A.C. 2613-D
Grazie Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi tutti, dal dibattito che abbiamo svolto e dalla rievocazione dei tanti tentativi di riformare la nostra Costituzione nelle parti che andavano riviste (quelle che, come alcuni hanno detto, avevano bisogno di manutenzione, mentre altri, magari in una maniera un pochino più elegante, hanno ritenuto di dover distinguere tra i principi fondamentali e tutto quello che è il cuore della cosiddetta forma di Governo – quindi il rapporto tra il Parlamento e il Governo nel nostro Paese –) da questo dibattito, dicevo, si è capito come probabilmente la revisione costituzionale si sia dimostrata più difficile della fase costituente stessa. Scrivere una Costituzione dopo che un Paese è raso al suolo, è più facile probabilmente – credo che la storia ci abbia dimostrato, ci stia dimostrando questo – che cambiarla, anche in parti non relative a princìpi supremi: perché le forze in campo si sono consolidate, si sono stratificate; perché i partiti e le forze politiche hanno in qualche modo assunto la difesa o la mutazione di una parte della Costituzione ad elemento del loro programma; perché nel nostro caso molto più banalmente siamo il frutto di una fase eccezionale della politica italiana, e siamo chiamati, come organi costituzionali deputati alla revisione, alla riforma della Costituzione, a dover dialogare tra Camere differenti.
La sorpresa nell'ascoltare gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto non è tanto per il rituale attacco al Governo, o per l'attribuzione generale e specifica di colpe al partito di maggioranza relativa: è per l'idea che il desiderio di una propria opinione sulla riforma della Costituzione possa facilmente realizzarsi con le regole della revisione della Costituzione. Ci sono colleghi che sono intervenuti alla Camera dei deputati fingendo che non esista nella modifica della Costituzione un doveroso confronto da parte della Camera con il Senato della Repubblica: nessuno ne ha parlato ! Che noi facciamo una revisione della Costituzione, che ridimensiona il sistema bicamerale perfetto o paritario, come si dice, con il consenso della Camera che perde completamente il potere di indirizzo politico, il Senato della Repubblica; con una trasformazione del suo potere, con una trasformazione della figura del senatore, con un richiamo forte ad una partecipazione ai processi legislativi di autonomie locali che sino ad oggi potevano semplicemente far battaglia al Parlamento e al Governo davanti alla Corte costituzionale: bene, di questo sembra che il nostro dibattito abbia smarrito traccia. E questo probabilmente perché un contenuto di il merito della riforma costituzionale ! È il merito che ci viene richiesto, e ci viene raccontato, nei vari tentativi che da oltre trent'anni vengono effettuati dalle Bicamerali, dalle iniziative del Governo; li richiamerò dopo, queste iniziative e questi precedenti dei Governi della Repubblica: legittime iniziative e legittimi precedenti, autorevoli precedenti, quanto, ahimè, scontratisi con la realtà dei fatti e la realtà di una politica che non ha consentito loro di compiere l'ultimo passo, l'ultimo miglio.
Ma prima di affrontarli, questi temi, vorrei dire una parola chi, in maniera esplicita o in maniera larvata, ci ha detto che non eravamo abilitati a svolgere la revisione costituzionale perché siamo un Parlamento viziato dal premio di maggioranza. Certo, c’è da vent'anni un più o meno forte premio di maggioranza nella determinazione del Parlamento, dei numeri del Parlamento; però la critica per cui questo Parlamento non potrebbe occuparsi di riforme della Costituzione perché, si dice, c’è il premio di maggioranza che intossica tutto, secondo me e paradossalmente si dimostra infondata proprio perché in questa legislatura straordinaria c’è stato anche un eccezionale rimescolamento delle carte, sin dai primi giorni della legislatura. Vorrei ricordarlo all'onorevole D'Attorre, e a tutti quei colleghi dell'opposizione al Governo che hanno parlato contro tutta o una determinata parte della riforma costituzionale: alcuni di costoro sono contro la riforma costituzionale, e sono qui grazie al fatto che, come il sottoscritto, esiste un premio di maggioranza; ma non sostengono la riforma costituzionale ! Ci sono partiti – penso a Scelta Civica – che non hanno goduto del premio di maggioranza, e sono a favore della riforma costituzionale. Ci sono persone che han fatto obiezione di coscienza ai partiti nei quali sono stati eletti, e sono a favore o contro la riforma della Costituzione. Io credo che da questo rimescolamento di carte, di persone che hanno assunto legittimamente una posizione politica diversa da quella che ha originato la loro presenza in Parlamento, l'obiezione per cui noi non possiamo farla, la riforma costituzionale cade del tutto ! E cade a maggior ragione se teniamo conto che questa legislatura è andata avanti al suo inizio, proprio perché ha avuto come obiettivo quello di farle, le riforme, non quello di girarsi dall'altra parte circa la loro necessità.
Circa l'intervento del Governo, vorrei citare non l'episodio dell'iniziativa del centrodestra nel 2005: ne conosciamo il contenuto, sappiamo anche che fu sconfitta nel referendum confermativo. Lo voglio dire alle persone che qui si sentono di rappresentare, il popolo del centrosinistra: come possiamo noi pensare e dire che questo tema non è stato negli ultimi vent'anni un'evocazione di doverosa iniziativa della politica del centrosinistra ? E anche del centrosinistra che guidava il Governo !
Faccio una citazione: «Questo Governo considera le riforme istituzionali un punto fondamentale del suo programma, e pertanto intende dare il suo contributo allo stesso processo di riforma del sistema elettorale, assumendo la responsabilità delle necessarie iniziative ai fini del dibattito parlamentare». È il febbraio 1999, Massimo D'Alema, Presidente del Consiglio dei ministri. «Se avrò – faccio un'altra citazione, più recente – una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare; in caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l'ennesima volta, non avrei esitazioni a trarne immediatamente le conseguenze». Enrico Letta, aprile 2013.
E allora la scelta che abbiamo fatto non è una scelta, colleghi, di cui vergognarsi: è una scelta realistica, è un'ispirazione al principio di realtà che ogni tanto deve anche riguardare la politica e il dibattito che si svolge in queste Aule. Abbiamo un complesso di riforme costituzionali in cui non tocchiamo né i principi fondamentali né la forma di Governo; e la scelta di non intervenire sulla forma di Governo – lo voglio dire a chi ha detto che noi la stavamo cambiando senza mandato elettorale – è stata una autolimitazione rispetto al programma della coalizione «Italia. Bene comune».
È stato ricordato qui: la coalizione «Italia. Bene comune» ha fatto la sua campagna elettorale dicendo che avrebbe cambiato la Costituzione e modificato la forma di Governo ispirandola ad un rapporto da mantenere tra Parlamento e Governo, ma rafforzando il potere del Presidente del Consiglio, facendo ricevere ad esso solo il voto di fiducia e dando al Presidente del Consiglio, secondo un modello che viene chiamato per similitudine «Westminster», il potere di chiedere lui e di ottenere dal Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere. Questo era scritto nel programma di «Italia. Bene comune». Per quanto ci riguarda sono stati affrontati tutti i temi... C’è una connessione quindi inscindibile tra il tempo della politica che abbiamo vissuto negli anni, ma anche nel momento in cui c’è stato dato di chiedere agli elettori il consenso per intonare di contenuto questa legislatura, e quello che abbiamo fatto in questi mesi. Non pochi mesi, perché la discussione sulla riforma costituzionale arriverà, nel complesso della discussione dei progetti, dall'inizio sino al referendum costituzionale, a coprire circa tre anni e mezzo della nostra legislatura. Chi ha voluto immiserire il nostro lavoro dicendo che abbiamo fatto una cosa quasi di nascosto e frettolosa si confronti almeno con il calendario, se non vuole confrontarsi con le migliaia di interventi che abbiamo avuto in Commissione, le centinaia di emendamenti esaminati e le innumerevoli modifiche e impostazioni che le sei diverse letture hanno impegnato, sia alla Camera che al Senato, decine e decine di parlamentari nelle Commissioni di merito e quasi mille nelle votazioni in Aula.
Voglio rispondere ad alcuni accenti, però, che in quest'ultimo un tratto del nostro dibattito sono emersi in maniera più puntuale, alcuni di sicuro interesse: perché solo un quesito e non tanti quesiti, come alcuni ci avevano richiamato a fare, nell'eventuale referendum di conferma della riforma costituzionale? E perché dobbiamo trasformare questo referendum costituzionale in una prova della maggioranza. Inizierei da questo secondo punto. È una cattiva prova della maggioranza se il referendum confermativo verrà interpretato – come noi lo interpreteremo – come il doveroso porgere al popolo italiano il lavoro che abbiamo fatto, spiegarlo nelle piazze, non solo quelle mediatiche ma anche quelle vere, nei luoghi dove si svolge la discussione politica e nei luoghi dove questa discussione politica magari cercheremo di riattivare ? Perchè, questo sarà il senso del richiamo che la maggioranza che qui sostiene, in Parlamento, il testo di revisione della Costituzione farà al popolo e al proprio dovere di fare politica, assumendosi il rischio della proposta faccia, andando a spiegare il perché alcuni contenuti sarebbero potuti essere diversi ma sono quelli che invece ricevono il voto del Parlamento, andando a spiegare perché non abbiamo riformato altre parti della Costituzione, riportando insomma il nostro lavoro davanti al popolo italiano e chiedendo un voto di sostegno all'innovazione costituzionale, che non è travisamento e non è stravolgimento della Costituzione ma è una conferma dei suoi principi, è – non voglio usare la parola «manutenzione» – ridare alla democrazia quell'efficienza e quella capacità di rappresentare e decidere insieme, che, a mio avviso, è la cifra della nostra Carta costituzionale. Perché un unico quesito ? Perché c’è una connessione inscindibile tra la riforma del Senato, come si fanno le leggi quando il Senato non ha più un diritto di iniziativa e di deliberazione legislativa piena, di come queste leggi possono essere proposte o abrogate dal popolo e come queste riforme influenzano gli organi di garanzia.
Per questo ci sarà un solo quesito. Dobbiamo chiederlo noi, il referendum come maggioranza? Avremo i numeri per farlo, avremo i numeri anche tra la gente, perché non sono solo i deputati e i senatori che possono chiedere il referendum confermativo, ma ci sembra che questo sia un «non problema». Non chiediamo un plebiscito, non chiediamo una conferma dei numeri del Governo, chiediamo però che il Paese riconosca che in questa legislatura sta accadendo una cosa abbastanza eccezionale, cioè che una legislatura che doveva finire nel giro di poche settimane si sta trasformando in una legislatura di cambiamento. Perché, per quanto riguarda gli istituti della democrazia, ha affrontato il tema del finanziamento diretto ai partiti, ha reagito all'abrogazione, per via di sentenza della Corte costituzionale, della legge elettorale, ha approvato in questa Camera una legge sul conflitto di interessi, sta esaminando una legge sui partiti, dopo che se ne parla dal momento dopo che la Costituzione è stata approvata. Il Parlamento sta facendo il suo lavoro riformatore. Non credo sia né utile né vero descrivere questo lavoro come il ripudio di un'idea di partecipazione popolare alla vita del Paese. Anzi, se noi queste cose non le facciamo, nella finzione che tutto funzioni, abbandoniamo la democrazia ad una deriva a cui noi non possiamo permetterci di abbandonare.
Non siamo quelli della zattera, non siamo quelli che lasciano la democrazia italiana nel mare dell'inefficienza, delle carenze raccontateci e contestateci da decenni di dibattiti politici; non ci giriamo dall'altra parte, vogliamo liberare – e vado a concludere – alcuni organi costituzionali da alcuni importanti limiti che hanno avuto precedenti riforme. Si è detto che la riforma costituzionale del Titolo V del 2001 è stata un disastro, l'ha fatta il centrosinistra. Bisogna anche essere capaci di dire che non tutto era giusto e non tutto era sbagliato, ma sicuramente è stato sbagliato, definendo due tipi di competenze legislative, quelle dello Stato e quello delle regioni, e una competenza concorrente tra loro, fare della Corte costituzionale un ring tra le regioni e lo Stato. La metà del tempo del lavoro della Corte costituzionale è stato dedicato negli ultimi anni a fare da arbitro tra questi due pugili, che in alcuni momenti avevano perso probabilmente la ragione della leale cooperazione e collaborazione e volevano ciascuno tirare un po’ troppo la ragione solo dalla propria parte.
Noi, invece, vogliamo portare le autonomie in quanto tali, non solo quelle regionali, nel processo di formazione della legge statale, perché vogliamo renderle partecipi delle ragioni della unità dello Stato. Vogliamo evitare il conflitto perenne tra le realtà istituzionali rappresentative delle nostre comunità; vogliamo che le ragioni di questa Italia, diversa da area ad area del Paese, quindi differenziata nei poteri e nel loro esercizio, trovi uno spazio nella formazione della sintesi delle regole del Paese, che sono le leggi della Repubblica. C’è stato detto che non c’è equilibrio tra rappresentanza e Governo: noi crediamo che questo ci sia, perché non abbiamo toccato nulla degli elementi che fanno la forma di Governo italiano della Repubblica italiana; l'abbiamo fatto anche quando qualcuno ci diceva «spingete di più l'acceleratore» ma, per il rispetto che il contesto politico ci porta ad avere del potere di un Parlamento che fa la revisione della Costituzione e vuole limitarla alle cose più importanti, quelle che servono alla sopravvivenza – e anche oltre una bella sopravvivenza, direi – della democrazia italiana, ci siamo fermati. Abbiamo però mantenuto alta la possibilità che, uscendo da questa fase di revisione costituzionale, noi potessimo dire che l'impegno preso da ciascuno di noi alle elezioni, ma soprattutto da ciascuno di noi dopo le elezioni, sia stato un impegno che non ci ha fatto vergognare dal proseguire la vita della nostra legislatura.
Abbiamo la possibilità di fare il referendum a testa alta; abbiamo la possibilità di spiegare che valorizziamo ogni pezzo della nostra democrazia; abbiamo la possibilità – e lo dico a voi, colleghi di SEL –, avete la possibilità di dire che, per esempio – perché fu SEL a fare questa operazione diciamo di serio compromesso di lavoro costituzionale al Senato –, con un numero maggiore di firme, rispetto alle attuali con 800.000 firme, si indice un referendum abrogativo e quel referendum è valido se va a votare non la metà più uno degli elettori, ma la metà più uno degli elettori che hanno partecipato alle elezioni politiche. Quindi trasfomiamo radicalmente l'istituto del referendum abrogativo, ciò è merito di un lavoro che abbiamo fatto insieme. Possiamo dire a testa alta che è vero, può apparire più complicato il procedimento legislativo, ma in realtà non lo sarà perché il Senato sceglierà i temi su cui interloquire con la Camera politica e col Governo. Possiamo dire che le leggi di iniziativa popolare si arricchiscono di un nuovo sistema di proposta e di indirizzo, il referendum appunto, di indirizzo e propositivo, ma anche le leggi di iniziativa popolare, che hanno la possibilità, non solo di essere proposte ma di essere approvate entro termini certi. Tutte queste cose le abbiamo rese possibili noi, le ha rese possibili la nostra discussione, le ha rese possibili il nostro confronto. Lo diremo agli italiani, lo diremo nelle prossime ore con il nostro voto: non c’è nulla di cui vergognarci, c’è tanto di cui essere orgogliosi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia).