamo. Che cos'è una catastrofe? La catastrofe produce un prima e un dopo. E soprattutto, la catastrofe - un evento alluvionale, un terremoto - è un processo di accelerazione della storia. E perché è un processo di accelerazione della storia? Perché, sostanzialmente, l'evento catastrofico in sé per sé, quel momento, quell'attimo, accende i fari su una condizione strutturale di debolezza del territorio, o, se volete, dall'altro lato, sulla non efficienza o, come dire, sul rischio che il ruolo antropico commette ogni qualvolta si interfaccia con il patrimonio naturalistico e umano.
E c'è un altro secondo aspetto metodologico che noi dobbiamo tenere in considerazione - perché, altrimenti, faccio fatica a comprendervi, o forse facciamo fatica a capirci quando ragioniamo di interventi di questa natura -, e cioè: questi eventi, generalmente, fanno fatica a entrare nella grande storia. Che cosa significa che fanno fatica a entrare nella grande storia? Fanno fatica ad assumere un ruolo preminente nelle narrazioni storiche. E questa fatica - che questi eventi fanno - determina una rimozione quasi immediata, come se l'essere umano volesse dimenticare la tragedia che è avvenuta e il modo in cui ha cercato di dare una risposta o risolvere il problema che la tragedia stessa ha determinato.
E guardate che da questo elemento noi non ci discostiamo tanto dagli ultimi secoli della storia umana. Ci fu - lo dico al relatore - un evento storico che cambiò la percezione umana rispetto alle catastrofi: il terremoto del 1° novembre del 1755 a Lisbona. Ne scrisse Voltaire. Quell'evento, che provocò 10.000 morti e quant'altro, fu il primo momento nella storia della civiltà moderna in cui si iniziò a mettere in discussione la fatalità divina: un terremoto, un'alluvione non accade perché quel pezzo di territorio nel quale si abbatte è toccato dalla malasorte, dalla sfortuna o dalla punizione divina, come si sarebbe detto ancora più in là nel nei secoli in passato, ma perché c'è una componente di ruolo antropico che determina quella conseguenza.
D'altronde, è un fatto: se avviene una scossa fortissima di terremoto nel deserto, il massimo che ti può succedere è che cadi per terra; se la stessa scossa avviene e si abbatte su un patrimonio edilizio costruito male, allora la catastrofe è imminente ed è molto probabile. Ed ancora, dal punto di vista metodologico, Ulrich Beck a un certo punto, siamo negli anni Ottanta inoltrati, ci parla di “società del rischio” e la società del rischio in quel caso che cosa significa? Significa attenzione nel processo di accelerazione costante perché questa costante accelerazione rischia di mettere a repentaglio la stessa sussistenza della razza umana nell'emisfero terrestre. Allora, rispetto a tutto questo, noi a che punto siamo? All'indomani dei fatti che accaddero in Emilia Romagna mi colpì molto e rimasi esterrefatto, in tutta onestà, dalle parole dell'allora commissario Figliuolo che vi ricordate che cosa disse? Disse: statene certi, faremo tutto e faremo bene ma non si ripeterà quello che è accaduto con il terremoto in Irpinia. E peccato che non sia accaduto perché oggi servirebbe esattamente una legge n. 219 - lo dico agli amministratori - servirebbe una legge n. 32 per far ripartire le aree industriali e quant'altro, servono esattamente quei provvedimenti nei quali voi, lentamente, vi state avvicinando.
E allora qualcuno - suo tramite, Presidente, alla Sottosegretaria Siracusano - mi potrebbe chiedere ma allora perché non votate a favore? Ecco, ed è qui la domanda. Non votiamo a favore, nonostante ci sia il lento e tardivo recepimento di indicazioni che vi stiamo dando da oltre due anni, perché voi continuate costantemente a prevalere l'intervento emergenziale rispetto all'intervento programmatorio, e mi spiego. La storia di questo Paese - perché dicevo che si fa fatica a entrare nella grande storia - ci dimostra, come è successo nel terremoto dell'Aquila, come è successo in altri eventi catastrofici, che a un certo punto tu individui il problema, individui la metodologia operativa, individui le risorse, e programmi un intervento che quantomeno è decennale, quinquennale. Voi state utilizzando l'altro elemento. Voi state utilizzando l'elemento emergenziale tout court, ogni volta, per una semplice ragione: perché gli investimenti in prevenzione non generano consenso, l'investimento emergenziale genera consenso immediato. E allora questo è il tema.
Allora, noi siamo esattamente in questa fase della storia, perché quello che accade nei Campi Flegrei continuerà ad accadere. Quello che accade nel resto delle aree interne di questo Paese continuerà ad accadere. Perché? Perché noi siamo il Paese e voi siete il Governo che ha tagliato 8 miliardi di euro per i prossimi anni ai comuni però, allo stesso tempo, dice al comune occupatene tu. Noi siamo quel Paese che, per decenni, ha attaccato, sbeffeggiato le comunità montane e poi si chiede chi nelle aree interne faccia la manutenzione che non c'è. E allora, noi siamo esattamente quel Paese che preferisce l'emergenzialità alla programmazione, perché la programmazione - Sottosegretaria - significava: fatto cento di quanto serve di risorse, le spalmiamo su dieci anni e non ci interessa quale sarà il colore dell'amministratore che si troverà a gestire quella pratica, non ci interessa il colore regionale che si troverà a gestire quell'altro elemento, e non ci interesserà del colore politico del Governo che gestirà fino al prosieguo della cura di quella emergenzialità, ergo di quella catastrofe. Questo è il vulnus vero del provvedimento.
Perché se io asetticamente prendessi molti dei passaggi all'interno del provvedimento come faccio a non essere d'accordo. Ma, esattamente la procedura e la modalità significa che voi state, scientificamente e consapevolmente, moltiplicando e prolungando una fase emergenziale di attuazione del provvedimento, non di quello che poi, dal punto di vista territoriale, accade. E perché preferite l'emergenzialità? E perché, invece, servirebbe la programmazione? Ma scusatemi, ma non solo la programmazione urbanistica, con buona pace del mondo. Noi siamo un Paese che ogni anno registra, negli ultimi anni, 378 eventi climatici estremi, 130 tra alluvioni e frane, e noi siamo qui ancora oggi a immaginare che siamo stati rapidi, efficaci ed efficienti a rispondere all'emergenza. Non è un'emergenza, è una costante. Allora, rispetto alla costante tu devi avere la capacità di intervenire e non puoi intervenire come avete fatto anche in altri provvedimenti, Sottosegretaria. Perché quando obblighi le micro-imprese o le imprese di quei territori ad assicurazione privata - stiamo parlando di oltre 5 milioni e mezzo di imprese - stai venendo meno al ruolo sacrale dello Stato. Rispetto all'emergenza è lo Stato che è superiore ad ogni istituzione, anche territoriale, perché ha il dovere di garantire la sicurezza ai propri cittadini. Puntare sulle assicurazioni significa togliere la responsabilità collettiva di una difficoltà e individualizzare la soluzione possibile al problema. Traducendo, voi avete detto: arrangiatevi per fatti vostri, perché noi non siamo in grado di farlo. Da questo punto di vista, abbiamo fatto tutta una serie di proposte, anche emendative, che vanno esattamente nella direzione, soprattutto nei Campi Flegrei, di affrontare la questione emergenziale, di dare delle risposte, di chiedervi ulteriori risorse, proprio alla luce di quanto accaduto nelle ultime ore, perché quelle che già avete appostato non sono più sufficienti. Allora interveniamo così, interveniamo in una maniera organica e programmatoria. Perché, guardate, risolvere e garantire la sicurezza delle persone e dei cittadini in qualsiasi parte di questo Paese non è una questione di Governo, non è una questione di parte, è una questione che deve interessarci tutte e tutti.
Il giorno in cui deciderete di abbandonare l'emergenzialità utile ai fini elettorali e sposerete la battaglia della programmazione sappiate che il Partito Democratico risponderà sempre: presente. Fino a quel giorno, purtroppo, siamo costretti, nostro malgrado, a dichiararci completamente insoddisfatti e a votare contro questo provvedimento.