A.C. 1665
Grazie, signora Presidente. Colleghi, in tutto il mondo occidentale non esiste un solo partito di governo che metta in discussione la natura dello Stato nazionale. Ridotta all'osso, la nostra opposizione a questo progetto nasce qui: il che non significa rinunciare al principio dell'autonomismo, quello rimane un valore impresso nella Costituzione.
La nostra bocciatura del vostro disegno trova le sue motivazioni nello sbrego costituzionale che esso alimenta e, soprattutto, nelle conseguenze storiche e politiche che l'approvazione di questa legge porterebbe con sé. Ove sugli strappi costituzionali, nel corso delle audizioni, anche voi avete ascoltato l'opera demolitoria dell'impianto da parte di studiosi, economisti, amministratori e associazioni delle più diverse categorie, a partire dalla scelta dello strumento legislativo: un disegno di legge ordinario per dare attuazione all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con l'effetto - e lo sapete benissimo - di licenziare una legge che potrà essere modificata da qualunque altra norma successiva, compresa la legge di approvazione delle intese, vanificando ogni disposizione contenuta in questo provvedimento.
Un secondo strappo riguarda il trasferimento alle regioni di intere materie attribuite, dal terzo comma dell'articolo 117, alla competenza concorrente tra Stato e regioni. Tradotto: voi state vendendo sottobanco alle regioni qualcosa che, semplicemente, non è nelle vostre disponibilità e nella disponibilità di questa maggioranza. Ancora, annullate la previsione di un impianto duale tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario. Tutto questo lo fate esautorando il Parlamento - escluso dalla formazione delle intese - e relegandolo all'espressione di pareri non vincolanti. Un Parlamento che, all'atto dell'intesa, potrà solo prendere o lasciare, con un mutismo istituzionale che dovrebbe allarmare, colleghi, anche parte dei vostri banchi.
Sulla mancata determinazione dei LEP, noi abbiamo speso fin troppe parole e ogni volta avete risposto rinnovando una cambiale scaduta: quel pagherò che lascia oltre la metà dell'Italia - del Paese - in una condizione strutturale e, a quel punto, irreversibile, nell'erogazione di beni e servizi essenziali. Un ritardo incolmabile di cui siete consapevoli e responsabili: in questo, violando l'articolo 119 della Carta, sulla previsione di una perequazione rivolta ai territori con una minore capacità fiscale.
Allora, la sintesi, colleghi: voi passate dalla tradizione di un regionalismo solidale e cooperativo ad una visione ciecamente competitiva; peraltro, aprendo la via ad una compartecipazione delle singole regioni a tributi erariali senza alcun criterio sull'ammontare di queste quote. Ipotesi per lo meno rischiose e del tutto irragionevoli, in un Paese segnato dalle nostre disuguaglianze. Scuola, energia, infrastrutture, trasporti: tutto converge - tutto - verso la volontà di attentare e distruggere il concetto stesso di “unità della Nazione”.
Noi ve lo chiediamo - glielo chiedo, signor Ministro, se ha la compiacenza di ascoltare anche i deputati che siedono ai banchi dell'opposizione -, sinceramente sarebbe questo il contributo all'Italia del “Governo dei patrioti”? Guardate, io non nego che, in linea di principio, in voi alberghi un sentimento patriottico; vorrei solamente capire quale patria voi riconoscete come la vostra e qual è la vostra idea dell'Italia “una e indivisibile”, come recita l'articolo 5 della Costituzione. Padri e madri costituenti non lo hanno scritto per gioco. Padri e madri costituenti non lo hanno scritto per gioco: quel concetto lo hanno scolpito, perché sapevano quali ostacoli e violenze avevano a lungo impedito e rallentato la costruzione di uno Stato unitario, liberale e democratico.
Oggi voi, con un tratto di arroganza politica e di irresponsabilità istituzionale, quel patrimonio aggredite dalle posizioni di potere che occupate: lo state facendo in queste ore, qui in quest'Aula - alla Camera - su questa misura; lo state facendo nell'altro ramo del Parlamento dove, come ruspe nella foresta, abbattete i capisaldi della forma di governo e dell'equilibrio dei poteri dello Stato. Antonio Gramsci - che cortesemente vi chiederemmo di non disturbare con assurdi arruolamenti - parlava nei “Quaderni” di un sovversivismo dall'alto: quello praticato dalle classi dirigenti con uno spirito e finalità tese a mascherare, dietro a un messaggio d'ordine, pulsioni di tutt'altro segno. Voi oggi siete incamminati su quel sentiero. Voi calpestate i diritti individuali, i bisogni sociali, gli stessi principi regolatori di uno Stato unitario e lo fate ignorando appelli, critiche e moniti provenienti, non solamente dai nostri banchi o dall'autorevolezza, nell'Aula del Senato, della senatrice Liliana Segre, ma da autorità indipendenti, a cominciare dalla Banca d'Italia e dai tecnici del Bilancio dello Stato. E, a corollario di tutto questo, colleghi e colleghe della maggioranza, la Presidente del Consiglio dichiara che, sulla riforma costituzionale, aperte virgolette “o la va, o la spacca”, chiuse le virgolette. “O la va, o la spacca”, colleghe e colleghi della maggioranza? Lo so, siamo immersi in un impoverimento e in un degrado allarmanti del linguaggio istituzionale di questo Paese, come ancora ieri abbiamo verificato, e, come voi, noi siamo coscienti che questo Parlamento non dispone, oggi, di un Costantino Mortati o Benedetto Croce, Giorgio La Pira, Nilde Iotti o Teresa Mattei. Ma, colleghi, transitare, come state facendo, da quell'elenco di nobili nomi - che hanno pensato, voluto e costruito la Repubblica, una e indivisibile - ad una scommessa sulla Carta costituzionale, ridotta a un lancio dii dadi, “o la va o la spacca”, l'Italia non lo merita, non lo meritiamo noi . E, anche per questo, troverete in noi, fuori e dentro queste Aule, un'opposizione intransigente. Vedete, colleghi, nella storia d'Italia il concetto di “patria”, di “patriottismo” ha conosciuto pagine epiche e anche alcuni capitoli degradanti. I patrioti furono certamente i protagonisti del Risorgimento, anche se dietro a quell'onda non c'era un moto consapevole del popolo italiano. A conferma di ciò vi è il fatto che noi non disponiamo di un grande romanzo del Risorgimento italiano, a differenza del grande romanzo della Rivoluzione francese o del fatto che i tedeschi, sulla frattura romantica, hanno edificato persino una filosofia. Noi abbiamo avuto il grande romanzo dell'anti-Risorgimento: quel Gattopardo dove tutto andava cambiato perché tutto rimanesse uguale. Ma quella pagina epica ci ha consegnato un'eredità fondamentale: la costruzione dello Stato italiano, dello Stato unitario, di questo Paese. C'è una bella espressione di Mazzini che dice che la Nazione è un'associazione, non un aggregato. Vuol dire che la Nazione coltiva un sentimento di fratellanza, che poi è quello che la vostra riforma intende colpire. Dunque, contro questo disegno, concorrono non solo la cronaca o le ragioni tecniche ma un'intera parabola storica e culturale che ha segnato la costruzione dell'Italia unita. È un tema che non riguarda solo un assetto di poteri e di competenze ma che investe, vede Ministro, l'identità, il modo d'essere, di vivere, l'appartenenza nazionale di un popolo. Del resto la grandezza dell'Italia, nel secondo dopoguerra, ha trovato qui il suo terreno più fertile. Allora, dinanzi a un panorama di macerie morali e materiali, si ricostruisce il Paese, la Nazione dalle fondamenta. La scuola accessibile a tutti, le grandi riforme, da quella agraria a quella fiscale. Quelle classi di Governo e di opposizione avevano una consapevolezza molto chiara, cioè che l'Italia aveva sempre sofferto le stagioni segnate da élite della politica intente a dividere questo Paese tra Nord e Sud, città ed aree interne. Ciò aveva influito sul tasso di crescita della nostra economia, sulla stessa coesione sociale. Tradotto, signor Ministro: l'Italia è cresciuta di più e meglio con Giolitti, col primo centrosinistra degli anni Sessanta, con l'Ulivo e meno con Crispi, col fascismo, con la destra al Governo. Ecco perché ci opponiamo a questo vostro disegno. Il vostro intento in questa legislatura è chiaro: manomettere la Costituzione formale e materiale che, per oltre settant'anni ha visto una sola cultura, esclusa dai fondamenti del compromesso costituzionale e dal patto repubblicano. La ragione è che la destra attuale - molto poco affine alla stagione berlusconiana, colleghi di Forza Italia, e bossiana, colleghi della Lega - vuole chiudere per sempre la stagione della discriminante antifascista nel processo fondante delle istituzioni repubblicane.
Noi ci opporremo a tutto questo, sapendo che la domanda è: cosa sarebbe del Parlamento e del Primo Ministro se passasse questa vostra riforma? Cosa sarebbe dell'Italia unita? Cosa aggiungere e chiudo, signora Presidente? C'è da aggiungere che la nostra opposizione si esprimerà nelle Aule di questo Parlamento ma vivrà fuori da qui, nelle città del Nord, del Centro e del Sud, dove racconteremo i guasti all'equità e alla giustizia sociale. Sarà per noi la più intensa battaglia di questa legislatura, per le convinzioni che ci muovono e soprattutto per le responsabilità che sentiamo verso coloro che sono venuti prima di noi e verso coloro che verranno dopo di noi. Io non ho ancora uno slogan di questa nostra campagna, ma se dovessi improvvisarne uno forse direi così: erano partiti con Alberto da Giussano, hanno sposato lo Sceriffo di Nottingham. Anche per questo vi fermeremo.