A.C. 2067 e abbinate
Grazie, Presidente. Ancora una volta, le opposizioni danno una lezione importante alla maggioranza. Partendo, come è stato ricordato dai colleghi, da proposte diverse, con un confronto di merito, abbiamo trovato un punto di caduta comune da proporre a tutto il Parlamento, con una proposta di legge che, vorrei sottolineare, è firmata dai segretari dei principali gruppi di opposizione. Quindi, abbiamo trovato veramente offensivo e fuori luogo il fatto che la Ministra Calderone si sia peritata di definirla come proposta di alcuni esponenti dell'opposizione, alcuni oscuri, avrebbe potuto dire.
Con questa proposta noi chiediamo che sia affrontato nella sede propria, quindi il Parlamento, un tema di grandissima valenza per il futuro del nostro mercato del lavoro, ma direi anche del nostro Paese, un tema su cui si stanno interrogando in tantissimi altri Paesi, specie, come è stato ricordato, in relazione agli effetti che l'innovazione digitale e quella legata all'intelligenza artificiale possono avere sul mercato del lavoro, sull'occupazione, sull'esigenza di formazione.
Ancora una volta, a fronte di questa prova di serietà da parte dell'opposizione, la maggioranza ha reagito con la sua solita arroganza, proponendo che cosa? Un emendamento soppressivo, cioè neanche lo sforzo di provare ad articolare una proposta, di tirare fuori un vagito, un lamento, un segno di presenza. Questa maggioranza, che definisco maggioranza silenziosa, non si è peritata, probabilmente ritenendo che il tema non sia di alcuna rilevanza, di fare delle proposte.
E lo scarsissimo dibattito che abbiamo avuto, perché chiamarlo dibattito è veramente eroico, oggi, in Parlamento, dimostra questa volontà di rappresentare il parere degli altri in modo fuorviante, perché, evidentemente, non leggono o non capiscono le nostre proposte.
Il tutto è contornato da un'afasia che risulta particolarmente drammatica visto l'importanza del tema, perché il tema è l'orario di lavoro, i tempi di lavoro. I tempi di lavoro sono un elemento cruciale: lo sono nell'organizzazione del lavoro e, quindi, sulla sua qualità; lo sono sotto tantissimi profili, compreso quello della sicurezza e quello della produttività. Ma sono un elemento cruciale anche per la vita delle persone, perché c'è anche altra vita oltre al tempo di lavoro: la vita privata, la vita familiare, la vita che dobbiamo spendere per la cultura e per la partecipazione alla vita pubblica. E qui mi piace citare un'affermazione di Bertrand Russel del 1932: “L'idea che i poveri dovrebbero avere del tempo libero è sempre stata scioccante per i ricchi”. Ecco, noi crediamo invece che questo tema, cioè, la conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro sia fondamentale.
Quando si è arrivati a proporre normative è intervenuta anche la Comunità europea, come sapete: ci è stato ricordato - come se noi non sapessimo - che esiste una direttiva sull'orario di lavoro. Ebbene, in quel momento ci fu uno scontro proprio perché parti significative del mondo datoriale rivendicavano a sé il controllo dell'orario. Ma non è possibile che sia così: il controllo dell'orario non può essere appannaggio di una parte sul mercato del lavoro e l'intervento normativo, con buona pace ancora della nostra Ministra (credo del Lavoro, non lo so), la Ministra Calderone, è necessario ed è storicamente andata sempre così. L'intervento normativo ha la funzione, da un lato, di dare stabilità alle lotte, ai risultati ottenuti nella contrattazione e a quello che si va sedimentando (un po' a macchia di leopardo) e che avviene sul territorio; dall'altro lato, ha la funzione fondamentale di dare tutela anche ai soggetti deboli, perché la norma è per tutti; la contrattazione invece può arrivare magari - bene, benissimo - ma non dappertutto. Quindi, che si parli di una norma - per giunta, delicata, accompagnata da un monitoraggio e una sperimentazione - come quella che oggi proponiamo, è assolutamente fisiologico e normale. Cosa ci porta oggi a definire l'urgenza di questa tematica?
Una tematica che - come ho detto - potrebbe essere esaminata dal punto di vista della sicurezza, della salute, dell'intensità del lavoro e degli effetti di burnout che ben conosciamo, della sostenibilità ambientale e della produttività del lavoro. Il tema che oggi ci fa capire che questa è un'emergenza è che siamo di fronte (anzi, è già in atto) ad un'importantissima rivoluzione industriale: l'innovazione tecnologica e digitale e l'intelligenza artificiale infatti avranno, hanno e stanno avendo effetti rilevantissimi sulla composizione e sulla quantità di lavoro necessario per produrre. È un tema che interroga tutti e anche che dobbiamo conoscere; è un lavoro in progress che può permettere di risparmiare lavoro, ma che può anche richiedere, anzi, richiede, di riqualificarlo: non a caso noi leghiamo la nostra proposta all'obbligo, per le imprese che accederanno all'aiuto pubblico che proponiamo, di investire in innovazione e formazione (quindi, con un elemento di condizionalità ben esplicitato).
Se si risparmia lavoro, però, si possono avere due effetti: si può ridurre l'occupazione e questo è l'esito che noi non vogliamo e per cui ci attrezziamo in partenza. È sempre successo che con le le rivoluzioni industriali ci sia stato un periodo in cui la forza lavoro ha sofferto moltissimo, perché ha pagato i costi delle innovazioni. Noi vogliamo, invece, che da subito sia chiaro che i benefici dell'innovazione devono essere distribuitie distribuirli vuol dire impedire il massacro dei lavoratori con una perdita di lavoro, una dequalificazione del lavoro e un non pagamento del valore del lavoro; è necessaria, invece, un'appropriazione collettiva e ben distribuita del valore aggiunto. Questo è il senso principale per cui bisogna parlare di questo problema; se no, se noi non lo affrontiamo, sapremo che lo pagheremo con disoccupazione e con un aumento delle disuguaglianze, sia sociali che retributive.
In quale forma e in quale misura la riduzione deve prendere forma? È un processo articolato che richiede confronto e sperimentazione e che si può avvalere di strumenti organizzativi diversi. Noi abbiamo pensato sia alla riduzione del numero dei giorni che alla riduzione dell'orario giornaliero, ma sono solo un esempio.
Per questo, diversamente da quanto ha detto ancora la Ministra Calderone e hanno ripetuto oggi l'onorevole Malagola ed altri, non rimandate a noi la palla del fatto che non ci occupiamo delle parti sociali e ne neghiamo il ruolo, quando siete voi che lo negate. Lo negate normativamente perché, se non ci fossimo stati noi a fare le nostre battaglie assieme alle parti sociali, avreste fatto passare un concetto di “rappresentanza senza rappresentanza”, dando spazio ai sindacati che non hanno degli iscritti - e questo è quello che ben sapete che abbiamo bloccato insieme, sia con riferimento al decreto 1° maggio sia con riferimento al decreto PNRR - e lo negate voi perché non vi confrontate mai coi sindacati. Li evocate ma non li convocate: è un pochino diverso. E quando li convocate, lo fate per dirgli: “Abbiamo deciso questo, volete saperlo cinque minuti prima degli altri?”. Quindi, non veniteci a fare delle prediche, perché la nostra proposta di legge è proprio incardinata sulla possibilità di sollecitare e di accompagnare una attività che viene intrapresa dalle parti sociali nella contrattazione.
Questo è un elemento fondamentale e non riempitivi la bocca di elementi del tipo “a noi piace la partecipazione”, “la partecipazione gestionale” e quant'altro, perché non è vero. Quello che noi vi chiederemo e ve ne chiederemo conto fra pochi giorni, fra poche settimane, quando sarà, quando la legge sulla partecipazione verrà discussa, è questo: vi chiederemo di rafforzare quella che è la partecipazione organizzativa, che non è una commissione bilaterale dove sono chiamati pochi saggi, non rappresentanti ma eletti (“eletti” nel senso di “meritevoli”), a cui si danno dei premi dei lavoratori per proporre delle cose sull'innovazione e l'efficienza. No, la partecipazione organizzativa facciamola pure con un ente bilaterale, ma bisogna che sia un luogo dove i rappresentanti delle parti sociali vere (quindi, i rappresentanti del sindacato, per quanto riguarda i lavoratori) si confrontano su tutti i temi che hanno a che fare con l'organizzazione. Non avere quel luogo e non confrontarsi in quel luogo - ad esempio, sull'organizzazione dei tempi di lavoro, sui riposi, sulle ferie, sugli straordinari - deve essere considerata una negazione dei diritti sindacali.
Vedremo cosa direte quando arriverà questa nostra proposta e se le vostre parole hanno un senso. La nostra proposta è molto semplice e non ha degli elementi di forzatura, diversamente da quanto è stato ricordato prima, perché non ha una caduta normativa già esattamente prefigurata. La nostra proposta sollecita e accompagna un'applicazione, che già sta nascendo in tanti settori, di una riduzione dell'orario di lavoro in forme e modalità diverse e dà un sostegno pubblico a questa. Inoltre, diversissimamente da quando ha detto l'onorevole Malagola (che non so che cosa ha letto), la monitora. Così, arriva una proposta normativa sulla base dei risultati, che adesso non possiamo prefigurare (per questo non li abbiamo già scritti): sulla base dei risultati di quelle applicazioni, di quelle sperimentazioni, di questo periodo di alcuni anni in cui si comincia a mettere in pratica, con modalità scelte dalle parti sociali, la riduzione dell'orario di lavoro.
Questo è quello che noi vogliamo. Quello che, invece, non vogliamo e che voi volete con forza, perché lo dimostrate con i vostri atti, è una riduzione di orario di lavoro che si chiama “flessibilità”, non accompagnata dal mantenimento del salario ma, anzi, accompagnata da una compressione dei salari. Ed è una flessibilità in cui il tempo gioca un ruolo fondamentale, quando noi permettiamo il proliferare di forme ingovernate di contratti precari, in cui si fa lavorare una persona poche ore, pochi giorni, pochi mesi, a piena discrezionalità del datore di lavoro, senza regole che sarebbero per il lavoro a tempo determinato, ad esempio, le causali: certo che non volete le leggi, le avete tolte le causali per legge e avete permesso, addirittura, che le causali siano decise nella contrattazione individuale.
Ma quella non è contrattazione: quando il lavoratore si trova uno ad uno di fronte al suo datore di lavoro, non ha lo stesso potere contrattuale. Questa è la riduzione dell'orario di lavoro, la flessibilità che voi volete e che noi non vogliamo, così come non vogliamo che il lavoro sia affittato e, quindi, l'estrema diffusione della somministrazione che è un modo per aggirare le poche regole - che pure permangono per il lavoro a tempo determinato - non ci vanno bene. La somministrazione è una cosa sacrosanta, ma nella funzione che deve svolgere: funzioni temporanee, esigenze temporanee per un'impresa che non abbia lavoratori specializzati in un particolare compito; non la qualunque, con gente che deve stare a disposizione con un'indennità di disponibilità che non paga il suo tempo, perché il tempo del lavoratore è sacro e va rispettato.
E così l'apoteosi del part time che dovrebbe essere raccontato come uno strumento di conciliazione, un modo di organizzare il lavoro che permette quasi sempre, si dice, alle donne di badare ai figli e il marito, e anche di lavorare un pochino. Ma che conciliazione c'è, dietro questo strumento, quando l'orario di lavoro è assolutamente imprevedibile perché è nella piena disponibilità del datore di lavoro? Che conciliazione c'è, quando, con le clausole elastiche, con il ricorso allo straordinario, le 20 ore contrattate possono diventare 25, 30, 40, a piena discrezione del datore di lavoro? Noi vogliamo, invece, che si affronti il tema della conciliazione dentro un ridimensionamento dell'invasione dello spazio di lavoro nella vita privata, che riguarda sia donne che uomini, sia donne che uomini. È, per questo, che noi anche proponiamo un altro strumento, il congedo paritario, perché donne e uomini hanno pari responsabilità nei confronti dei figli che, responsabilmente, decidano di mettere al mondo. Non ci piace la riduzione forzata dell'orario di lavoro, che si registra statisticamente praticamente in tutti i Paesi che sono stati studiati. Cioè, questo fatto che ritorna sempre: nasce un figlio, le donne riducono l'orario di lavoro e gli uomini lo aumentano. Ovviamente, le donne lo riducono perdendoci in salario, possibilità di carriera e quant'altro; e gli uomini lavorano di più perché rimangono gli unici a dover garantire un reddito adeguato alla famiglia, come era qualche secolo fa e come speriamo che non si debba più realizzare. Quindi, noi non siamo per una conciliazione al femminile, siamo per una conciliazione in cui si riduce l'orario di lavoro, ma accompagnata da una condivisione.
Ultimissima cosa, nel minuto che mi resta. Lo diceva anche l'onorevole Foti l'altro giorno: non venite a dire “ci mettete dei soldi pubblici”, o “sono pochi”, “chissà quanti saranno”, perché chi mette dei soldi pubblici, interferendo con la contrattazione privata, siete prima di tutto voi. E lo fate nella direzione sbagliata. Lo fate, ad esempio, in questa legge di bilancio, affidando le politiche per la casa, che sarebbero bene una cosa delicata, dopo avere tagliato il fondo per gli affitti, affidandole a un fringe benefit unilaterale deciso dal datore di lavoro che viene, però, detassato, a spese di tutta la collettività. Oppure, dicendo che nel turismo non si riescono a trovare persone, bisogna far fare gli straordinari a quelli che ci sono, a proposito di orari di lavori spropositati, e allora, sai cosa ti dico, lo facciamo pagare alla collettività. Ma qualcuno mi sa spiegare perché noi tutti con le nostre tasse dobbiamo pagare, per conto del datore di lavoro, uno straordinario che lui esige dal suo datore di lavoro, non pagandolo in modo adeguato.