A.C. 2316-A
Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, siamo all'indomani del Giubileo dei governanti e degli amministratori, con Papa Leone XIV che, nell'affidarci la promozione e la tutela del bene della comunità, ha ancora una volta sottolineato l'emergenza dei più deboli. Questo suo messaggio fa seguito a quello della Seconda conferenza annuale sull'intelligenza artificiale, in cui sempre Papa Leone XIV ha fatto appello alla valorizzazione dell'intelletto come macchina inimitabile, dono da valorizzare anche attraverso l'ausilio delle nuove tecnologie, che devono essere strumento al servizio dell'uomo in grado di aprire certamente gli orizzonti per scoperte benefiche nella scienza e nella medicina, promuovendo però uguaglianza.
Oggi ci troviamo a discutere in quest'Aula di questo disegno di legge in materia di intelligenza artificiale. Com'è chiaro non è un argomento tra i tanti, non è l'ennesima sigla da recitare, è la sfida epocale, la vera rivoluzione che sta plasmando il nostro presente e in modo inesorabile il nostro futuro. L'intelligenza artificiale ridefinirà il nostro modo di vivere, di lavorare, di informarci, di curarci, persino di comprendere il mondo. Guardiamo i numeri: in Italia il mercato dell'intelligenza artificiale ha toccato 1,2 miliardi di euro, un balzo del 58 per cento in un solo anno, con l'intelligenza artificiale generativa a trainare il 43 per cento di questa crescita. Gli esperti ci dicono che una adozione diffusa potrebbe portare al nostro PIL un aumento tra i 150 e i 170 miliardi di euro; ma attenzione, un ritardo di appena cinque anni ridurrebbe questo potenziale a un misero 2 per cento. Di fronte a una trasformazione di tale portata, il Partito Democratico ha una certezza incrollabile: l'intelligenza artificiale deve essere uno strumento nelle mani dell'uomo, mai il contrario. La nostra visione è chiara, deve essere uno strumento antropocentrico, etico e soprattutto responsabile. L'intelligenza artificiale deve garantire i diritti e le libertà fondamentali in modo trasparente, senza discriminazioni.
È un progresso inarrestabile destinato a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali, relazionali. “Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana, iscritta dentro a quella tradizione di civiltà che vede nella persona e nella sua dignità il pilastro irrinunciabile”, sono le parole del Presidente della Repubblica Mattarella, che devono essere guida nell'affrontare la nostra azione legislativa.
È con questo spirito costruttivo che vogliamo approcciare al disegno di legge in trattazione, un provvedimento che, pur riconoscendo l'importanza del tema, ci vede critici, poiché presenta alcune lacune e debolezze strutturali, un testo che rischia di farci perdere un'opportunità irripetibile per il nostro Paese. Permettetemi di essere schietto: questo disegno di legge è nato vecchio. L'idea era quella di anticipare l'AI Act europeo, di giocare d'anticipo, ma il nostro iter legislativo è stato così lento che nel frattempo il regolamento europeo è entrato in vigore ed è già in atto.
L'Italia non può permettersi di inseguire gli altri: dobbiamo essere protagonisti, non semplici spettatori di questa rivoluzione. In questo scenario geopolitico così complesso, così tragico, come stiamo assistendo in queste ore, la questione della nostra sovranità tecnologica e digitale diventa centrale. Non possiamo permettere che i nostri dati, il nostro sapere, la nostra ricchezza finiscano sotto il controllo di potenze straniere. Pensate alla clausola sulla localizzazione dei server dei dati pubblici sul nostro territorio che era inizialmente prevista: un passo indietro preoccupante, che mina la nostra sicurezza e la nostra autonomia. Il “caso Paragon” non è un'astrazione: è un monito su quanto sia pericoloso affidarsi ciecamente a infrastrutture esterne.
Poi c'è il capitolo dei fondi: il disegno di legge mette sul piatto circa un miliardo di euro, ma un miliardo di euro per una sfida che ne vale centinaia è la vera risposta? La vicina Francia mette in campo circa 100 miliardi; altri Paesi si muovono con strategie faraoniche. Il nostro impegno, invece, sembra quasi un segnale di sfiducia nelle nostre stesse potenzialità. Abbiamo bisogno di investimenti veri, nuovi, coraggiosi, mirati soprattutto all'intelligenza artificiale generativa; dobbiamo creare un ecosistema vivo che attragga capitali privati e faccia fiorire la nostra ricerca e le nostre start-up. Senza risorse adeguate, il nostro Paese non avrà alcun ruolo strategico.
C'è poi il tema della governance: l'affidamento delle competenze all' Agenzia per l'Italia digitale e all'Agenzia per la cybersicurezza nazionale, pur riconoscendo l'alta professionalità dei loro addetti, solleva un interrogativo cruciale. Sono indipendenti? La risposta è “no”: sono agenzie soggette all'influenza governativa, ma in un settore così delicato, che incide sui diritti fondamentali delle persone, è impensabile non avere un'autorità terza e indipendente. Occorre qualcuno che garantisca imparzialità, che eviti condizionamenti politici e che tuteli i cittadini da possibili abusi e discriminazioni algoritmiche.
Non possiamo dimenticare certamente il mondo del lavoro: da questo disegno di legge, pur prendendo atto dell'impatto dell'intelligenza artificiale, non si interviene con una dovuta forza per tutelare i lavoratori. L'intelligenza artificiale non si limita a far scomparire alcune mansioni. No, trasforma l'intera organizzazione del lavoro, le competenze richieste, i diritti, le relazioni sindacali. È un errore strategico, imperdonabile, aver escluso gli emendamenti che garantivano il coinvolgimento delle parti sociali, sindacati e associazioni datoriali, nell'osservatorio sull'adozione dei sistemi di intelligenza artificiale. Non si può pensare di gestire questa transizione necessaria senza chi vive quotidianamente il lavoro, senza chi può portare la voce di chi sarà più travolto da questi cambiamenti.
Non per ultimo, le implicazioni sociali ed etiche: l'intelligenza artificiale, se non governata, rischia di replicare e amplificare le diseguaglianze, i pregiudizi che già esistono nei dati con cui viene addestrato. Abbiamo insistito sulla necessità di inserire principi espliciti di equità e pluralismo per correggere i rischi della cosiddetta distorsione algoritmica. È molto semplice: i modelli su cui si basano le iniziative di intelligenza artificiale assorbono i pregiudizi della società che possono essere silenziosamente incorporati nell'enorme quantità di dati su cui vengono addestrati. Una raccolta di dati influenzata da distorsioni riflette le diseguaglianze sociali, può danneggiare chi è storicamente emarginato, amplificando appunto le diseguaglianze. Questo non va assolutamente bene.
Anche nel settore giudiziario, la cosiddetta giustizia predittiva, è un esempio lampante: non possiamo accettare che decisioni, che stravolgono la vita delle persone, vengano prese senza un controllo umano pieno e senza garanzie di accuratezza e non discriminazione. Per questo abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere lo stralcio dell'articolo 24, sulle norme penali: un articolo generico, inserito senza una seria valutazione e del tutto inadeguato a governare una materia così complessa.
Lo stesso principio vale per il diritto d'autore: non possiamo permettere che il lavoro creativo, intellettuale, culturale venga svuotato di valore da un utilizzo indiscriminato e non regolamentato delle opere protette per l'addestramento dell'intelligenza artificiale. Il mondo della cultura, dell'informazione e del giornalismo si fonda sul riconoscimento del diritto d'autore: tutelarlo significa difendere la dignità del lavoro creativo.
Il Partito Democratico non è solo qui per criticare, ha spirito costruttivo. Abbiamo presentato emendamenti qualificanti: auspichiamo che possano essere accolti nell'esame in Aula. Noi abbiamo una proposta e una visione chiara e ambiziosa per il futuro dell'Italia che si trova nel mezzo di quello che potrà essere ricordato come il balzo storico dell'inizio del terzo millennio. Innanzitutto occorre un'autorità indipendente per l'intelligenza artificiale, ne abbiamo bisogno: una realtà che sia realmente terza, con poteri ispettivi e sanzionatori a tutela dei cittadini e del mercato. Poi investimenti reali e strategici: l'Italia deve fare uno sforzo economico senza precedenti, con capitali pubblici significativi che facciano da calamità per quelli privati. Dobbiamo puntare sulle tecnologie emergenti, come l'intelligenza artificiale generativa, e sostenere la nostra ricerca, le nostre startup. Dobbiamo avere l'ambizione di creare un CERN italiano dell'intelligenza artificiale, dove fare ricerca pura, come ci ha suggerito il premio Nobel Giorgio Parisi, per sviluppare modelli nostri, trasparenti, diversificati e liberarci dalla dipendenza dei giganti americani e cinesi. La sovranità digitale e il controllo nazionale non sono concetti astratti: sono fondamentali. Dobbiamo investire in infrastrutture digitali nazionali, sicure e autonome, promuovendo la localizzazione dei server qui sul nostro territorio e favorendo lo sviluppo di cloud nazionali ed europei.
Sul lavoro, l'intelligenza artificiale deve essere un fattore di progresso sociale, non di esclusione. Serve un grande piano nazionale di formazione, di educazione digitale: dalle scuole ai lavoratori, agli insegnanti, a tutti i professionisti. Dobbiamo dare a tutti le competenze per governare questa trasformazione. L'intelligenza artificiale deve rafforzare il capitale umano, non impoverirono e - lo ripeto - le parti sociali devono pienamente essere coinvolte nella definizione delle politiche su questo tema e nel monitoraggio sul suo impatto.
Infine, l'intelligenza artificiale deve essere sviluppata rispettando i principi di legalità algoritmica, garantendo che ogni decisione automatizzata sia sempre imputabile a un responsabile umano e sia verificabile. Dobbiamo usarla per rafforzare il pluralismo, l'equità, la trasparenza, impedendo che diventi uno strumento di controllo o discriminazione e questo include una protezione decisa del diritto di autore e della proprietà intellettuale. Abbiamo bisogno di una strategia di lungo periodo, una politica industriale chiara, capace di integrare lo strumento intelligenza artificiale nel nostro tessuto produttivo, di sostenere le nostre imprese e posizionare l'Italia come un leader nell'innovazione europea e globale. Abbiamo tutte le carte in regola per farlo, le competenze per farlo, ma servono coraggio, lungimiranza e capacità di costruire. Per questo bisogna fare ricerca pura sul nuovo che deve ancora arrivare, con studi teorici, pratici, su software, algoritmi della prossima intelligenza artificiale, quella che ancora non c'è.