A.C. 2613-D
Il disegno di legge che siamo, oggi, chiamati ad approvare in seconda lettura è frutto di un lungo e discusso percorso che ha visto modificare, in alcuni aspetti – anche radicalmente – l'originaria proposta presentata dal governo.
Le modifiche apportate – grazie alla tenacia di quanti hanno sempre concepito questo compito con il senso di responsabilità istituzionale e dei principi costituzionali che ancora caratterizzano la nostra Costituzione – hanno evitato, almeno nei punti essenziali, una distorsione che avrebbe potuto dare effetti certamente negativi, sia sul piano della rappresentanza, sia sul piano delle garanzie.
Voglio essere chiaro: mi rifiuto di stare al gioco di chi ancora oggi continua a qualificare ostruzionistica ogni posizione o ogni genuina forma di contributo. Almeno, per quel che è ed è stato il mio atteggiamento, ho soltanto cercato di suggerire e sostenere quelle correzioni che ho ritenuto essenziali per mantenere il nostro sistema nell'alveo dei principi democratici e delle libertà fondamentali, anche attraverso la salvaguardia dei diritti della minoranza parlamentare.
Qui si sta parlando e stiamo modificando la Costituzione della nostra Repubblica e, dunque, non si tratta di essere fedeli comunque ad una posizione piuttosto che ad un'altra, ma si tratta di essere fedeli al principio democratico e alla dignità del nostro Paese.
Si tratta anche – come ho tenuto a ripetere in ogni occasione – di pensare ad un sistema che garantisca il miglioramento e l'efficienza delle nostre istituzioni, ma pensandolo nell'interesse della maggioranza come della minoranza, sapendo che domani il rapporto potrebbe essere invertito e nessuno debba, a quel punto, pentirsi di non aver garantito il diritto e la capacità di condivisione delle minoranze, sia nell'azione di Governo, sia nell'azione degli organi di garanzia costituzionale.
Quando tocchiamo temi come la rappresentanza, il ruolo delle due Camere, il modo di eleggere il Presidente della Repubblica e i giudici costituzionali, le competenze dello Stato e delle regioni, stiamo incidendo sul sistema fondamentale che regolerà la vita istituzionale dei prossimi decenni, con tutti gli effetti politici, economici e sociali, conseguenti.
I nostri Padri costituenti, quando concepirono la Costituzione che oggi stiamo cambiando, non pensarono ad essi stessi o all'interesse di Governo contingente ma offrirono alle generazioni di allora e a quelle future un modello democratico, fondato sulla solidarietà e sulla libertà, che, insieme al sistema proporzionale, diede voce a tutte le parti politiche e sociali, dalle più grandi alle più piccole. Quel sistema pluralistico fece crescere l'Italia.
Non so se, oggi, noi ci siamo riusciti. Lo vedremo. Lo spero.
Siamo stati tutti d'accordo nel superare il bicameralismo paritario, prevedendo il rapporto di fiducia tra una Camera e il governo.
Probabilmente, in nome della non condivisibile spending review istituzionale se applicata agli organi legislativi dello Stato, avremmo potuto diminuire il numero dei deputati a 530 e prevedere un Senato dimezzato, ma con membri eletti con sistema proporzionale e diretto, senza sbarramenti, ed altri di rappresentanza territoriale e di categorie (sull'idea suggerita a suo tempo da Ambrosini e da Mortati), facendolo divenire una camera in cui avrebbero trovato rappresentanza tutte le componenti politiche, sociali ed economiche, comunque fuori dal rapporto di fiducia.
Avremmo potuto introdurre un sistema di rappresentanza e di espressione tipo Bundesrat, con voto unico.
Abbiamo, per fortuna, superato – anche se non del tutto – la presenza dei sindaci, che l'esperienza francese ci aveva sconsigliato.
In compenso, nei vari passaggi parlamentari, è migliorata l'identità del Senato, che in alcuni casi avrà gli stessi poteri legislativi della Camera.
Non senza difficoltà, in nome della condivisione delle scelte che riguardano gli organi di garanzia costituzionale e politica, abbiamo restituito un ruolo alle minoranze nell'elezione del Presidente della Repubblica e non abbiamo modificato le vigenti norme costituzionali in tema di elezione dei giudici costituzionali, che, atteso il sistema elettorale introdotto, avrebbe altrimenti creato una potenziale prevaricazione da parte del partito di maggioranza.
Non siamo, però, riusciti ad eliminare una incoerenza evidente: la presenza dei senatori di nomina presidenziale che nulla hanno a che vedere con un Senato di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Per senso di dignità istituzionale, avrei mantenuto soltanto gli ex Presidenti della Repubblica, spostandoli magari alla Camera dei deputati. Erano state suggerite altre modifiche, sempre nel segno dell'equilibrio del sistema. Per esempio, si era proposto di prevedere il divieto per il governo di porre la questione di fiducia su disegni di legge-delega presentati dal governo stesso: un modo per evitare che il delegato predisponga la delega e poi eviti ogni ingerenza del parlamento ponendo pure la questione di fiducia.
Di contro, abbiamo evitato di introdurre espressamente nella Costituzione il «voto bloccato», prevedendo che dovrà essere il regolamento parlamentare a stabilirne modalità, limiti e omogeneità in ordine al disegno di legge del Governo, magari indicando anche il numero massimo di volte, cui il governo potrà ricorrere a tale procedura.
Non abbiamo introdotto il controllo preventivo di costituzionalità sulle leggi ma siamo riusciti a prevederlo per le leggi che disciplinano l'elezione dei membri di Camera e Senato. Anzi, transitoriamente, tale controllo è previsto anche per la legge elettorale già entrata in vigore per l'elezione della sola Camera.
Avrei preferito che in tema di autorizzazione alla ratifica dei trattati con l'Unione europea, oltre a prevedere l'approvazione delle due Camere, si fosse data la possibilità di richiedere un referendum «confermativo», in modo da far partecipare il Popolo in scelte di tale importanza che spesso, come abbiamo ormai compreso, sono passate senza la dovuta consapevolezza e con norme che hanno prodotto il sistema che oggi stiamo faticosamente cercando di cambiare. D'altro canto, mi auguro che siamo riusciti, comunque, a mantenere quel residuo di sovranità che ci possa far ancora resistere ai continui tentativi di annientare la volontà della rappresentanza e, dunque, del Parlamento. Insomma, spero che siamo ancora in tempo – e, soprattutto, consapevoli – per non cedere al sentimento di fastidio che a livello europeo si è espresso nei confronti dei Parlamenti, che si vorrebbe fossero ridotti a meri organi di ratifica delle scelte esterne, le loro.
Lo richiamai, l'anno scorso, in commissione ma penso che vada la pena tenere presente il monito di Spencer, secondo cui «la funzione del liberismo in passato fu quella di porre un limite ai poteri del re. La funzione del vero liberismo in futuro sarà quella di porre un limite ai poteri del Parlamento».
E per tali ragioni che – dovendola affrontare – preferisco avere una riforma della Costituzione discussa e costruita dal Parlamento, piuttosto che – come si era tentato nel 2013 – una riforma che, a seguito della manomissione dell'articolo 138, avrebbe esautorato il Parlamento, chiamato a quel punto alla mera ratifica.
Infine, da partito di maggioranza non richiederei il referendum costituzionale, in quanto concepito quale strumento della minoranza. Ma se il Partito democratico dovesse comunque richiederlo, significherebbe spostare la definitiva approvazione della riforma, affidandola al Popolo direttamente al momento del voto referendario.