A.C. 2067
Grazie, Presidente. Colleghi, colleghe, Governo, dobbiamo stigmatizzare - come ha fatto la Presidente poco fa - il ritardo che, secondo noi, testimonia la poca attenzione che questa maggioranza di Governo ha verso questa proposta. L'abbiamo visto anche dall'iter che ha avuto in Commissione e poi dalla scelta, che è stata fatta, di portare la discussione in Aula senza mandato. Questa è l'ulteriore conferma, quindi, come dato politico, del disinteresse rispetto ad un tema così centrale. A noi invece piacerebbe provare a raccontare una storia diversa da quella che, spesso e volentieri, la destra, la destra di Governo, questa maggioranza raccontano, anche dalla storia che, al tempo stesso, racconta la gran parte dei media, spesso e volentieri in totale sintonia con la maggioranza di destra. Appunto, il mainstream, che tanto avete evocato, oggi di fatto siete voi. Il mainstream siete diventati voi.
Ci piacerebbe raccontare una storia vera, riportare alla realtà le cose, dire che questo Paese ha delle grandi difficoltà, dire che questo Paese si sta progressivamente impoverendo, dire che questo Paese vede i poveri diventare sempre più poveri e il ceto medio impoverirsi sempre di più, in una condizione di grande paura e di grande timore per il proprio presente e per il proprio futuro. Noi dovremmo partire da qui, da una constatazione della realtà, dalla verità.
Poi, a noi piacerebbe raccontare una storia diversa, che magari passasse attraverso un riconoscimento vero e reciproco tra maggioranza e minoranza, tra maggioranza e opposizione, che partisse dal fatto che, su alcune battaglie, ci potrebbe essere anche la possibilità di trovare una convergenza possibile nell'interesse del Paese, nell'interesse degli italiani e delle italiane, nell'interesse dei cittadini e delle cittadine di questo Paese. Anche una storia che magari vedesse le forze di questo Parlamento poter trovare, pur partendo da posizioni diverse e talvolta radicalmente diverse, anche le possibilità di una sintesi e di una convergenza possibile. Poi ci piacerebbe raccontare la storia di un Paese e di un funzionamento delle istituzioni dove intanto la maggioranza riconosce la dignità piena della minoranza e delle minoranze, la dignità politica e istituzionale, la propria possibilità di avere un protagonismo in queste Aule, che è un elemento fondamentale per il funzionamento stesso della democrazia e delle istituzioni democratiche, che dovremmo avere a cuore tutti noi.
Invece no. Quello che è successo in questi due anni di esperienza di questa legislatura testimonia che il Governo e la maggioranza hanno affossato ogni possibile proposta e ogni possibile possibilità di dialogo con le opposizioni, in tutti i campi, in particolar modo nel settore del lavoro, nel mondo del lavoro, per le proposte che abbiamo provato a fare sul mercato del lavoro - appunto - in maniera particolare. È successo sul salario minimo, quando avete provato a buttare la palla in tribuna, il ricorso al CNEL, e poi la trovata finale della delega in bianco al Governo, evitando il dibattito parlamentare, togliendo e tirandovi fuori da una discussione che, però, è nel Paese. Non solo perché le opposizioni, le minoranze, coloro che hanno proposto lo strumento del salario minimo tengono il punto su quell'aspetto, ma perché è un'idea, una proposta, uno strumento sentito come un elemento di giustizia dai cittadini e dalle cittadine, anche da tanti che votano per voi o hanno votato per voi. Poi, anche sulla settimana corta, cioè sulla riduzione dell'orario di lavoro - quello di cui stiamo discutendo oggi, che arriva oggi in Aula - avete provato a fare la stessa cosa e, anzi, peggio: avete presentato un emendamento che cancellava ogni norma e quindi di fatto annullava la proposta.
Oggi siamo qui, fondamentalmente, grazie all'ostinazione delle minoranze, in particolar modo da chi ha avanzato questa proposta di legge, cioè AVS, 5 Stelle e Partito Democratico, e grazie all'ostinazione delle minoranze avete ceduto. Però, il riflesso è sempre lo stesso. Questo noi verifichiamo da un punto di vista politico: fuggite dal confronto, avete la tendenza continua a esautorare il Parlamento - lo vediamo anche dalle proposte di riforma istituzionale che proponete (delle controriforme che proponete) - e calpestate le prerogative delle minoranze, senza rendervi conto che, così facendo, fate un torto non solo alle minoranze e alle istituzioni, ma anche al Paese, ai cittadini e alle cittadine e, in questo caso, ai lavoratori e alle lavoratrici. Il lavoro è la cartina di tornasole della vostra violenta e ideologica volontà classista.
Nel breve periodo, forse - e questo credo sia un ammonimento da tenere a mente semmai vi capitasse per la testa di ascoltare anche qualche parola dalle opposizioni - alimentare la paura, alimentare lo scontro sociale, non risolvere i problemi ma acuirli, trovare sempre il capro espiatorio e fare esercizio di vittimismo, nel breve, probabilmente - anzi, sicuramente - serve, perché voi avete capitalizzato questi aspetti nel vostro risultato elettorale e continuate a scommettere su questo.
Ma, alla lunga, questo è un atteggiamento che politicamente pagherete, ve ne porteranno il conto le cittadine e i cittadini del nostro Paese - ripeto, anche molti che hanno votato per voi -, perché essere ideologici e classisti porta a fare le scelte che avete fatto con il decreto Lavoro, con il collegato lavoro, con il “no” al salario minimo, con l'approccio che avete avuto sulla riduzione dell'orario di lavoro. Voi, in questi due anni, avete prodotto scelte che hanno portato il mercato del lavoro ad essere più precario, più insicuro e più povero, cioè tutto il contrario di quello che dovrebbe essere il giusto lavoro, il lavoro giusto, cioè basato sulle prerogative, sui capisaldi, che sono: le tutele, i salari adeguati e la conciliazione.
Voi sapete benissimo - c'è poco da fare, l'ha rammentato il presidente della Commissione poco fa, le audizioni fatte in Commissione - che il tema in discussione è enorme e centrale nelle società contemporanee, a maggior ragione per un Paese come il nostro, dove la produzione aumenta ma gli stipendi calano, dove aumenta l'età pensionabile e, nonostante la rivoluzione tecnologica, nonostante l'innovazione tecnologica, le ore di lavoro aumentano, dove si lavora di più che negli altri Paesi europei. In Germania, annualmente, la media è di 1.356 ore di lavoro, in Italia è di 1.723; in Italia si lavora 33 ore settimanali, più 3 rispetto alla media europea, più 7 rispetto alla Germania.
Eppure, lo abbiamo capito anche dall'esperienza abbiamo fatto pochi anni fa - sembra passato un secolo, un'epoca, ma sono pochi anni fa -, con l'esperienza del COVID, con il lockdown, anche se credo che dire queste cose a una maggioranza che è in gran parte negazionista anche su questi temi faccia impressione, me ne rendo conto. Se noi avessimo preso davvero insegnamento da quell'esperienza, ci saremmo resi conto che, pur cambiando le modalità di lavoro, la capacità di produzione, la produzione, non diminuivano. Quell'esperienza dovrebbe essere da ammonimento e anche da stimolo per provare a cambiare, a migliorare anche il modo di lavorare nel nostro Paese, migliorando la qualità della vita delle persone, dei lavoratori e delle lavoratrici.
C'è chi ci è arrivato prima, lo sappiamo, ci sono studi su questo aspetto: l'Islanda ci è arrivata molto prima del COVID, poi la Gran Bretagna, ma anche nel nostro Paese - lo sappiamo bene, noi che siamo in Commissione lavoro l'abbiamo visto direttamente - molte aziende, alcune grandi aziende hanno già iniziato a sperimentare, a lavorare sulla riduzione dell'orario di lavoro, anche qui, contraddicendo quello che voi praticate istituzionalmente e politicamente tutti i giorni, cioè la non ricerca dell'accordo, la non ricerca delle convergenze, la non ricerca della collaborazione. In queste grandi aziende presunti interessi divergenti hanno trovato una sintesi, si sono trovati d'accordo, perché si rendevano conto che con quel tipo di proposta, con quel tipo di esperienza si migliorava il lavoro, si miglioravano le modalità di lavoro nell'azienda e si migliorava la produzione nell'azienda. Quindi, lavoratori, impresa, lavoro e datori di lavoro si sono trovati d'accordo.
Noi crediamo che il tema, però, sia sempre lo stesso. Spesso e volentieri ci soffermiamo su alcuni dati particolari, su alcune situazioni particolari e, cioè, su errori, problemi che emergono, ma il problema vero è sempre il solito: cambio del modello di paradigma che noi dobbiamo provare a portare avanti, cambio di modello sociale ed economico e cambio di modello di sviluppo, un modello che rimetta al centro le persone, le relazioni tra le persone, i diritti sociali e collettivi. Per questo noi facciamo queste battaglie, per questo noi ci battiamo sul salario minimo, per questo ci battiamo per la settimana corta e per la riduzione dell'orario di lavoro: perché vogliamo provare a cambiare un modello che ha contraddizioni sempre più stridenti.
La settimana corta porta dei benefici, lo sappiamo, lo sapete anche voi: su questi proviamo a confrontarci. È vero o non è vero che la settimana corta e la riduzione dell'orario di lavoro migliorano la conciliazione vita-lavoro? È vero. È vero o non è vero che aumentano la produttività, perché producono gratificazione del lavoratore e della lavoratrice? È vero o non è vero che diminuisce l'assenteismo, perché si interrompe quel meccanismo di alienazione che c'è, spesso e volentieri, soprattutto nei lavori più ripetitivi? È vero o non è vero che ci sono maggiori opportunità di formazione che portano alla creazione di nuovi posti di lavoro? È importante per la sostenibilità ambientale, produce maggiore equità sociale. Mi avvio a concludere. Le vostre chiusure fino ad oggi si spiegano, l'ho detto prima: voi prosperate politicamente in un Paese chiuso, impaurito e diseguale, però questa roba ha il fiato corto. Allora, provate a fare un salto che dimostri che è così, che c'è la possibilità di confrontarsi, che c'è la possibilità di misurarsi insieme e dimostrate che tenete al bene comune. Questa è un'occasione da sfruttare, questa è un'occasione sulla quale misurarsi. Noi ci saremo sempre, sia per confrontarci, sia perché vi inchioderemo di fronte alle vostre gravi e colpevoli responsabilità.