A.C. 107 e abbinata
Signor Presidente, colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, i numeri dell'ultimo decennio delle startup sono chiari e ci raccontano due cose: innanzitutto, della lungimiranza della norma del 2012 voluta dall'allora Ministro Passera, che è una disciplina che per alcuni aspetti continua ad essere all'avanguardia in Europa; in secondo luogo, che il mercato delle startup è in crescita, ma resta da fare ancora tanto per favorirne lo sviluppo e il consolidamento.
Il provvedimento che stiamo esaminando non è certamente il migliore dei provvedimenti possibili, i paletti posti dal Ministero dell'Economia e delle finanze ne hanno certamente limitato la portata, ma va nella direzione giusta. È un passo significativo su una strada che deve essere percorsa per intero dal legislatore italiano per colmare il gap che divide il settore delle startup italiano da quello francese, tedesco e del Regno Unito su tutti.
Oggi, l'ecosistema delle startup può vantare una certa solidità, evidentemente, frutto anche di interventi normativi successivi, uno su tutti Transizione 4.0.
Ora, le misure previste in questa normativa si inseriscono nel solco dei provvedimenti del passato e mirano a trasformare, in maniera definitiva, la ricerca traslazionale in un asset fondamentale per il rilancio del Paese.
Si tratta di interventi molto utili a creare un framework normativo sempre più vantaggioso e ad allargare il novero dei possibili investitori nelle startup, sia quelli interni sia quelli esteri. Per questo devo dire che crescono i rimpianti per quello che avrebbe potuto essere questo provvedimento e ancora non è stato, perché, se avesse esploso tutte le sue potenzialità, la norma che oggi esaminiamo poteva essere l'occasione per una rivisitazione complessiva e organica della materia, a partire dagli ostacoli che le imprese italiane, in generale, e quelle del comparto startup in particolare, si trovano ad affrontare oggi quotidianamente.
Prima di tutto, Presidente, è necessario risolvere un vulnus essenzialmente italiano, ossia la difficoltà a reperire investitori e, quindi capitale, per rispondere alla costante richiesta di iniezione di liquidità tipica delle fasi di avvio e di consolidamento di queste iniziative imprenditoriali e, pertanto, creare le condizioni affinché la platea dei cosiddetti investitori istituzionali cresca, coinvolgendo fondi previdenziali o pensionistici per fare la loro parte in questo importante processo di crescita verso l'innovazione.
È pacifico che i problemi che oggi affliggono il settore delle startup possono essere risolti solo attraverso un approccio integrato, un metodo che si interessi prima di tutto di un grande, enorme tema culturale nel nostro Paese, la bassa, direi bassissima propensione al rischio tanto dei potenziali investitori quanto delle stesse imprese. Non è, infatti, purtroppo, un mistero che una parte significativa dell'industria italiana - e conseguentemente della finanza - sia nata in contesti relazionali spesso maturati in ambiti familiari e tutelata da misure di protezione normativa e regolamentare. Il nostro sistema finanziario ha a lungo coltivato la tentazione di rifuggire da investimenti ritenuti eccessivamente rischiosi, il cui ritorno è soggetto pienamente a regole di mercato e il mercato di riferimento non è quello domestico, ma quello internazionale. Un approccio sistemico, quindi, è necessario, ossia che sia capace di creare tutte le condizioni di contesto utili alle startup per avviare un'impresa e portarla avanti, creando valore. Per questo, fermo restando l'atteggiamento sempre positivo in Commissione - al netto dell'incidente che abbiamo chiuso e risolto, e qui mi sia consentito di ringraziare tanto il relatore Centemero quanto il presidente Osnato -, i nostri emendamenti non erano diretti a snaturare o a cambiare il contenuto del provvedimento, ma, al contrario, a integrarne la visione e a completarla toccando alcuni aspetti cruciali per chi oggi è chiamato a fare impresa.
Una delle colonne portanti della nostra proposta insiste su un concetto abusato a parole, ma spesso dimenticato nei fatti: l'integrazione tra università e filiere produttive. Il tema del coordinamento degli uffici di trasferimento tecnologico delle università, tra di loro e con una regia nazionale, Presidente, è fondamentale e prima o poi dovrà essere affrontato, se non vogliamo che la frammentazione del sistema della ricerca italiana - che è certamente un valore aggiunto - finisca, invece, per essere un problema rispetto al mondo delle startup e delle innovazioni tecnologiche. Serve una centrale operativa, suddivisa in aree per settori maggiormente strategici per la competitività del nostro Paese, ciascuna con il compito di dare un impulso al perseguimento di obiettivi comuni, indirizzando e coordinando le attività degli uffici universitari, un punto di raccordo che riesca a sostenere i percorsi di traslazione dalla ricerca all'impresa, con uno sguardo d'insieme sullo stato della ricerca nel nostro Paese.
L'altro aspetto centrale della nostra proposta è quello del lavoro. Come vede, Presidente, non stiamo declinando le nostre proposte al passato; nonostante non siano state accolte in questo provvedimento, costituiranno la base del lavoro del Partito Democratico per i successivi interventi normativi, primo tra tutti il disegno di legge sui capitali, perché solo così saremo in grado di liberare le tante energie presenti nel Paese, guadagnando in attrattività e competitività e dando, entro i confini nazionali, le risposte che i nostri imprenditori e la nostra finanza cercano spesso altrove. Pertanto, dichiaro il voto favorevole del Partito Democratico al provvedimento.