Data: 
Lunedì, 16 Ottobre, 2017
Nome: 
Fabrizia Giuliani

Mozione 1-01716

Discussione generale

Grazie Presidente, il contrasto alla violenza contro le donne, tema che qui affrontiamo, è stato più volte al centro della discussione parlamentare nel corso di questa legislatura.

Una discussione che ha prodotto atti legislativi, norme di contrasto e prevenzione importanti che qui proverò a ripercorrere. Ma prima di dare avvio a questa ricognizione vorrei svolgere due ordini di considerazioni, perché aiutano a dare il senso del cammino compiuto e della direzione che ad esso abbiamo provato ad imprimere.

1) Ci troviamo spesso a ricordare, con orgoglio come il primo atto della legislatura si stata la Ratifica della Convenzione d'Istanbul. Un atto che ha sanato un vulnus lasciato aperto nel corso della scorsa legislatura.

Basterà ricordare che il Senato, allora, chiamato a decidere sul tema non poté procedere perché privo di Presidenza. Fatto quanto mai desueto, ma che bene restituisce la misura della rilevanza attribuita al tema. È lecito chiedersi se una simile assenza sarebbe stata tollerata per altri provvedimenti, quali altre questioni avrebbero consentito una Presidenza scoperta.

Ma fu, quella, un'assenza registrata dall'opinione pubblica, dai movimenti delle donne che aspettavano la Ratifica con impazienza, che ne conoscevano il contenuto e il valore.

Ecco, abbiamo allora insieme sanato una ferita, nel rapporto tra istituzioni e opinione pubblica, e lo abbiamo fatto insieme, oltre le appartenenze.

Ho voluto ricordare questo episodio anche per un'altra ragione, per sottolineare quanto quel gesto rappresentasse per noi un atto politico preciso, una scelta, l'indicazione di un cammino nel solco europeo.

Istanbul concludeva un percorso politico, normativo, giuridico di cui erano state protagoniste le donne: singole, movimenti, associazioni che avevano portati all'attenzione delle Istituzioni europee il tema della violenza di genere. Dalla Raccomandazione, che metteva al centro la protezione delle donne, approvata dal Consiglio nel 2002 (Rec 5/2002) alla Convenzione d'Istanbul (2011) non passano solo nove anni, ma una lunga stagione di battaglie culturali, politiche e giuridiche. La Convenzione non è stata un esito né scontato né facile.

Nella Rec confluivano studi e acquisizione internazionali volti a mettere in evidenza la correlazione tra diseguaglianza, discriminazione e violenza. Abusi e soprusi uscivano dal cono d'ombra dell'ambito domestico, privato, e anche da quello della definizione di un generico problema sociale e venivano finalmente inquadrati nella giusta dimensione, ossia nella dimensione politica. Sulla scorta di lavori confluiti nei trattati internazionali, finalmente si mettevano punti fermi, si affermava che la violenza di genere è un problema strutturale, proprio di società fondate su rapporti impari di potere tra donne e uomini. Di qui la necessità di coinvolgere gli uomini nella rimozione degli ostacoli all'uguaglianza di genere sociale politica e culturale.

Seppure qui si trova una tappa decisiva sul piano culturale simbolico e politico, se qui si trova una prima importante definizione giuridica del fenomeno, la natura non vincolante di questo atto si limita ad indicare una priorità agli Stati senza esplicare effetti diretti negli ordinamenti, siamo sul piano della soft law.

Diversa cogenza ed efficacia ha invece lo strumento della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, aperta alla firma nel maggio del 2011, dove si afferma che il raggiungimento dell'uguaglianza di genere de iure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza di genere, che essa è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali, che hanno portato alla dominazione degli uomini sulle donne e impedito la loro emancipazione, si riconosce altresì la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere e in quanto meccanismo sociale cruciale per mezzo del quale le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.

In essa sono racchiuse dunque istanze fondamentali, ma voglio sottolineare la novità dell'approccio metodologico di questo testo: la Convenzione esorta a far procedere in parallelo la prevenzione della violenza, la protezione delle vittime, la repressione dei crimini.

Non si apre tra questi piani una gerarchia. Troppo spesso la politica, da noi, dentro e fuori le istituzioni, si è divisa sostenendo priorità o primazie, o addirittura sostenendo l'esclusività di un piano sull'altro. Errori gravi, da non ripetere.

Far giocare i livelli l'uno contro l'altro – prevenzione vs repressione – ha depotenziato l'azione e costretto la discussione su un piano sterile. I fatto, l'esperienza che abbiamo di questi fenomeni ci dicono che è tempo di mandare in soffitta approcci ideologici datati.

Che ogni volta che è prevalsa la separazione tra questi piani la politica ha mancato la sintesi, mostrando la sua impotenza.

Che ogni volta che si è ridotta la violenza ha un fenomeno ‘solo' culturale o solo repressivo le cose sono rimaste com'erano e le donne, le donne ne hanno fatto spesa.

Veniamo al nostro paese, i dati sono noti: secondo l'ultimo report pubblicato dall'Istat nel 2015, nel nostro Paese il 31,5% delle 16-70enni (stiamo parlando di quasi 7 milioni di donne) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.

Lo studio conferma inoltre una delle verità allo stesso tempo più conosciute e difficili da affrontare e prevenire, ovvero che “le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici”.

I dati sono impietosi: nel 62,7% dei casi gli stupri dichiarati sono stati commessi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Un'evoluzione confermata anche per quel che riguarda le violenze fisiche come schiaffi, calci, pugni e morsi, mentre gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali.

Abbiamo anche segnali incoraggianti, ma resta che i femminicidi sono stabili presentano maggior incidenza, mentre gli omicidi calano.

Nel corso di questa legislatura, seguendo il solco tracciato dalla Convenzione di Istanbul, abbiamo messo in campo un ampio e innovativo spettro di interventi legislativi, i quali – inserendosi anche nel quadro legislativo europeo predisposto dalla Direttiva sulle vittime di reato, della tutela delle vittime vulnerabili – hanno avuto come obiettivo principale quello di migliorare la condizione delle vittime di violenza offrendo loro strumenti per una maggiore protezione e per garantire una giustizia più rapida e certa.

La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, è stata aperta alla firma nel maggio 2011 (e ratificata da questo Parlamento nel 2013), con l'obiettivo di fornire – allo stesso tempo - una protezione “nel” e “dal” processo, attraverso l'elaborazione di specifici strumenti informativi e processuali.

Ed è proprio sulla scorta dei principi della Convenzione, che la legge n. 119 del 2013 ha introdotto profonde modifiche processuali a tutela della vittima, riconducibili essenzialmente a tre filoni: quello informativo, quello delle misure cautelari personali e quello riferibile alle modalità di assunzione delle dichiarazioni della persona offesa.

L'obiettivo che si è perseguito è stato duplice: da un lato quello di rafforzare gli strumenti repressivi, secondo un disegno che tenga specificamente conto delle caratteristiche delle violenze di genere. Dall'altro si è cercato di migliorare gli strumenti volti a tutelare la vittima.

Questo ha significato non tanto il varo di nuove fattispecie, quanto la creazione di apposite circostanze aggravanti volte a tutelare le persone vulnerabili (donne e minori in particolare) contro i fenomeni di violenza.

Con l'approvazione della legge contro la violenza sulle donne, per la prima volta abbiamo definito con chiarezza la centralità e la peculiarità della violenza compiuta entro le mura domestiche da chi ha vincoli familiari o affettivi con la persona colpita.

Un risultato che reputo particolarmente importante, non solo per le donne, ma per la coscienza civile del Paese.

Si è cercato inoltre di sostenere le donne e i minori coinvolti nella fase processuale, assegnando loro un protagonismo finora inedito: modalità protette nei processi per le testimonianze, gratuito patrocinio a spese dello Stato, dovere di comunicare del giudice rispetto alle modifiche delle misure cautelari, processi più rapidi e l'estensione del permesso di soggiorno alle donne straniere vittime di violenza domestica slegato dal permesso del marito, irrevocabilità della querela per le situazioni particolarmente gravi di stalking; infine la consapevolezza dell'importanza del capitolo della prevenzione, che dovrà essere applicato, finanziato e adeguatamente potenziato.

Permettetemi di ricordare che il provvedimento (approvato da questo Parlamento) prevede nello specifico:

- un'aggravante per i delitti contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale nonché per i maltrattamenti in famiglia, da applicare se i fatti sono commessi in danno o in presenza di minori;

- la modifica del reato di atti persecutori (art. 612-bis, c.d. stalking), con particolare riferimento al regime della querela di parte: la querela è irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate e aggravate, in tutti gli altri casi, comunque, una volta presentata la querela, la rimessione potrà avvenire soltanto in sede processuale. Il delitto resta perseguibile d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio;

- di poter disporre intercettazioni quando si indaga per stalking;

- la misura di prevenzione dell'ammonimento del questore anche per condotte di violenza domestica, sulla falsariga di quanto già previsto per il reato di stalking;

- l'allontanamento - anche d'urgenza - dalla casa familiare e l'arresto obbligatorio in flagranza dell'autore delle violenze.

- specifici obblighi di comunicazione da parte dell'autorità e della polizia giudiziaria alla persona offesa dai reati di stalking e maltrattamenti in ambito familiare nonché modalità protette di assunzione della prova e della testimonianza di minori e di adulti particolarmente vulnerabili;

- l'inserimento dei reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e stalking tra quelli che hanno priorità assoluta nella formazione dei ruoli d'udienza;

- l'estensione del gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito alle vittime dei reati di stalking, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili;

- l'elaborazione di un Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, per il quale è sono già state previste apposite risorse nelle passate leggi finanziarie, prevedendo azioni a sostegno delle donne vittime di violenza, con lo scopo di affrontare in modo organico e in sinergia con i principali attori coinvolti a livello sia centrale che territoriale il fenomeno della violenza contro le donne.

Vorrei inoltre ricordare che nell'ultimo triennio siamo intervenuti sul piano cautelare, creando appositi filtri fra accusato e offeso, nelle ipotesi in cui la vita e l'incolumità della vittima possano essere poste a repentaglio dalla libertà dell'imputato.

La legge di bilancio 2017 ha inoltre destinato all'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti contro la persona le somme dovute a titolo di sanzione pecuniaria civile, le quali, anziché essere devolute alla Cassa delle ammende, confluiranno nel Fondo di rotazione, per la specifica destinazione all'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti.

La legge europea 2015-2016 ha poi dato attuazione alla direttiva 2004/80/CE, in materia di indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, ponendo fine alla procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea per il non corretto recepimento della direttiva (C-601/14).

Vorrei non essere fraintesa, questo non significa in alcun modo che il problema della violenza di genere sia stato risolto o che non sia attuale. Mi sono permessa di ricapitolare alcune misure importanti approvate nel corso di questa legislatura esclusivamente per ricordare a tutti noi che non partiamo da zero ma che anzi con molta fatica siamo riusciti a delineare una strada molto precisa sulla quale inserire e potenziare gli strumenti normativi e finanziari a disposizione del nostro Paese per contrastare la violenza di genere.

Un percorso che credo debba essere condiviso con il più ampio numero possibile di forze parlamentari - oltre che con le altre istituzioni e soggetti direttamente e quotidianamente coinvolti nella prevenzione e nel contrasto della violenza di genere.

Occorre poi proseguire e concretizzare alcune misure già approvate negli scorsi mesi da quest'aula. Innanzitutto penso sia fondamentale procedere con la definizione delle linee guida, previste dall'art. 1, commi 790 e 791, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 per rendere operativo a livello nazionale il percorso di protezione denominato “Percorso di tutela delle vittime di violenza, con la finalità di tutelare le persone vulnerabili vittime della altrui violenza, con particolare riferimento alle vittime di violenza sessuale, maltrattamenti o atti persecutori (stalking). Un percorso che ha già trovato attuazione in alcune regioni del nostro Paese attestandosi come una “buona pratica” riconosciuta nella prevenzione, nel contrasto e nell'emersione della violenza di genere. In Toscana, terra in cui nasce ha consentito risultati straordinari sul piano dell'emersione, la piaga più grande se consideriamo che, il 23,5% delle donne non parla con alcuno della violenza subìta dai partner precedenti, quota che aumenta al 39,9% nelle violenze da partner attuale. Lo fanno prevalentemente con amici (35%), familiari (33,7%) o altri parenti (11,2%), ma anche con carabinieri, polizia, avvocati o magistrati (6,7%), colleghi o superiori (1,5%), medici o infermieri (1,4%), operatori del pronto soccorso (1,2%), assistenti sociali (1,1%). Inoltre il 3,7% si è rivolta a un centro antiviolenza o a un servizio per il supporto delle donne e il 12,3% ha denunciato la violenza alle forze dell'ordine. Tra le donne che hanno subìto violenza, tuttavia, il 12,8% non sapeva dell'esistenza dei centri antiviolenza o dei servizi o sportelli di supporto per le vittime. Soltanto il 35,4% delle donne che hanno subìto violenza fisica o sessuale nel corso della vita ritiene di essere vittima di un reato, il 44% sostiene che si è trattato di qualcosa di sbagliato ma non di un reato, mentre il 19,4% considera la violenza solo qualcosa che è accaduto

In secondo luogo - come ho già avuto modo di affermare a più riprese – bisogna procedere con l'approvazione definitiva del disegno di legge recentemente approvato dalla Camera - e ora all'esame del Senato - volto a rafforzare le tutele per i figli rimasti orfani a seguito di un crimine domestico, che riconosce tutele processuali ed economiche ai figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti della vittima di un omicidio commesso dal coniuge, anche legalmente separato o divorziato; dalla parte dell'unione civile, anche se l'unione è cessata; da una persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza con la vittima. Il provvedimento contiene inoltre una, a mio avviso importantissima, modifica del codice penale intervenendo sull'omicidio aggravato dalle relazioni personali, di cui all'art. 577 c.p. che, rispetto alla norma vigente, che punisce l'uxoricidio (omicidio del coniuge) con la reclusione da 24 a 30 anni (la pena base per l'omicidio non può essere inferiore a 21 anni di reclusione), il provvedimento aumenta la pena ed estende il campo d'applicazione della norma. Modificando l'art. 577 c.p., infatti, è prevista la pena dell'ergastolo se vittima del reato di omicidio è il coniuge, anche legalmente separato; la parte dell'unione civile; la persona legata all'omicida da stabile relazione affettiva e con esso stabilmente convivente. Il provvedimento equipara la pena per l'uxoricidio e ne estende l'applicazione al rapporto di unione civile e alla convivenza, prevedendo l'ergastolo in caso di attualità del legame personale. Questa norma ha profonda valenza culturale, archivia definitivamente la cultura del delitto d'onore che ‘proteggeva' il coniuge impedendogli l'accesso all'aggravante. E' una norma essenziale per colpire il femminicidio, per questo non possiamo che augurarci che il Senato approvi rapidamente e Forza Italia riveda la propria posizione contraria, dato che qui alla Camera il provvedimento è uscito, lo ricordo, all'unanimità.

Credo sia poi opportuno richiamare anche la proposta di legge sul regime di procedibilità del delitto di atti sessuali con minorenne, già approvata dalla Camera e ora all'esame del Senato, la cui finalità è quella di assicurare una più completa tutela ai minori vittime di abusi sessuali; a ben vedere, infatti, quando la vittima del reato di atti sessuali è un minore di età compresa tra 10 e 14 anni, il delitto è procedibile a querela, con tutte le difficoltà ed i ritardi connessi all'esercizio del diritto di querela da parte di un minorenne.

Altra questione da affrontare al più presto e sulla quale stiamo lavorando insieme ai colleghi della Commissione Giustizia, è quella relativa la limitazione dell'accesso al rito abbreviato - con il conseguente sconto di pena - per i colpevoli di reati gravi puniti con l'ergastolo. Molti, troppi, sono i casi di femminicidio o violenze che si sono risolti con pene molto ridotte in virtù del rito scelto dagli imputati.

La ricerca di un migliore equilibrio tra i diritti delle vittime e le garanzie dell'imputato, credo rappresenterà un altro campo fondamentale di confronto parlamentare.

Come avrete potuto notare si tratta, per la quasi totalità, di misure già approvate da quest'aula e sulle quali ci siamo già ampiamente confrontati.

Per questa ragione credo si debba concentrare il nostro sforzo per cercare di terminare questa legislatura con un quadro normativo ampiamente rafforzato per quanto riguarda la tutela delle vittime di violenza ed il contrasto di quest'ultima.

Le condizioni per farlo sono:

1) il venir meno di logiche di appartenenza: la violenza è battaglia di tutti, battaglia di civiltà e crescita di un paese. Questo testimoniano le conquiste legislative che abbiamo dietro le spalle.

2) Farne non più una battaglia di donne, ma di tutti. Donne e soprattutto uomini, perché il cambiamento riguarda soprattutto loro.

È vero la cronaca mette continuamente sotto gli occhi casi drammatici, ma dobbiamo registrare anche reazioni importanti. La battaglia contro l'hate speech e il sessismo, e da ultimo l'onda delle denunce di molestie in seguito al caso Weisman. Il racconto di tante donne, nel nostro paese come altrove, è un racconto che restituisce un quadro triste. Ma è anche il segno di una reazione, di una reazione che si è imposta e nessuno ha più potuto negarne l'entità. Quest'onda deve trovare una sponda nelle istituzioni, nella politica, solo così si possono fare passi avanti significativi, per la vita delle donne e per l'equilibrio civile di tutto il Paese.