Discussione congiunta
Data: 
Lunedì, 23 Gennaio, 2017
Nome: 
Gero Grassi

Doc. XXIII, nn. 10 e 23

Grazie signora Presidente, signor sottosegretario e onorevoli colleghi, chi era Aldo Moro ? Pugliese, nato a Maglie, eletto Alla costituente nel 1946, professore universitario di filosofia del diritto e diritto penale all'Università di Bari. 
In quest'Aula, in occasione della Costituente, Moro fu il protagonista dell'articolo nel quale si parla di riconoscimento di diritti alla persona. 
Moro parlava di persona, il cittadino viene dopo e spiegò che il riconoscimento era importante perché, a differenza dello Statuto Albertino, dove si parlava di concessione, quando c’è il riconoscimento di diritti nessuno li può togliere, se no viene meno lo Stato democratico. 
Sottosegretario agli esteri, Ministro di grazia e giustizia, si impegna per il valore rieducativo della pena e fa eliminare il famoso «fine pena mai», perché la funzione della pena non può che essere rieducativa. 
Ministro della pubblica istruzione, dopo aver fatto il capogruppo della DC si impegna per il raddoppio dell'obbligatorietà, passando dalla scuola elementare alla scuola media, cosa che realizza da Presidente del Consiglio. 
Da Ministro della pubblica istruzione favorisce e sponsorizza il famoso programma «Non è mai troppo tardi», quella televisione in bianco e nero che ha educato oltre 3 milioni di italiani. 
Presidente del Consiglio, realizza la nazionalizzazione dell'energia elettrica e finalmente la scuola media obbligatoria. 
Personaggio amato dal popolo e odiato dai poteri: è del 1963-64 la prima notizia del rapimento e dell'omicidio Moro, Piano Solo, generale De Lorenzo, con molti carabinieri. 
Il caso Moro non inizia il 16 marzo 1978, inizia molto prima. 
Abbiamo l'episodio del 25 settembre 1974, riferito da presenti e dalla moglie di Moro in tribunale, quando Henry Kissinger dice: «Presidente, lei deve interrompere la sua volontà di portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Questo è un avvertimento ufficiale, veda lei come vuole intenderlo». 
Abbiamo l'episodio del 3 agosto 1974, quando Moro, due minuti prima che il treno Roma-Monaco parta dalla stazione Roma Termini, viene fatto scendere dal treno e quel treno è l'Italicus, che quella sera salta in aria nella galleria poco prima di Bologna. 
La magistratura dell'epoca accerta che la polvere pirica utilizzata per quel treno è la stessa di Piazza Fontana, Banca Nazionale dell'agricoltura, Piazza della Loggia, strage della stazione di Bologna dopo e accerta anche che non è a disposizione degli italiani, ma di un organismo sovranazionale. 
Moro favorisce prima l'ingresso dei socialisti al Governo e poi favorisce quello dei comunisti e dice nel Transatlantico a Vittorio Cervone, nel novembre 1977: «Caro Vittorio, ci faranno pagare caramente la nostra linea politica, ma la democrazia italiana ne guadagnerà». 
Sono tante le prime pagine di certi giornali italiani nei quali si auspica la morte di Moro, nei quali sia auspica l'omicidio di Moro: penso su tutti, per esempio, a Candido, a Specchio, OP, IlBorghese, giornali legati alla destra eversiva e giornali legati alla P2, che, nel caso Moro, non è affatto secondaria, tanto da indurre l'ex presidente della Commissione P2, Tina Anselmi, a dire: «Non possiamo capire il caso Moro, se non capiamo quello che è stata la P2 in quegli anni».   Fatta questa premessa, perché noi ci siamo avventurati, perché questo è il termine esatto, nella proposta che ha portato all'approvazione della legge istitutiva della II Commissione Moro ? Certamente non per un esercizio della retorica, né tanto meno per guardare a ieri; lo abbiamo fatto per guardare al domani, per cercare di dare sicurezza, stabilità, certezza del diritto e democrazia a questo Paese e soprattutto ai giovani del futuro. La Commissione Moro non ha gestito nulla, se non una immensità di problemi e di soluzioni. Perché noi abbiamo voluto istituirla ? Perché la lettura degli otto processi Moro, delle quattro Commissioni terrorismo e stragi, della Commissione P2 e della Commissione Mitrokhin, circa 3 milioni di pagine, faceva balenare agli occhi delle persone oneste che quello che scrivevano non corrispondeva alla realtà. Ci sono stati alcuni in questi anni tra i magistrati, tra i brigatisti, tra le forze dell'ordine, anche nella politica, che hanno detto che si sa tutto sul caso Moro, che si sa tutto sulle Brigate Rosse. Guarda caso, chi dice queste cose lo dice perché protagonista, da un lato o dall'altro, dei 55 giorni e di quello che ha seguito. Nell'Aula del Senato il 9 maggio del 1979 un grande uomo di cultura italiana, Carlo Bo, già rettore dell'università di Urbino, ebbe a dire, parlando del caso Moro: «delitto di abbandono». Sì, Moro fu abbandonato da tutti e, quando dico tutti, intendo dire tutti, tranne qualcuno della propria famiglia. Perché cerchiamo di riportare a galla la verità ? Moro diceva: «La verità è sempre illuminante e ci aiuta ad essere coraggiosi». Come si fa a sostenere che sul caso Moro si sa tutto, se è vero, come è vero, che noi in Commissione abbiamo riscontrato omissioni, palesi contraddizioni, divagazioni culturali di chi invece è tenuto ad eseguire indagini precise, omissioni da parte della magistratura, di certa magistratura che avrebbe dovuto assumere provvedimenti che non ha fatto, evidenti bugie di alcuni brigatisti che addirittura non ricordavano o non sapevano o hanno detto di non conoscere documentazioni che avevano nelle proprie tasche, ricostruzioni completamente false alle quali ha accennato anche il presidente Fioroni ? Noi non sappiamo ancora chi erano i tedeschi che stavano in via Fani perché abbiamo la certezza che in via Fani si sia parlato in tedesco, noi non abbiamo ancora la ricostruzione precisa del luogo dal quale provenivano i colpi, di chi ha sparato in via Fani. Io senza metafora ho detto che in via Fani c'erano anche le Brigate Rosse e intendo dire che certamente le Brigate rosse sono responsabili, ma con loro c'erano altri. È possibile che questa Commissione, senza un euro a disposizione, perché questa Commissione anche il pregio di aver operato senza spesa, ha riscontrato dopo 37 anni che un bar, il bar Olivetti, sempre citato come chiuso, dalla magistratura e dal giornalismo, quel giorno invece era aperto. Nel bar Olivetti c'era l'epicentro del rapimento di Aldo Moro, il bar Olivetti era frequentato da Frank Coppola, mafia siculo-americana, da Tano Badalamenti, responsabile dell'omicidio di Peppino Impastato, da Camillo Guglielmi, che era il vicecomandante generale di Gladio. Nel bar Olivetti si assemblavano armi acquistate a 8.000 e vendute a 800.000 in tutto il terrorismo mondiale. Il bar Olivetti era di due coniugi, che non erano mai stati fermati, pur presenti a Bologna nei giorni immediatamente precedenti alla strage della stazione. 
Sul bar Olivetti il dottor Armati, sostituto procuratore della Repubblica, ha detto che i carabinieri non lo hanno informato di quello che succedeva lì dentro. Il dottor Armati in Commissione ha anche detto che non era vero che il bar Olivetti era fallito, come scrivono le cronache giudiziarie: avevano detto che era fallito perché lì stava chi doveva intervenire, accanto alle Brigate Rosse. Questa Commissione, dopo che per anni si è discusso della famosa moto Honda di via Fani, è arrivata alla ricerca che è in via Fani c'erano almeno due moto Honda. Chi erano i proprietari, i conducenti di quelle due moto Honda ? Perché qualcuno continua a negare ? Perché certi armadi non si aprono ? Perché non si vuol favorire la verità ? Perché il potere, intendendo questo per il potere culturale, quello economico, quello militare, quello giudiziario, quello politico, quello ecclesiastico, non vuole la verità sul caso Moro, che sembra riguardare alcuni deputati e senatori facenti parte dall'attuale Commissione Moro, quasi fosse un fatto privatistico, e privatistico non è, perché la soluzione e la verità sul caso Moro non riguarda il passato, riguarda la speranza che questo Parlamento ha il dovere di offrire alle generazioni future. Come si fa a dire che sul caso Moro sappiamo tutto ? 
Noi abbiamo la prova, la certezza che non si sa tutto; non a caso, durante i lavori di questa Commissione – e io ringrazio tutti quelli che hanno lavorato per la Commissione, i consulenti, i dipendenti e i funzionari – sono state riscontrate negli scantinati della Procura della Repubblica di Roma svariate decine di cassette, alle quali erano allegate delle schede; su quelle schede ci sono nomi, cognomi, abitudini, usanze, indirizzi di alcuni nomi illustri della nostra Italia uccisi, da Bachelet a Tartaglione, da Amato a Minervini, e quelle schede non erano mai state decriptate e noi oggi sappiamo chi ha scritto quelle schede, una persona che non è mai stata condannata per il caso Moro e che è riuscita a dimostrare di essere entrata nella Brigate Rosse dopo il 16 marzo. Invece ci sono le prove che la notte tra il 17 e il 18 luglio a Firenze, vicino al carcere di Sollicciano, questa persona, che corrisponde al professore universitario di Siena, Giovanni Senzani, aveva ospitato dei brigatisti pluriricercati e pluriomicidi. 
Abbiamo le dichiarazioni di alcuni magistrati che in Commissione hanno detto che i provvedimenti dalla Procura Repubblica di Firenze, nonostante le pressioni di questi magistrati, non venivano eseguite in termini di arresto nei confronti di persone alle quali a casa avevano trovato lanciamissili, kalashnikov e bombe. Abbiamo la testimonianza di magistrati, che ci hanno indotto a riflettere, quando hanno detto: «Lo Stato, la comunità, può battere il terrorismo, la mafia, la camorra, la ’ndrangheta, l'ISIS, a condizione che i consulenti nostri non siano i consulenti dalla controparte» E, all'obiezione di alcuni commissari: «Ma che vuol dire» ? il povero dottor Tindari Baglioni, che è deceduto nel frattempo, ci disse che il professor Giovanni Senzani faceva il consulente al Ministero di grazia e giustizia la mattina, il pomeriggio faceva il capo delle Brigate Rosse. Chi era il professore irregolare della casa di Firenze che preparava le domande per Moro ? Certamente non Mario Moretti, semplice perito industriale di bassa cultura. Chi era l'anfitrione della casa di Firenze, che faceva questo ? Perché a via Monte Nevoso a Milano c’è stato il «caso 1» e il «caso 2» ? Perché sono state sottratte e trafugate le carte di Moro da via Monte Nevoso 1, perché la Monte Nevoso 2 è tutta una barzelletta ? Perché qualcuno ancora dubbioso non va a leggersi i verbali del Consiglio dei Ministri dei 55 giorni ?  Quando Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio, afferma che lo Stato ha deciso di non trattare, dice il falso; soltanto Leonardo Sciascia lo aveva capito. Lo Stato non ha mai discusso, all'interno del Consiglio dei Ministri, se trattare o meno e, guarda caso, l'affermazione di Andreotti corrisponde ad un'affermazione fatta dall'onorevole Ugo Pecchioli, il tutto nelle cassette registrate dal senatore Giovanni Spadolini, Fondazione Spadolini di Firenze. Nel 1991, mentre il Presidente Spadolini parla con il Presidente Cossiga, Cossiga gli dice: «Ugo Pecchioli, in nome e per conto del Partito Comunista, mi ha comunicato che, indipendentemente dall'esito dei 55 giorni, Aldo Moro è morto in via Fani». Se Democrazia Cristiana e Partito Comunista il 16 marzo dichiarano che la trattativa non si fa e che Moro è morto in via Fani, chi lo salva Moro ? Certamente non lo può salvare il generale dei carabinieri Francesco Delfino che, così come ci ha raccontato il generale dei carabinieri Nicolò Bozzo, nella prefettura di Genova era contiguo al professor Giovanni Senzani ed era contiguo alla ’ndrangheta calabrese. 
Abbiamo la presenza del Mossad che offre armi e soldi alle Brigate Rosse; abbiamo la certezza che la CIA e il KGB, che si combattevano nel mondo, erano insieme per evitare la democrazia compiuta di Aldo Moro; abbiamo la certezza che nella casa del professore universitario Giorgio Conforto il 29 maggio del 1979, lì dove vengono arrestati Morucci e Faranda e viene trovata la Skorpion che ha ucciso Moro, lì, in quella casa di uno dei più autorevoli e prestigiosi esponenti del KGB in Italia, ahimè si riscontra carta dello IOR di Marcinkus, con l'indirizzo privato di Marcinkus; si riscontra carta dell'istituto religioso Pro Deo, il cui capo è padre Morlion, che è il capo degli agenti della CIA in Italia, nonostante l'abito talare. Convergenze parallele dispregiativa: CIA, KGB, un pezzo del Vaticano. Mentre il Papa raccoglie 10 miliardi fuori dal Vaticano per salvare Moro, lo IOR di Marcinkus, filoamericano, partecipa al dramma di Aldo Moro. 
Il presidente Fioroni ha detto giustamente che alcuni atti sono coperti da segreto istruttorio, ma possiamo affermare, senza tema di smentita, che il primo ritrovo del covo di Aldo Moro, nonostante fosse stato segnalato il 17 marzo 1978 dalla Guardia di finanza (generale Giudice), non è mai stato trovato e non era certamente quello di via Montalcini ma in un'altra zona di Roma, in un palazzo extraterritoriale citato soltanto da Mino Pecorelli in un famoso articolo quando parla del palazzo a quattro o a cinque piani. Sappiamo anche che in quel palazzo extraterritoriale ci sono delle abitazioni riconducibili a due cardinali e uno di questi è Marcinkus; sappiamo che in quel palazzo c’è una società riconducibile alla CIA; sappiamo anche che un professore universitario attendeva Moro lì, con un'evidente parrucca di donna. Oggi stiamo sapendo queste cose nella totale distrazione di quanti non vogliono capire, non vogliono sentire e non vogliono vedere. Perché lo facciamo ? Per l'ambizione folle di resuscitare un cadavere ? No ! Lo facciamo per dare giustizia a quella persona, lo facciamo per dare giustizia agli eredi dei figli dei poliziotti e dei carabinieri selvaggiamente uccisi in via Fani; lo facciamo nella speranza che siano stati uccisi solo dai brigatisti, ma abbiamo la sensazione, direi quasi la certezza, che quelle mani sporche, che hanno ucciso quelle cinque persone, non erano soltanto quelle delle Brigate Rosse. 
Abbiamo il dovere, quindi, di consegnare al Paese la verità, non la nuova verità, ma la verità, perché è la verità sulla quale si è basato il caso Moro finora è frutto di un memoriale Morucci-Faranda scritto elegantemente da un giornalista, Remigio Cavedon, che era il condirettore de Il Popolo, il giornale della Democrazia Cristiana. Attenzione, però: nel caso Moro mai generalizzare; sono i singoli che hanno agito. I singoli erano: Paolo VI, che definì Aldo Moro un uomo amico, mite e buono; i singoli erano quelli che erano per la trattativa, quelli che volevano trattare; i singoli erano quelli che con il loro comportamento accompagnarono questo dramma che non è ancora finito, perché tutt'oggi noi siamo in assenza di una democrazia compiuta. 
Moro diceva: «Questo Paese non si salverà. La stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non sorgerà un nuovo senso del dovere». Questa è una frase che ha detto durante la infuocata campagna elettorale del 1976, quella del temuto sorpasso dei democristiani o dello sperato sorpasso del Partito comunista, quella campagna elettorale contraddistinta da «otturatevi il naso e votate DC» di Indro Montanelli che non disdegna per Il Giornale, così come non disdegna La Repubblica nello stesso anno, di acquisire finanziamenti inglesi finalizzati a combattere la politica morotea. Su tutto questo pesa Yalta, su tutto questo pesa il ruolo nebuloso della P2, trasversale rispetto a tutte queste omissioni, a queste disfunzioni, a queste verità-bugia. Io credo che la Commissione di inchiesta «Moro 2» abbia contribuito in maniera ampia, molto ampia, ad estrarre il cadavere di Moro dalla Renault 4. C’è stato qualcuno che quella Renault ha tentato di blindarla; noi abbiamo estratto un cadavere e con quel cadavere abbiamo estratto anche le grandi bugie. 
Concludo dicendo che non è possibile, se pensiamo alla Renault, che quattro uomini, quattro brigatisti, Morucci, Moretti, Maccari e Gallinari, si autoaccusino dell'omicidio Moro. Dicono di averlo effettuato nella Renault 4, ma tutta la testimonianza probatoria dell'omicidio non corrisponde: non corrispondono le impronte sulla Renault, non corrispondano i colpi, il numero dei colpi, il numero dei colpi silenziati, le traiettorie, il luogo dove è stato ucciso Moro, che certamente non è il cofano della Renault, così come certamente non è via Montalcini il luogo nel quale è stato Moro, perché in quel luogo una persona che fosse stata tenuta per 55 giorni ne sarebbe uscita martoriata non solo nell'animo ma anche nel fisico e nelle ossa. Invece, l'autopsia ci dice che Moro era in condizioni eccellenti, ci dice che era abbronzato, ci dice che aveva le ossa in una condizione direi quasi atletica. L'autopsia ci dice anche un'altra cosa: che rispetto a quanto dichiarato dei brigatisti: «Moro è morto sul colpo», i RIS, attraverso il colonnello Ripani, in Commissione hanno dimostrato che sul bavero sinistro della giacca di Moro c'era un rigurgito salivare deglutito 40 minuti dopo la sparatoria, ma da Moro vivo. Moro è stato rinchiuso nel cofano dalla Renault quando era ancora vivo. Ecco perché io ritengo, da un lato, di sottolineare la valenza e la funzione dell'iniziativa legislativa voluto dal Partito Democratico quando ha presentato la proposta di legge, peraltro firmata da quasi tutti i gruppi presenti in Parlamento, e sottolineare la funzione positiva del lavoro della Commissione che, sono certo, continuerà alacremente fino a fine legislatura, non per dire un'altra verità ma per raccontare al Paese la verità, in quanto quella che è emersa sinora non lo era affatto.