Presidente, colleghi, siamo chiari fin dall'inizio: contrariamente a quanto sostenuto dalla maggioranza questo non è un provvedimento meramente tecnico, ma ha una chiara valenza politica e sostanziale. Con questo provvedimento si vuole rendere applicabile la legge elettorale indipendentemente dal numero di parlamentari: un provvedimento appunto collegato alla proposta di riforma costituzionale che abbiamo appena esaminato in discussione generale qualche minuto fa. Sarebbe riduttivo e sbagliato giudicare questo provvedimento come meramente tecnico, come qualche membro della maggioranza ha provato a fare, perché si celano dietro questo provvedimento chiare scelte politiche in grado di produrre effetti negativi per la nostra democrazia e la sua rappresentanza: in particolare sulle caratteristiche dei collegi elettorali uninominali, che rischiano di assumere dimensioni eccessivamente ampie, enormi, gigantesche. La conseguenza di ampliare in modo rilevante la dimensione dei collegi, soprattutto al Senato, incide in modo significativo sul grado di rappresentatività del Parlamento e sulla legge elettorale, alterando il rapporto fra eletti e popolazione residente: soprattutto nelle regioni medie e nelle regioni piccole, avere dei collegi così grandi porterà ad un innalzamento della soglia implicita di sbarramento, dal 10 per cento a circa il 25 per cento, il che sarà un grande ostacolo per rappresentare le minoranze di queste regioni.
La popolazione media dei collegi uninominali per le elezioni alla Camera dei deputati passerebbe da 250 mila a 400 mila abitanti, rendendo ancora più difficoltoso il collegamento con il territorio e facendo venire ancora meno la stessa ragion d'essere dei collegi uninominali. Io sono residente nel Regno Unito, e nel Regno Unito c'è un sistema elettorale di collegi uninominali molto piccoli, e quindi c'è un contatto diretto molto forte tra elettori ed eletti.
Con questo provvedimento che voi presentate si va completamente a diluire, a scollegate quel rapporto diretto che altre democrazie cercano di sostenere, proprio con sistemi maggioritari uninominali che noi nel nostro ordinamento abbiamo per almeno un terzo dei seggi.
In tal modo tutti gli eletti, sia nei collegi uninominali sia in quelli plurinominali, finirebbero per essere di fatto designati, beninteso in maniera legittima, ma dalle forze politiche: quando sono collegi talmente grandi, è difficile raccogliere preferenze; in realtà sono i partiti che decideranno chi verrà eletto a tavolino, e quindi si va un po' a scollegare l'intenzione che voi avete di avvicinare elettori ed eletti. Questi effetti sarebbero ancora più gravi e distorsivi nel caso del Senato, per il quale la popolazione dei collegi uninominali risulterebbe pari al doppio rispetto a quella dei collegi per le elezioni della Camera. Le dimensioni dei collegi uninominali si accrescerebbero notevolmente, come stavo dicendo, e in modo non uniforme, rendendo impossibile in molti casi quel collegamento tra elettori ed eletti che costituisce la peculiarità e il pregio di questi collegi.
Insomma, la ridefinizione dei collegi prevista dall'articolo 1 di questa proposta di legge in esame rende inapplicabile il riferimento ai collegi previsti dal decreto legislativo n. 535 del 1993, contenuto, in virtù del rinvio dell'articolo 3 della legge n. 165 del 2017, e dell'articolo 3 di questa proposta in esame. A questo punto dobbiamo forse interrogarci, come Repubblica, come Paese, su quale ordinamento, su quale modello elettorale sarebbe utile adottare, chiedendoci ad esempio se non sia addirittura il caso di mantenere l'attuale configurazione dei collegi uninominali. Al limite sarebbe più opportuno, per scongiurare effetti che sarebbero giudicati irragionevoli in altre democrazie, in altri Paesi europei, riconsiderare una complessiva ridefinizione del sistema, passando ad un sistema di collegi totalmente uninominale o ad un meccanismo integralmente proporzionale: o una o l'altra.
Per questo motivo invito la maggioranza - MoVimento 5 Stelle e Lega, ma ricordo che c'è anche il MAIE nella maggioranza - ad assumersi la responsabilità di dichiarare con chiarezza, con schiettezza e senza ricorrere all'inganno, che non si vogliono soltanto introdurre dei semplici automatismi istituzionali di natura tecnica, che dietro alla riforma costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari e al provvedimento in esame vi sono precise scelte politiche, suscettibili di incidere sulla forma di Governo, sul grado di rappresentanza dei cittadini e sui fondamentali meccanismi di funzionamento della democrazia rappresentativa. Il combinato disposto tra il provvedimento in esame e la proposta di riforma costituzionale ha come risultato non solo la riduzione del numero dei parlamentari, ma segna una drastica riduzione della loro rappresentatività, e quindi un indebolimento della democrazia così come l'avevano intesa i Padri costituenti.
In tanti Paesi occidentali si pone da tempo la questione della crisi della democrazia liberale, è uno dei motivi che spiega anche il successo elettorale del MoVimento 5 Stelle in questi ultimi anni. Di fronte a questi fenomeni emerge periodicamente nella storia di proporre come soluzione la semplificazione del processo di rappresentanza politica, anche attraverso l'introduzione di strumenti di democrazia diretta; il Ministro qui presente è la personificazione politica più tangibile, insomma, che ricorre nella storia il voler appunto smantellare queste democrazie così complesse, inutili e pieni di orpelli forse indesiderabili. Ed infatti il MoVimento 5 Stelle si è mosso in questa direzione, ad esempio con la proposta di revisione costituzionale in materia di referendum, che abbiamo discusso qui qualche mese fa, e la proposta di legge in esame.
Ma c'è un paradosso: il paradosso che aumentando il numero di abitanti per parlamentare da 400 mila a 800 mila, 400 mila alla Camera e 800 mila al Senato, voi state allontanando ulteriormente i cittadini dalle istituzioni. Non li state avvicinando, li state allontanando! Ecco il paradosso fra le intenzioni del vostro movimento ed il risultato che otterrete con questo provvedimento, unito alla riforma costituzionale.
Esiste una relazione indissolubile fra questo provvedimento ed il progetto di riforma costituzionale, come dicevo poc'anzi: l'una sorregge e giustifica l'altra e viceversa, e tutte e due insieme concorrono a delineare il nuovo volto della democrazia italiana, che verrà fuori da un processo di riforme troppo parcellizzato, come diceva il collega Ceccanti con interventi microchirurgici, e per nulla organico. La legge elettorale è la più politica delle leggi che il Parlamento possa approvare, ed è per questo che ha sempre rappresentato uno snodo decisivo del dibattito e del confronto politico. Il modo con il quale il Paese viene rappresentato in queste Aule dipende infatti dalla legge elettorale, ovviamente: è questa formula che trasforma il voto di milioni di cittadini in un ridotto numero di rappresentanti, che riproducono in Camera e Senato le caratteristiche del consenso, il peso dei territori e la loro peculiarità.
Se si ipotizzasse un Senato federale o una Camera delle regioni, non ci sarebbe nulla di strano nel proporre una riduzione anche drastica del numero dei suoi componenti: basti pensare al Senato degli Stati Uniti, composto da 100 rappresentanti, o al Bundesrat della Germania, i cui membri sono soltanto 69; o viceversa in uno Stato unitario parzialmente centralizzato, la Francia, la seconda Camera, che rappresenta le collettività territoriali metropolitane e d'oltremare e i rappresentanti dei francesi all'estero, è composta da 348 senatori eletti a suffragio indiretto.
Ora, visto che il nostro Senato non è una Camera federale e non è eletto a suffragio indiretto, non si capisce in base a quale logica di sistema dovrebbe essere composta da 200 anziché 315, 50 o 700 membri.
La rideterminazione del numero dei parlamentari, di per sé non ha nulla a che vedere con la riforma del Parlamento, questa sì una vera urgenza della Repubblica. Se l'obiettivo politico che tanto viene enfatizzato è quello di produrre maggiori risparmi, come le colleghe in discussione generale affermavano all'inizio della discussione, perché allora non proporre l'abolizione della seconda Camera? Avviamoci verso il monocameralismo, che tra l'altro varie forze politiche già lo proponevano nell'Assemblea costituente nel 1947 e 1948. Perché riproporre di nuovo un bicameralismo perfetto? La Commissione Bozzi questo voleva fare, perché la Commissione Bozzi non voleva ridurre il numero dei parlamentari, voleva rendere il bicameralismo indifferenziato, voleva appunto cambiare il bicameralismo perfetto, non solo ridurre il numero dei parlamentari, che dopotutto rimane un'anomalia, un'eccezione nel panorama mondiale; ci ha dato pace e prosperità, ci ha evitato una guerra civile come in Grecia 70 anni fa, ma oggi è assolutamente desueto e sorpassato.
Il Senato, in Italia, non soltanto non rappresenta le regioni, ma non rappresenta neanche i cittadini sotto i venticinque anni, che non concorrono appunto alla sua elezione. Se, invece, gli obiettivi principali sono l'efficienza e la rappresentatività del Parlamento, allora occorre dire che entrambe dipendono dalla composizione e dalle competenze delle Camere, nonché dai Regolamenti parlamentari, dalle buone pratiche, dai soggetti politicamente e costituzionalmente rilevanti. Rispetto alla riduzione del numero di parlamentari, una maggiore efficienza può essere generata soprattutto dall'adozione di un bicameralismo differenziato, con competenze e rappresentatività diverse tra le due Camere, ovvero il monocameralismo. Altra questione molto dibattuta è se la riduzione del numero dei parlamentari possa favorire una maggiore stabilità governativa, grande problema nel nostro Paese, che ovviamente è affetto da una instabilità politica cronica da vari decenni. Certo, tale riduzione potrebbe avere come conseguenza la riduzione del numero dei parlamentari e potrebbe avere come conseguenza una riduzione del numero dei partiti politici - io ne dubito fortemente -, ma non è per niente scontato che si creerebbero maggioranze omogenee, coese e stabili, perché l'aggregazione di tali maggioranze dipende soprattutto dalla legislazione elettorale. Del resto, rimanendo diverso l'elettorato attivo da quello passivo per l'elezione dei membri dei due rami del Parlamento, è possibile, come l'esperienza costituzionale ci conferma, che vi possano essere due diverse maggioranze parlamentari, causa appunto della forte instabilità a cui siamo stati abituati. E ciò, in un sistema di bicameralismo indifferenziato come il nostro, in cui entrambe le Camere devono votare la fiducia del Governo, costituisce un ulteriore problema per la stabilità del governo. Ammoniva Benjamin Franklin che un corpo legislativo diviso in due rami è come un carro trainato da due cavalli che tirano in direzioni opposte.
Mi avvio a conclusione parlando di due punti problematici nel merito del testo. Sarebbe utile specificare nell'articolato se nel calcolo dei tre ottavi…
Ho trenta secondi, Presidente… posso? Sono due battute. Sarebbe utile specificare se nei tre ottavi dei seggi si includa o meno il seggio della Val d'Aosta (non è chiaro nella formulazione attuale) e, in secondo luogo, occorrerebbe specificare, nel caso in cui la riforma venisse approvata, se nel Friuli Venezia Giulia ci sarebbe un unico collegio uninominale. Sappiamo che dobbiamo facilitare il concorso della minoranza di lingua slovena alla partecipazione dell'elezione appunto dell'unico seggio, ma come potremmo facilitare la partecipazione della minoranza di lingua slovena se appunto ci sarà un unico seggio? Chiedo alla maggioranza di esprimersi su questi due punti. Con questa relazione di minoranza il Partito Democratico motiva la sua valutazione fermamente contraria a questo provvedimento.