Discussione sulle linee generali
Data: 
Lunedì, 18 Luglio, 2016
Nome: 
Manuela Ghizzoni

A.C. 1159-A

Grazie, signor Presidente, onorevoli colleghi. Il 29 giugno abbiamo approvato in questa stessa Aula una mozione sull'accesso all'università, un obiettivo che purtroppo per decine di migliaia di giovani all'università appunto è fuori dalla propria portata. Il Governo su questo aspetto ha preso degli impegni molto importanti approvando e accogliendo questa mozione, ma ne riparliamo, diciamo prematuramente, e torniamo quindi sul tema, avendo oggi al nostro esame una proposta di legge che chiamerò per comodità «proposta di legge Vacca». Non ho tempo per ripetere dati che abbiamo discusso in seno alla mozione; il punto fondamentale però, che è stato citato anche dalla relatrice è che l'Italia è l'ultima di tutti i Paesi OCSE, non soltanto dell'Europa, per numero di laureati rispetto alla popolazione anche nelle fasce più giovani. Quindi, senza incentivare con opportune misure il conseguimento della laurea, soprattutto per i ceti meno abbienti che ne sono ovviamente più lontani, ma anche per il ceto medio impoverito dalla lunga crisi economica, che quindi fa sempre più fatica a mandare i figli all'università, lasceremo ovviamente bloccato l'ascensore sociale e rimarremo sempre più fanalino di coda a livello internazionale. Una prima misura sarebbe l'esonero dal pagamento delle tasse universitarie al di sotto di un certo livello di reddito e patrimonio familiare, non a caso, uno degli impegni presi dal Governo – in questo caso il collega Gallo ha dimenticato evidentemente di ricordarlo – nell'accogliere la mozione è di modificare la disciplina vigente sulla contribuzione studentesca alle università statali, stabilendo che tutti gli studenti con ISEE al di sotto di una determinata soglia abbiano l'esenzione dal pagamento della contribuzione, in altre parole la no tax area. Ebbene, la proposta di legge al nostro esame dispone, anche se in modo però residuale su quest'ultimo aspetto, rispetto in realtà al tema centrale della legge una soglia di esenzione per gli studenti universitari che abbiano un ISEE al di sotto degli 11.000 euro. Si registrerebbe quindi una unità di intenti tra l'impegno governativo che abbiamo preso qui il 29 giugno e la proposta Vacca e quindi una sorta di contraddizione con il mandato alla relatrice a riferire in senso contrario in Aula. Ma come ha anche già spiegato la collega Ascani non vi è alcuna contraddizione, quanto piuttosto la volontà precisa e forte della Commissione di rispettare un impegno che è stato qui assunto con una norma che sia organica, che sia completa e che sia equa sulla base di un'analisi consapevole di tutte le questioni in gioco. Per spiegare questo punto di vista che ovviamente in alcuni aspetti è molto divergente dal relatore di minoranza, voglio illustrare il mio punto di vista che ho seguito queste vicende fin dall'inizio, cercando soprattutto di colmare le omissioni del collega Gallo. La proposta Vacca, come dicevamo, è vero, è stata incardinata nell'estate del 2013; ha però come oggetto principale il ripristino della formulazione originaria di una norma – è una vecchia norma del 1997 – che regolamenta gli importi delle contribuzioni universitarie, fissandole complessivamente per ogni singolo ateneo al massimo, al 20 per cento dei finanziamenti statali ricevuti (comma 1, articolo 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 306). Il Governo Monti – come è stato ricordato da chi mi ha preceduto – intervenne su questa norma, escludendo dal calcolo delle tasse pagate gli studenti fuori corso. In questo modo il rapporto da rispettare (questo 20 per cento) diventa più facilmente raggiungibile, in particolare da quegli atenei che lo sforavano stabilmente – ne avevamo alcuni – e non solo e non tanto per mala gestione o per una insensibilità sociale verso gli studenti, ma soprattutto, dal 2008 in poi, per la costante insufficienza dei finanziamenti statali. 
Da parlamentare, io allora mi opposi a questa modifica del Governo Monti perché la giudicavo un éscamotage tecnico a favore dei bilanci degli atenei, che però di fatto – e questa è la cosa più importante – alleggeriva le responsabilità del Governo rispetto al finanziamento del sistema universitario e rischiava di scaricarsi, di far ribaltare tutto sugli studenti, soprattutto i fuori corso.
Se questo non è avvenuto e cioè se gli studenti non hanno pagato questo carico contributivo maggiore, lo si deve solo ad una sorta di moratoria che introducemmo noi con il lavoro parlamentare e poi con un impegno assunto direttamente dalla Conferenza dei rettori, un impegno che devo dire è stato onorato, ma che si è concluso con questo anno accademico in corso. In più – lo voglio ricordare – una recente sentenza che riguarda l'Università di Pavia ha messo in dubbio addirittura la stessa legittimità di questo provvedimento. Se ne potrebbe dedurre allora che dovrei essere favorevole al ripristino della norma originaria, cosa che dissi all'inizio della discussione nel settembre 2013, ma c’è un però che vorrei spiegare. La prima preoccupazione del legislatore dovrebbe essere quella di garantire il principio di una contribuzione equa e progressiva. Il decreto del Presidente della Repubblica che ho richiamato, il n. 306, per la verità dispone questa norma, però assolutamente inapplicata. E che cosa dice ? Che le università devono graduare l'importo dei contributi universitari secondo criteri di equità e solidarietà in relazione alle condizioni economiche dell'iscritto, utilizzando metodologie adeguate a garantire un'effettiva progressività. Ma la norma del 20 per cento, tanto nella sua variante originaria, cui vuole ritornare il MoVimento 5 Stelle, quanto in quella attuale non ha mai garantito e non può garantire equità e solidarietà. Proverò a spiegare perché – e mi dispiace che ancora i colleghi 5 Stelle, dopo mesi di discussione non l'abbiano ancora assunto come principio –: non può perché questa norma, non solo non è mai stata rigidamente applicata e peraltro – lo sappiamo – è difficilmente verificabile a posteriori, ma il problema è che per un ateneo dover rispettare un rapporto numerico budgettario, sull'intero budget – traduco – è una cosa diversa che non andare invece a predisporre a priori una regola di contribuzione che adegui la contribuzione richiesta ad ogni singolo studente in modo progressivo rispetto alla ricchezza reale della sua famiglia e quindi alla sua reale capacità di contribuire alla copertura del costo dei servizi offerti dall'università. Questo è il punto dirimente. Il nostro sistema contributivo quindi nei fatti è né equo, né solidaristico e il nostro Paese infatti è il terzo Paese in Europa per carico fiscale e sugli studenti e per giunta il carico si addensa spesso in modo piatto sulle fasce più numerose di studenti, che sono quelle provenienti da famiglie a reddito medio. Come Partito Democratico, quindi, abbiamo cercato una soluzione che ottemperasse realmente ai principi di equità e di solidarietà e garantisse quindi un vantaggio reale agli studenti in maggiore difficoltà economica. È un cambio reale di prospettiva; non riportare indietro le lancette dell'orologio sul rapporto del 20 per cento, ma concentrarsi semmai sulla progressività della contribuzione, annullandola per le fasce a basso reddito. Quest'ultimo punto – come dicevo – è presente anche nella proposta Vacca ma in posizione residuale rispetto all'impianto generale, che resta invece pienamente confermato nonostante i difetti del sistema del cosiddetto 20 per cento, e abbiamo prove ormai da vent'anni in questo senso.
Per noi invece è diventato il vero bandolo della matassa, memori peraltro delle analisi accurate e propositive condotte da molte associazioni studentesche, con le quali anche noi parliamo, dall'Udu, nella sua mozione congressuale, dall'Arum durante l'audizione in Commissione 2013, dalla Link in una recente campagna pubblica. Così, grazie all'ascolto di queste voci a partire dalle audizioni svolte nell'autunno e nell'inverno del 2013-2014, grazie a un lavoro certosino – mi permetto di dirlo – di analisi sulle contribuzioni universitarie deliberate da molti atenei italiani alla loro comparazione anche con quanto avviene negli altri Paesi europei, come Partito Democratico, abbiamo elaborato una proposta di legge a mia prima firma che, nel luglio del 1014, abbiamo chiesto venisse abbinata a quella del collega Vacca. È stato anticipato – ma lo faccia fare anche a me, signor Presidente – vorrei riprendere brevemente i capisaldi di questa nostra proposta: una no tax area sotto i 21.000 euro di ISEE, garantire gradualità e progressività della contribuzione nella fascia tra 21.000 e 30.000 euro di ISEE – di questo non vi è traccia nella legge Vacca – porre un limite massimo di 900 euro al valore medio della contribuzione, rapportandola al reddito medio della regione e rimborsare le università del mancato introito dovuto all'introduzione della no tax area che avevamo fissato a 300 milioni. 
Io la ritengo una proposta ancora oggi innovativa, quasi rivoluzionaria, certamente molto ambiziosa, in grado di avvicinarci all'Europa. Essa fu accolta con favore o comunque con benevolenza dagli studenti, sebbene non tutti (segnalarono criticità sulla regionalizzazione della contribuzione); di converso, non lo nego, suscitò perplessità tra chi ha responsabilità di gestire gli atenei ed ancora di più tra chi ritiene che la contribuzione universitaria abbia un valore «educativo», cioè uno strumento per sollecitare gli studenti a non accumulare ritardi nel proprio percorso di studi. 
In realtà, io ritengo che siano molti altri i fattori che incidono sulla regolarità degli studi, ma su questo tema tornerò in chiusura del mio intervento. 
Devo dire che anche l'atteggiamento del Governo non fu incoraggiante, è stato ricordato: infatti, la ministra Giannini venne e fu ospite del Comitato ristretto nel novembre del 2014 e le sue valutazioni determinarono una lunga sospensione dei lavori, lavori che sono ripresi solo nel maggio di quest'anno, grazie allo stimolo esercitato dal gruppo del MoVimento 5 Stelle, che, utilizzando le prerogative regolamentari a garanzia delle minoranze, ha chiesto ed ottenuto di inserire la cosiddetta PdL Vacca nel calendario dei lavori d'Aula. 
Io non no nessuna difficoltà, perché l'ho ribadito in Commissione, a riconoscere che è stata questa scelta del MoVimento 5 Stelle ad avere consentito di riprendere finalmente l'esame dei testi abbinati per tentare di individuare una proposta condivisa, sostenibile finanziariamente, in grado di operare una sintesi dei progetti sul tavolo, tenendo anche conto però, nel frattempo, di quanto è accaduto negli atenei, perché a questo proposito le novità non sono certamente poche: nel giro di 2 anni, anzi un anno e mezzo, dopo l'esperienza pionieristica della no tax area dell'università di Firenze, introdotta nell'anno accademico 2014-2015, ne sono seguite tante altre a Pisa, a Palermo a Bari e a Torino, ciascuna esperienza con una propria specificità, ognuna da studiare attentamente per gli esiti sui bilanci e per gli esiti sulle immatricolazioni. 
Si tratta evidentemente di esperienze recenti, in alcuni casi recentissime, comunque significative e tra l'altro voglio aggiungere questi atenei hanno assunto queste decisioni in modo assolutamente autonomo, quasi sempre sotto la forte spinta positiva degli studenti presenti negli organi di governo e soprattutto lo hanno fatto con le loro risorse, con la disparità dei propri bilanci. 
Quindi è vero, mentre il Parlamento taceva o rifletteva, diciamo così, il sistema universitario andava avanti: la no tax area non è più un tabù; due settimane fa anche la CRUI, in occasione dei magnifici incontri che si sono tenuti a Udine, ha inserito la no tax area tra le proprie ipotesi di lavoro come misura di diritto allo studio, chiedendo però ovviamente il supporto di nuovi finanziamenti statali. 
Potrei dire banalmente che è cambiata l'aria oppure, in modo più forbito, potrei dire che progressivamente il tema si è imposto per la sua ragionevolezza ed intrinseca bontà ed anche il Governo ha cambiato atteggiamento: si è fatto più interlocutorio; il 18 maggio il sottosegretario Faraone ha espresso chiaro interesse per la proposta, mettendo a disposizione il proprio impegno, come ricordava la relatrice Ascani, per reperire le risorse necessarie a partire dalla prossima legge di stabilità. Questo e quanto è venuto a dirci il sottosegretario Faraone e del resto è un impegno coerente con quello che è stato assunto nella mozione che abbiamo approvato il 29 giugno e con cui ho aperto il mio intervento. 
Però, la notizia della immediata calendarizzazione in Aula, chiesta dal MoVimento 5 Stelle, ha avuto sui nostri lavori ovviamente l'effetto di una doccia gelata e guardate che è un peccato, perché questa incomprensibile accelerazione ha impedito al Comitato ristretto di giungere ad un testo condiviso e mi rammarico, per onestà intellettuale, che il relatore di minoranza faccia invece intendere che si fosse giunti ad un testo condiviso, anzi, quasi come se fossimo stati al rammendo parla di tagli-cuci (questo non onora il nostro lavoro) e poi fa riferimento anche a cambi di idea continui del Partito Democratico. Ecco, io credo che si debba dire, qua dentro, che noi siamo partiti da un'idea condivisa, sì, arrivare alla no tax area, ma non avevamo ancora condiviso come arrivarci alla no tax area. 
Aggiungo qualche elemento: la materia che stiamo affrontando, checché se ne dica, è una materia non solo delicata, ma anche molto tecnica, come tutte quelle che hanno natura fiscale ed ha anche proprio un profilo specifico, perché occorre incrociare le riflessioni sulla diversa capacità contributiva degli studenti con le esigenze di bilancio degli atenei, che sono 60 situazioni diverse. Pertanto occorre procedere ovviamente con ponderazione, che è il contrario di dover venire in Aula in tempi ristrettissimi. 
Faccio un esempio, perché non è stato richiamato dall'ex relatore: solo il 7 e l'8 giugno scorso noi abbiamo ricevuto dal Ministero del lavoro e dal Ministero dell'istruzione alcuni dati, necessari per dare gambe solide e coerenti ad un provvedimento davvero efficace; ma i dettagli tecnici sono un pochino più complessi di come si possa immaginare. Faccio un altro esempio: ad oggi noi non disponiamo con certezza di un dato fondamentale e cioè quanto paga di media uno studente universitario che appartiene ad una famiglia con un determinato valore ISEE; questo non ce l'abbiamo, è un dato che non esiste, non abbiamo o meglio non è nella disponibilità del MIUR. Questa si chiama curva di contribuzione. Il MIUR ha un ufficio statistico che non ha raccolto i dati adeguati per realizzare questa curva di contribuzione ed è quello che ci hanno risposto l'8 di giugno, eppure sarebbe molto importante per il tipo di elaborazione che dovremo fare noi. 
Noi, come gruppo parlamentare, con l'aiuto di uno statistico abbiamo incominciato a realizzarla noi questa curva di contribuzione e lo abbiamo fatto sulla scorta degli altri dati che ci sono arrivati il 7 e l'8 di giugno; certo, però noi avremmo bisogno quindi di ponderarli ancora meglio questi dati, avremmo certamente bisogno non di stime – perché a stime noi siamo arrivati – ma avremmo bisogno di dati certi, che bisognerebbe andare a chiedere ad ogni singolo ateneo, e comporli, il che non sarebbe certamente facile e non certamente da fare in quattro e quattr'otto. 
Ora mi soffermo anche sul tema della compensazione che noi vogliamo dare agli atenei ed è per quello che noi dobbiamo fare calcoli con ponderazione, perché se no non riusciremmo ad arrivare al quantum ci occorre per coprire questa misura. Ora io qui ho una posizione diversa rispetto all'ex relatore Gallo, il quale ha affermato, nel corso della discussione in Commissione, che la compensazione può essere anche parziale e quindi non serve una valutazione precisa. 
Per me invece questo tema è cruciale e provo a spiegare perché: la no tax area diventa effettivamente una misura a vantaggio degli studenti, ma di tutti gli studenti, di tutta la comunità studentesca, solo se non va a gravare sulle risorse proprie dell'università. In caso contrario, dovendosi trovare un bilanciamento nel finanziamento ordinario, al netto delle spese fisse incomprimibili, l'agibilità di manovra diventa talmente residuale che inevitabilmente si vanno ad intaccare le risorse che servono ai servizi per gli studenti ed io personalmente non sono assolutamente disposta ad avallare un'operazione di questo tipo. 
Dopo la ricezione dei dati – siamo al 7 ed 8 di giugno – il Comitato ristretto è stato convocato due volte, due sole volte: il 15 ed il 29 di giugno. 
Oltre a quanto già detto sulla curva di contribuzione, credo sia facile capire che molti altri elementi non banali devono essere esaminati e quindi ben maggiore dovrebbe essere il tempo a nostra disposizione per elaborare una proposta credibile ed attuabile; elementi banali come per esempio: come definisco la platea dei beneficiari rispetto al reddito familiare, rispetto all'anno di corso, al tipo di corso ? E ancora di più – ed è ancora più complesso – quali meccanismi introduco, affinché sia realmente progressiva ed equa la contribuzione per gli studenti che hanno un ISEE immediatamente superiore alla fascia dell'esonero ? 
Ecco, sono questioni che meritano profondità di analisi e per le quali l'ingiustificata urgenza di approdare alla discussione in Aula sarebbe di certo cattiva consigliera, tenuto peraltro conto che nessuna misura di legge potrà essere applicata prima dell'anno accademico 2017-2018. 
Ripeto: un'urgenza ingiustificata e dettata solo da un'agenda di natura strumentale e propagandistica. 
Mi avvio a concludere, signor Presidente, con alcune considerazioni di carattere più generale, che nascono anche dall'esperienza di avere lavorato a lungo su questo progetto di legge: la discussione che si è sviluppata all'interno del PD ed anche nel confronto con le altre forze parlamentari ha mostrato con evidenza che il problema del basso accesso all'università delle fasce deboli della popolazione non può e non deve essere affrontato solo con provvedimenti di settore, ma con uno spettro organico di interventi e di impegni finanziari, che mettano su nuove e più solide basi sia la normativa che gli investimenti a disposizione. 
Non vi è dubbio intanto che i provvedimenti di decontribuzione per le fasce meno abbienti devono essere accompagnati con il consolidamento del sistema del diritto allo studio universitario, provvedendo a stabilizzare il finanziamento disposto dall'ultima legge di stabilità, cioè 55 milioni in più, e a completare l'attuazione del decreto legislativo n. 68 del 2012, che regolamenta l'intera materia, correggendolo nei punti che si sono rilevati più problematici, come, ad esempio, i criteri di riparto delle risorse statali tra le regioni. 
Si dovrebbe altresì intervenire sul tema, molto trascurato, purtroppo, dell'accompagnamento degli studenti più in difficoltà, in particolare quelli che accumulano ritardo nel superamento degli esami, così da ridurre l'enorme – enorme ! – tasso di abbandono o di cambio dei corsi di laurea prescelti, fenomeni entrambi che colpiscono in misura più pronunciata – come dimostrano i dati statistici che abbiamo richiamato in occasione della discussione della nostra mozione – proprio gli studenti che hanno un ISEE familiare più basso e che provengono dagli istituti tecnici e dagli istituti professionali. Sarebbe insomma inutile un esonero delle tasse senza unirlo ad opportune forme di accompagnamento culturale e sostegno didattico. Si dovrebbe ancora intervenire sull'importo della borsa di studio per gli studenti meritevoli a bassissimo reddito (adesso il massimo sono 5.000 euro per i fuori sede, voglio ricordarlo), in quanto l'importo attuale è del tutto insufficiente per un loro vero mantenimento agli studi universitari, soprattutto quando devono spostarsi di sede per andare appunto a frequentarli in un'altra città universitaria. 
Insomma, sarebbe parziale intervenire solo sul tema della contribuzione universitaria, i tempi sono maturi per un dibattito che potrebbe portare ad una legge con consenso parlamentare – io credo – vasto ed esteso, ben oltre i confini della maggioranza. I tempi ci sono, perché, come dicevo, qualsiasi normativa potrà essere applicata solo dall'anno accademico 2017-2018. Gli strumenti conoscitivi, i dati cioè effettivi del sistema, si possono perfezionare in tempi assolutamente ragionevoli, e sulle idee di fondo credo che ci sia un sostanziale largo accorto. Quindi, mi chiedo: perché dobbiamo sprecare quest'occasione di intervenire organicamente a largo spettro sul tema dell'accesso all'università ? Perché non dare senso all'espressione «università di massa» – che è stata citata anche dalla relatrice Ascani –, spesso abusata ma anche irrealizzata ? E perché non ripensare la normativa per intero, senza apportare ennesime toppe ad una normativa che è ormai antiquata e anche largamente rappezzata, ove non applicata ? Colleghi, signor Presidente, ritengo che sarebbe quindi opportuno riprendere il cammino vero, quello degli ultimi tempi, il cammino che abbiamo incominciato a percorrere in Commissione là dove lo abbiamo interrotto qualche giorno fa, per poter dare davvero le risposte piene e complete che il Paese, i giovani e le università si attendono, e non invece l'ennesima aggiunta ad una normativa che è già congestionata, fragile e confusa.