Data: 
Martedì, 13 Dicembre, 2016
Nome: 
Marco Di Maio

Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, Ministri, onorevoli colleghi e colleghe, sedendo in questi banchi, da questa parte dell'emiciclo, non sorprenderà che prenda la parola per dichiarare il mio sostegno a questo Governo e al suo Presidente, Paolo Gentiloni, a cui rivolgo i più sinceri auguri di buon lavoro. Credo però sia opportuno motivare le ragioni di questo voto, che non sono certo limitate alla comune appartenenza e militanza politica, bensì a motivazioni di maggior radicamento e profondità che lei ha bene indicato nell'intervento di questa mattina e anche con le parole espresse in questi giorni.
Intanto occorre ricordare che l'Italia, pur di fronte al miglioramento di molti indicatori del quadro macroeconomico nazionale e di fronte ai risultati conseguiti anche grazie alle riforme approvate in questa legislatura, continua però a registrare una vasta fetta, troppo ampia, di cittadini che vivono in condizioni di sofferenza, di disagio sociale, di difficoltà oggettive, in particolare tra i giovani, che sono spesso disorientati e alla ricerca di un futuro che sembrano non trovare; persone che dalla politica e dalle istituzioni si attendono impegni, risposte, azioni e responsabilità. È pensando a loro, pensando ai nostri concittadini colpiti dal terremoto, pensando ai bisogni del nostro Paese, pensando a chi lavora, a chi produce, a chi un lavoro non ce l'ha e cerca di trovarlo in questa nostra Italia che oggi non possiamo sottrarci dal dare al Paese un Governo nella pienezza dei suoi poteri.
Questo voto di fiducia discende anche dal rispetto e dalla condivisione nei confronti del lavoro svolto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a cui vanno il nostro sostegno e il nostro apprezzamento per la determinazione e la rapidità con cui ha saputo affrontare questa crisi di Governo, garantendo a tutti i gruppi, a tutti i 23 gruppi tra Camera e Senato, pari dignità. Non è stato solo un gesto formale ma anche sostanziale, come del resto sostanziale era la nostra proposta, esplicitata al Capo dello Stato e a tutti gli altri gruppi parlamentari, di offrire a ogni forza politica presente in Parlamento l'opportunità di compiere un gesto di generosità nei confronti degli italiani: assumersi per un periodo rigorosamente limitato di tempo, di fronte alla ben nota e oggettiva impossibilità di andare immediatamente a nuove elezioni, l'onere e l'onore di governare insieme il nostro Paese. Una chiamata alla responsabilità comune, a fronte di emergenze significative che dovremo comunque affrontare, a cui non si è voluto rispondere, dimostrando che per una parte dei partiti che siedono dentro quest'Aula gli interessi di parte, i calcoli politici, a volte dettati anche dall'avere più o meno poltrone, vengono purtroppo prima dell'interesse nazionale. Ne prendiamo atto assieme al fatto che il gesto di Matteo Renzi, piuttosto inusuale per la politica italiana, rimane il più responsabile di tutta questa vicenda. Dimettersi per coerenza, nonostante ci fossero i numeri in Parlamento per rimanere al proprio posto, credo che sia un atto che in pochi avrebbero compiuto e che da pochi abbiamo visto compiere nella storia della nostra Repubblica. Anche da qui vogliamo ringraziarlo per il lavoro svolto insieme nei 1.019 giorni del suo Governo e per la sua coerenza. La nostra è dunque una decisione diversa da chi preferisce voltare le spalle alla responsabilità nazionale. L'Italia non può permettersi di vivere mese di stallo politico e istituzionale in attesa che il quadro giuridico e legislativo venga ben delineato e ci consenta al più presto di andare a nuove elezioni, che rimane per noi un obiettivo non rinunciabile e da perseguire nel più breve tempo possibile.
Per questo ci assumiamo assieme alle altre forze di maggioranza un carico di responsabilità che forse sarebbe stato più popolare lasciare ad altri. Eppure, qualcuno ha il dovere di assumerselo, perché stupisce doverlo ricordare in quest'Aula, che ha visto nascere e crescere le nostre istituzioni e in cui si tende a dare per scontato che tutti i colleghi conoscano la Costituzione. Ma nel nostro ordinamento ci sono regole e vincoli che governano il funzionamento delle istituzioni che sono immutati fin dalla nascita della Repubblica e che non sono aggirabili. Sono regole che tutti noi siamo tenuti a rispettare. Andare immediatamente a nuove elezioni, come qualcuno va gridando dentro e fuori questo palazzo, più fuori che dentro, sarebbe di fatto impossibile. Sappiamo che pende un giudizio della Corte costituzionale sulla legge elettorale per la Camera, che non sarà espresso, quanto meno, prima della fine di gennaio. È un fatto noto a tutti, anche a quelli che, per comodità mediatica e politica, in queste ore fanno finta di stracciarsi le vesti e gridano, ancora una volta e inutilmente, allo scandalo.
Poi, è giunta l'ora che si facciano un esame di coscienza anche quei colleghi parlamentari che continuano a giocare sull'ambiguità, accusando questo Governo di non essere legittimo perché non eletto dai cittadini, come hanno fatto con il precedente e con quello precedente ancora. Allora, voglio dare una notizia a questi colleghi: nessuno dei 64 Governi che si sono susseguiti nei settant'anni della storia repubblicana è mai stato eletto dai cittadini, perché non lo prevede la nostra Costituzione, che all'articolo 92 affida al Presidente della Repubblica il compito di conferire l'incarico di formare un Governo. Allora, i casi sono due: o questi colleghi non conoscono la Costituzione oppure mentono sapendo di mentire e, francamente, non saprei distinguere il più grave tra questi due casi.
C’è, poi, un vincolo a cui tutti noi dovremmo sentirci legati, che è quello della verità e della misura. Abbiamo sentito dichiarare e attuare, purtroppo, da parte di alcuni partiti delle opposizioni l'ipotesi di abbandonare i lavori di quest'Aula, evocando addirittura l'Aventino. Allora, mi permetto umilmente, con la massima umiltà possibile, di consigliare una lettura a questi colleghi: il discorso che proprio qui, in quest'Aula, in questo Emiciclo, pronunciò il deputato Giacomo Matteotti il 30 maggio del 1924 per denunciare i brogli, gli inganni e le violenze compiuti dai fascisti nelle elezioni di quell'anno. Quel discorso fu per lui una dichiarazione di morte: di lì a pochi giorni, infatti, gli squadristi lo rapirono e lo uccisero, facendone trovare, solo qualche giorno dopo, il cadavere. Da quell'episodio drammatico e sconvolgente nacque la clamorosa secessione dell'Aventino da parte di alcune forze dell'opposizione, che volevano così protestare e tentare di bloccare il Governo Mussolini, lo strapotere fascista, la vera deriva autoritaria e violenta del nostro Paese. Ora, con tutto il rispetto e alla luce di questi quasi quattro anni di legislatura, qui dentro non vedo nessun Giacomo Matteotti come non vedo, grazie a Dio, nessun Benito Mussolini. Lasciamo stare l'Aventino, che qualcuno vuole trasformare grottescamente in un flash mob, e recuperiamo, invece, il senso della misura. Si abbia rispetto per noi stessi, per l'istituzione che rappresentiamo, per gli italiani, per la storia di questo Paese. Si può non condividere, non essere d'accordo, criticare aspramente, non si può, però, continuare a raccontare cose false, irrealizzabili, impossibili da attuare e una verità che non esiste. È un modo di far politica cui non ci rassegneremo mai. Per questo, Presidente, Ministri, colleghi, rimbocchiamoci le maniche e impegniamoci da subito per realizzare il programma del Governo che oggi si andrà ad insediare ufficialmente e formalmente e affrontiamo insieme le priorità che l'Italia ha di fronte. Non buttiamo via queste settimane di lavoro con inutili polemiche tra partiti e dentro i partiti. Si completino i progetti in essere, si affrontino le emergenze, si accompagni l'Italia alle elezioni non appena ci saranno le condizioni, ovvero una legislazione elettorale coerente tra Camera e Senato. Buon lavoro a lei, Presidente Gentiloni, e al suo Governo e buon lavoro anche a tutti noi, colleghi, nell'interesse preminente del Paese che, lo voglio ricordare, siamo tutti chiamati pro tempore a rappresentare. Buon lavoro.