Presidente, onorevoli colleghi, Governo, per affrontare con successo il problema della crescita, per promuovere uno sviluppo emancipante e inclusivo che assicuri uguaglianza di opportunità e di accesso ai beni essenziali, occorrono istituzioni politiche autorevoli, autonome e dotate di una forte legittimazione democratica. All'origine della crisi che investe molti Paesi occidentali vi è infatti anche una carenza di regolazione politica, una carenza cioè di governo democratico dei processi economici e finanziari e nel contempo una carenza di regolazione politica della stessa sfera pubblica in grado di rafforzare e rendere più efficiente la pubblica amministrazione in tutte le sue diverse articolazioni. I Parlamenti, e più in generale le istituzioni rappresentative del pluralismo, da tempo, lo sappiamo, faticano a rappresentare, faticano a unire, a governare e a mitigare e contenere le disuguaglianze.
Per queste ragioni, riflettere di assetti istituzionali, in particolare di forma di governo, di ruolo del Parlamento e di legge elettorale, è importante. E non è un parlar d'altro rispetto al problema delle condizioni materiali ed economiche del nostro Paese e dei cittadini, a condizione, però, che lo si voglia fare in maniera non strumentale ma avendo appunto a cuore l'obiettivo di rendere le istituzioni politiche meglio capaci di rappresentare il pluralismo sociale e quindi meglio capaci di governare i processi economici e distributivi. A un confronto serio e aperto noi non ci sottraiamo, anzi, come abbiamo più e più volte ripetuto anche in Commissione, vi chiediamo di renderlo possibile. Valutiamo se non sia opportuno superare l'attuale bicameralismo paritario, discutiamo se non sia giunto il momento di razionalizzare la forma di governo parlamentare, chiediamoci se non sia necessario riconsiderare alcune norme che disciplinano i procedimenti legislativi, ripensando e rafforzando nel contempo gli istituti di garanzia. Soprattutto, come abbiamo proposto fin dall'inizio della legislatura ogni volta che si è discusso di riforme costituzionali, cerchiamo insieme la strada per rafforzare la capacità rappresentativa delle istruzioni democratiche e dei corpi intermedi, che la animano e rendono possibile una partecipazione critica e attiva.
A conferma del nostro atteggiamento costruttivo, non abbiamo presentato né in Commissione né in Aula alcun emendamento puramente ostruzionistico. Non lo facemmo alcuni mesi fa, quando discutemmo del cosiddetto referendum propositivo, pur denunciando i rischi di una progressiva svalutazione e marginalizzazione del Parlamento, non l'abbiamo fatto in questi giorni. La risposta che abbiamo ricevuto in materia costituzionale è stata quella di circoscrivere il perimetro della discussione al solo profilo numerico dei componenti le Camere: 630, 550, 500, 400, 325, 200, 12, 8, 5, 4. Numeri, solo esclusivamente numeri! Una decisione assurda, che mortifica le nostre prerogative di deputati e contrasta con l'essenza di qualsiasi percorso di riforma costituzionale. Analogo copione si è svolto in materia elettorale: senza alcuna valutazione del rendimento dell'attuale disciplina e al solo fine di rendere immediatamente applicabile l'eventuale modifica del numero dei parlamentari, saremo chiamati fra poco a pronunciarci anche sulla riscrittura di alcune parti, peraltro rilevanti, della vigente disciplina elettorale. Anche in questo caso nessuna valutazione delle conseguenze di un'estensione dell'ampiezza dei collegi uninominali e dei collegi plurinominali, nessuna riflessione sulle conseguenze politiche e sistemiche che potrebbero derivare dall'introduzione di soglie implicite di sbarramento particolarmente consistenti e diversificate per la Camera e per il Senato. Nessuna considerazione sulla ragionevolezza e desiderabilità del rapporto tra collegi uninominali e plurinominali o sulle modalità di espressione del voto in un mutato contesto politico e costituzionale. Nulla, solo la ricerca di un escamotage per fare in modo, come si legge nella relazione di accompagnamento, che non si rendano necessarie modifiche alla normativa elettorale qualora il numero dei parlamentari dovesse essere modificato con riforma costituzionale. Insomma, un escamotage per fare in modo che non si apra alcun confronto e alcuna seria discussione pubblica. Perché questa scelta? Perché arrivare, ad esempio, fino al punto di non rendere neanche ammissibili e quindi discutibili emendamenti volti per esempio a differenziare la composizione e le funzioni delle due Camere, o, in una diversa prospettiva, emendamenti volti a equiparare l'elettorato attivo e passivo per l'elezione dei senatori a quello per l'elezione dei deputati? La risposta, purtroppo, temo che stia, per un verso, in un malcelato e ricorrente sentimento di ostilità e di avversione nei confronti della democrazia rappresentativa e delle istituzioni politiche e sociali nelle quali essa si concretizza, dall'altro, in un uso disinvolto, e in questo caso direi spregiudicato, della materia costituzionale e del tema delle riforme per fini di consenso immediato. Le elezioni si avvicinano? Si avvicina l'esigenza di offrire agli elettori lo scalpo di qualche poltrona. Ma non credo che i cittadini apprezzeranno e premieranno tali scelte, perché sanno bene che, purtroppo, per ammodernare e rendere più giusto e competitivo il nostro Paese, per dare effettività al diritto al lavoro, sul quale si fonda la nostra Repubblica, non servirà a nulla eliminare qualche parlamentare.