Data: 
Mercoledì, 26 Aprile, 2017
Nome: 
Stefania Covello

Doc. LVII, n. 5

Grazie, signor Presidente. Come già detto dalla nostra relatrice, onorevole Simonetta Rubinato, e aggiungendo anche di mio, sento di dire che il DEF è un atto politico e naturalmente è un atto politico di un Governo che mostra grande serietà nell'affrontare una fase non semplice dell'economia nazionale, in un quadro internazionale complesso. Si muove in coerenza con un approccio riformista, in cui l'ordine dei conti pubblici si coniuga con la indispensabile necessità di rilanciare misure di crescita e di sviluppo.

Naturalmente, nell'ultimo anno abbiamo registrato risultati sicuramente positivi per occupazione e PIL e questo ci conforta a proseguire nel solco delle riforme portate avanti nel corso di questa legislatura. Certo, ci sono criticità che dobbiamo affrontare e su cui dobbiamo agire con maggiore incisività; penso, per esempio, alla lotta alla povertà e al reddito di inclusione, che in questo DEF hanno un'evidente centralità.

Negli anni della crisi, purtroppo, il numero degli indigenti è aumentato e si è stabilizzato intorno all'11 per cento della popolazione. È un dato considerevole, che non può essere strumentalizzato, però, ai fini elettorali. Si possono fare le marce per i redditi di cittadinanza, ma bisogna essere onesti intellettualmente e avere rispetto delle persone e delle famiglie in difficoltà e dire che quella proposta non è sostenibile.

Nel Piano delle riforme noi prevediamo una misura a sostegno di chi è in difficoltà e la accompagniamo in un programma di recupero verso un reinserimento sociale e occupazionale. Di certo, non assecondiamo rigurgiti neoassistenzialisti, che appartengono al MoVimento 5 Stelle, e di certo, poi, non ci facciamo scudo della sofferenza per prendere consensi.

Ma il DEF non è solo questo: è il rilancio degli investimenti pubblici, non con l'elenco di opere irrealizzabili, ma concentrando risorse per quelle effettivamente concretizzabili. Sembra un'ovvietà, ma non è così.

Ogni tanto, a destra, sembrano immemori degli elenchi delle grandi opere con cui, nei loro anni di Governo, hanno illuso i territori senza alcun riscontro concreto.

Vogliamo dirlo questo? Noi sì che lo diciamo; lo diciamo! Ecco perché in questi anni abbiamo cambiato il paradigma sulle opere pubbliche. Vogliamo intervenire e realizzare solo quelle che servono, è il modo migliore per non disperdere risorse preziosissime. Le linee qualificanti del DEF si sviluppano, poi, nel potenziamento della pubblica amministrazione, della ricerca, della formazione, della lotta all'evasione fiscale, che mai come in questi anni ha avuto un così rilevante impulso, come dimostrano i risultati conseguiti. Una riflessione vorrei dedicarla, però, al Mezzogiorno, intanto per ricongiungermi a quanto detto stamattina dal Presidente Gentiloni a Benevento. Proprio stamattina il Presidente del Consiglio ha affermato, e condivido pienamente ciò che ha detto, che siamo in un contesto senza precedenti per il Mezzogiorno, se pensiamo alla decontribuzione che riguarda l'occupazione giovanile, se pensiamo al credito d'imposta e a tutto quello che è stato fatto proprio con un lavoro iniziato magistralmente da Matteo Renzi, che dopo vent'anni di buio politico ha reso finalmente protagonista dell'agenda politica il Mezzogiorno.

E Gentiloni continua magistralmente, coerentemente, politicamente sul piano istituzionale e sul piano delle risorse finanziarie. In questi anni abbiamo rotto il tetto di cristallo che sovrastava questo argomento, lo abbiamo sdoganato e abbiamo restituito centralità, come dicevo prima, nell'agenda politica. Dobbiamo proseguire nell'attuazione dei patti siglati con regioni e città metropolitane, come recitano i masterplan, smentendo quanti inutilmente polemizzano. Le risorse ci sono ed è tempo, quindi, che tutti i soggetti istituzionali, a partire dalle regioni, facciano il loro compito, perché non ci siano più alibi. Il rilancio dell'economia del Mezzogiorno è fondamentale per il Paese.

Abbiamo la possibilità di spendere nei prossimi anni 95 miliardi di euro: una cifra straordinaria, che mai nessuno aveva messo prima. Sappiamo che in questi giorni si polemizza, parlando di aumento IVA e di privatizzazioni, il tutto in chiave prettamente strumentale. Non cadremo nella trappola delle provocazioni artatamente create, ma, al tempo stesso, deve essere chiaro che il Partito Democratico non sarà il partito delle tasse dirette e indirette. L'Italia non ha bisogno di vecchie ricette, nessuno più di noi si è assunto la responsabilità di non far naufragare il Paese, di non esporlo alle speculazioni finanziarie. Abbiamo fatto non solo i compiti a casa, ma abbiamo dimostrato anche a quelli che si consideravano secchioni che forse da noi hanno da imparare; hanno da imparare dalla creatività dei nostri imprenditori, dalla qualità dei nostri prodotti, da quel made in Italy che consente alla nostra bilancia commerciale di avere un avanzo primario che non ha eguali in Europa, e lo rivendichiamo con orgoglio. Il PD è un partito patriota, che non oscilla tra nazionalismi sciovinisti e post ideologismi virtuali, per come abbiamo visto fare anche ieri nella Giornata della liberazione del 25 aprile. Noi, con responsabilità, vogliamo bene al nostro Paese e non siamo così autolesionisti da auspicare catastrofi pur di vincere. No, coesione e crescita sono le parole che ci appartengono, che vogliamo che ci appartengano, che appartengano all'Italia e al Mezzogiorno; sono le parole chiave per andare avanti, e, quindi, per arrivare da coesione e crescita alla parola più importante per noi, che è quella: lavoro, lavoro, lavoro per i giovani.

Per questo, il Partito Democratico condivide il DEF e sostiene l'azione del Governo, consapevoli delle difficoltà di questo tempo. Il risultato francese ci dimostra che i populismi si battono con la serietà delle proposte riformiste; del resto, questo è il nostro DNA, per come ci viene riconosciuto, per come noi lo riconosciamo. E, quindi, ecco che convintamente noi sosteniamo il DEF e andremo avanti fino in fondo. Negli ultimi vent'anni, e soprattutto nel 2011, l'Italia era sul tracollo finanziario: ebbene, per vent'anni abbiamo visto sempre un segno meno 2, oggi noi vediamo un segno più 1.

Questo è segno e frutto di un lavoro enorme fatto dal Governo negli ultimi tre anni e mezzo, e quindi sappiamo bene che è un segno debole, ma questo segno più 1 non può che ancora di più convincerci ed incoraggiarci a voler continuare in questa politica di crescita che vede l'Italia finalmente in una rinascita.