A.C. 208-A
Grazie, Presidente. È un provvedimento importante questo, una legge necessaria - la riteniamo così, noi del PD - frutto di un intenso lavoro in Commissione, cui il nostro partito ha collaborato con grande impegno. E, in questo senso, qui voglio ricordare - lo ricordo all'Aula e ai colleghi, perché so quanto lo stimassero - il professor Modica, che ci ha dato tanto aiuto e che ha tanto lavorato accanto a noi per questo provvedimento, che, purtroppo, ci ha lasciato recentemente (Applausi).
Sono sei proposte di legge, presentate da diverse forze politiche - da qui l'idea di quanto la ritenessimo necessaria in tutto l'arco parlamentare -, quasi un paio d'anni di attività, direi un paio d'anni di attività intensa, con tutto ciò che diceva prima il collega Melicchio, Governi e Ministri che sono cambiati, per sviluppare un dialogo ampio in Commissione e un ascolto che definirei capillare di tutti coloro che hanno voluto esprimersi su questa legge di iniziativa parlamentare. E dico “legge di iniziativa parlamentare”, perché, francamente, che il Parlamento possa avere un suo ruolo su materie così importanti è davvero qualcosa che ci dà soddisfazione. Noi non avevamo fretta, non volevamo chiuderlo senza confrontarsi con il resto del mondo, con questi mondi di riferimento che sono molto importanti, soprattutto, in questo settore e, quindi, davvero abbiamo sentito tutti, abbiamo cercato di sentire tutti, prima di licenziare questo provvedimento. In accordo con il Ministro, che ringrazio anch'io qui, la Ministra Cristina Messa, abbiamo fatto un lavoro complesso, ricco di interlocuzioni e la fase emendativa ha raccolto le proposte dei tanti mondi di riferimento, che hanno esaminato le varie versioni del testo e hanno voluto porre questioni e rilievi, molti dei quali sono stati accolti. Per questo ringrazio il relatore per la pazienza e, naturalmente, i colleghi dei gruppi che hanno dato il proprio contributo, anche del gruppo di opposizione in questo momento, che è soltanto Fratelli d'Italia, ma tutti i colleghi dei vari partiti.
Che dire, è quasi inutile ribadire che non siamo in linea, come università e il sistema dell'Alta formazione, con i Paesi più evoluti, che hanno un sistema dell'Alta formazione in grado di rispondere meglio alle nuove esigenze dello sviluppo in un momento così complicato della nostra storia. Noi dobbiamo adeguarlo questo nostro sistema: dieci anni fa la “legge Gelmini”, adesso nuove sollecitazioni, nuove proposte. Quindi, dobbiamo mettere a disposizione soprattutto le necessarie risorse, perché sappiamo bene che nessuna norma, nessun provvedimento di questo tipo che va sull'ordinamento, poi, può avere gambe, se non ci sono le risorse necessarie. E, in questo momento, le abbiamo le risorse, quindi questo è un pezzo del puzzle necessario per partire con il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Dobbiamo creare, quindi, un contesto - e questa è l'importanza di questa legge - che rinforzi il nostro sistema dell'Alta formazione e che consenta carriere certe e la fine della precarizzazione dei rapporti di lavoro, senza, però, dire che non serva una fase anche di flessibilità iniziale. Quindi, le borse, gli assegni: sono quelle fasi in cui i giovani ancora devono comprendere se la ricerca o l'insegnamento universitario possono essere il loro futuro, quindi c'è bisogno di tempo da dare nella fase iniziale. Quindi, noi l'abbiamo abbreviato questo tempo, ma sicuramente l'abbiamo mantenuto.
Quindi, la disciplina sulle attività cosiddette “pre-ruolo” nell'università e negli enti richiedeva davvero questa messa a punto. Quindi, è un passo avanti a favore delle persone, di tutte quelle donne e di quegli uomini impegnati nel sistema pubblico della conoscenza. Questa espressione la riprendo dal testo del patto per l'innovazione firmato dal Governo con i sindacati per l'avvio delle procedure per il rinnovo del contratto delle pubbliche amministrazioni.
Onorevoli colleghi, Presidente, questa legge si colloca in coerenza con lo sforzo che Governo e Parlamento sono impegnati a fare per creare le condizioni che consentano al Paese di uscire da questa fase critica. Le riforme sono una parte fondamentale e il Parlamento, appunto, deve farla questa sua parte e deve farla con convinzione.
Le modifiche introdotte si collocano pienamente nelle linee strategiche individuate nelle conclusioni del Consiglio europeo del 28 maggio scorso sullo Spazio europeo della ricerca e testimoniano l'impegno del nostro Paese nell'Unione europea. Nel merito - lo avete già sentito, ma lo voglio dire anch'io qui - si tratta di un intervento mirato: poche modifiche, ma di forte impatto; meno precariato, carriere prevedibili, allargamento delle competenze nella formazione e nel dottorato e migliori prospettive occupazionali dentro e fuori l'università e gli enti di ricerca. Il concomitante impegno finanziario per la ricostruzione post pandemia prospetta maggiori opportunità, sia per coloro che hanno conseguito il dottorato sia per chi inizia il suo percorso con il dottorato di ricerca. In generale, questo provvedimento si colloca fra le misure da assumere con urgenza per favorire il successo degli interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Vengo ai tratti principali della proposta e ne cito soltanto alcuni, quelli che mi sembrano i più importanti. Innanzitutto, si riduce il tempo di permanenza. Chi si impegna per la carriera di ricercatore una volta acquisito il dottorato di ricerca potrà aspirare a diventare professore associato nell'università o primo ricercatore in un ente pubblico di ricerca in un tempo che può variare da un minimo di 3 a un massimo di 11 anni. Le università o l'ente, nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, valutano, a partire dal terzo anno, il titolare del contratto (vedete quanto è importante questo).
Il secondo punto è che si semplifica il percorso per accedere alla carriera. Le borse di ricerca possono essere fruite dopo la laurea per un periodo massimo di 12 mesi, prorogabile fino a 36, in relazione al progetto. Dopo il dottorato è possibile accedere ad assegni di ricerca per un periodo massimo di 4 anni, oppure vincere un contratto da ricercatore a tempo determinato in tenure track della durata di 7 anni, con valutazione annuale dal terzo anno, che consente l'immissione in ruolo, e qui rispondo anche alla collega Frassinetti, che prima poneva un tema, ma mi pare che ci sia una logica e, quindi, in questo senso c'è questo tipo di valutazione dal terzo anno che consente l'immissione in ruolo. Restano ferme le altre possibilità di accesso ai ruoli di professore associato, professore ordinario e ricercatore di ruolo in un ente di ricerca.
Il terzo aspetto: un percorso di tenure track per l'università e gli enti di ricerca. Per l'università il disegno di legge unifica le attuali figure di ricercatore di tipo A e di tipo B - sapete quanto fosse richiesto questo - laddove, peraltro, per concorrere a un posto di tipo B era necessario aver avuto un contratto di tipo A con un periodo di permanenza fino a 8 anni. Per gli enti di ricerca, invece, si introduce un percorso sostanzialmente simmetrico, e questo è importante: finalmente i due ambiti, l'università e il sistema degli enti pubblici, hanno regole comuni e, quindi, abbiamo per gli enti di ricerca un percorso simmetrico, che comprende ricercatori e tecnologi. Inoltre, è disciplinata la possibilità di assunzione di un ricercatore a tempo determinato, con contratto in tenure track dell'università, da parte di un ente di ricerca e viceversa, rendendo flessibile il percorso. Quindi, la famosa migrazione possibile fra enti e università, che fino adesso non era ancora possibile in questa forma, finalmente qui viene introdotta.
Il quarto punto: ringiovanisce e premia il merito. Nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, a partire dal terzo anno di contratto il ricercatore viene valutato annualmente e, se la valutazione è positiva e il ricercatore ha conseguito l'abilitazione scientifica nazionale, può diventare, già dal quarto anno, associato di ruolo, è questo. Quindi, c'è una modalità che è una modalità più agile e che, secondo me, è sicuramente più appropriata (io la condivido molto).
In quinto luogo, si favorisce la mobilità con questo provvedimento. Per l'accesso al contratto da ricercatore a tempo determinato nell'università c'è questa riserva, che ha creato anche discussione, sia fra noi che col mondo esterno, una riserva del 30 per cento di posti destinata a coloro che abbiano svolto dottorati o attività di ricerca per almeno 36 mesi all'estero o presso atenei diversi da quello che bandisce il posto da ricercatore in tenure.
Sesto punto: si favorisce la trasparenza e la partecipazione. Quando introduciamo questo portale unico dei concorsi dell'università e della ricerca, che sembra poco rilevante, ma non lo è - vorrei che si si ponesse attenzione a questo - si assicura una diffusione sistematica delle opportunità nel sistema universitario e della ricerca, garantendo, in questo modo, trasparenza e circolazione nelle 97 istituzioni universitarie e nei 20 enti pubblici di ricerca a cui si applica la legge. Quindi, tutti sapranno tutto: si saprà dove sono i concorsi e i giovani avranno opportunità proprio anche di conoscenza, perché molto spesso, come sapete, non si sanno alcune cose perché non è così facile che l'informazione circoli.
Per quanto riguarda le borse di ricerca, voglio dire qualcosa. Il testo unificato introduce una disciplina organica delle borse di ricerca applicabile sia agli enti sia alle università. Le borse di ricerca possono essere assegnate dopo la laurea per un periodo da 6 a 12 mesi - ce l'ha ricordato il collega Melicchio -, prorogabile fino a 36 per esigenze collegate al progetto. Sulla durata vediamo che non rilevano i periodi di astensione o congedo per maternità, paternità o per gravi motivi di salute. Qui ci sembra tutto normale e logico; guardate che non lo era. Quindi, è bene aver citato queste questioni legate, appunto, alla protezione delle persone che lavorano all'interno di questo sistema, perché non era tutto così garantito. Le borse di ricerca non possono essere assegnate - e lo sappiamo - a chi ha conseguito il titolo di dottorato. Tali figure potranno eventualmente accedere ad assegni di ricerca con i nuovi limiti temporali oppure al contratto da ricercatore. Quindi, abbiamo cercato di vedere un po' tutte le situazioni e di dare risposta a tutte le varie figure che nel mondo dell'università esistono e che hanno bisogno di sentirsi in qualche modo collocate.
Per quanto riguarda il dottorato di ricerca, abbiamo l'articolo 3. Questo è un punto significativo, su cui anch'io mi soffermo, perché abbiamo valorizzato il dottorato di ricerca. Finalmente, voglio dire, lo abbiamo valorizzato per quello che dovrebbe essere, sulla scia di quanto già era a livello europeo. Infatti, il testo unificato delle proposte di legge amplia le finalità formative dei corsi di dottorato, volti non solo all'acquisizione delle competenze necessarie per esercitare, presso università, enti pubblici o soggetti privati, attività di ricerca di alta qualificazione, ma anche - ma anche - per l'accesso alle carriere nelle amministrazioni pubbliche o per l'integrazione di percorsi professionali di elevata innovatività. Questa è una sfida: è una sfida per le università, che devono mettere in campo i dottorati; è una sfida per i giovani, che devono scegliere i propri percorsi; è una sfida complessivamente anche per il mondo dell'impresa e per il mondo della pubblica amministrazione, che comunque deve andare a cercarle queste competenze e deve dare opportunità a questi giovani su cui investiamo e che vogliamo formare, perché siano questi i soggetti che poi servono per l'innovazione e per la competenza all'interno della pubblica amministrazione.
Quindi, questa è davvero un'innovazione importante. Attribuisce al sistema universitario il compito di formare la classe dirigente dell'amministrazione pubblica, che uscirà, auspicabilmente, già rafforzata e modernizzata, con le misure del Piano di ripresa e resilienza. Inoltre, la nuova disciplina avrà l'effetto di favorire una maggiore spendibilità del titolo per le prospettive di occupazione per coloro che non possono essere assorbiti dall'università, perché - diciamocelo - non tutti possono rimanere all'università, anche se - e qui lo dico, perché ci credo moltissimo - essendoci molto bisogno di risorse c'è anche molto bisogno di ampliare il numero dei nostri docenti, di ampliare il personale all'interno delle università, perché noi, come sapete, siamo ancora tra i Paesi che hanno il maggior numero di studenti per professore. Quindi, anche questo è un gap che dobbiamo sicuramente colmare in qualche modo e, quindi, ce n'è bisogno;
non tutti coloro che hanno il dottorato, comunque, potranno essere assorbiti dall'università.
A questo fine, abbiamo introdotto un riconoscimento al titolo medesimo di un punteggio aggiuntivo (questa è la formula) nei concorsi pubblici, per cui al titolo di dottore di ricerca viene riconosciuto un punteggio comunque non inferiore al doppio di quello riconosciuto per il possesso di ulteriori titoli di laurea o laurea magistrale, ovvero non inferiore al triplo di quello riconosciuto per il possesso di master universitari o altri titoli che durano un anno; quindi, il dottorato dura tre, per cui questo titolo verrà considerato, nel punteggio, tre volte. Questo significa aver valorizzato veramente il dottorato di ricerca. C'è poi un'altra questione, quella relativa all'AFAM: finalmente, nel comma 2 dell'articolo 3, è stato introdotto che, tra i soggetti che possono attivare i corsi di dottorato e di ricerca, ci sono anche le Istituzioni di Alta formazione artistica musicale e coreutica, ossia le AFAM. Anche questa è un'importante innovazione che sana un antico squilibrio. Per quanto riguarda gli assegni di ricerca, nell'articolo 4, c'è la revisione delle norme sugli assegni di ricerca con riguardo ai requisiti per l'attribuzione e la durata; anche in questo caso, la disciplina è applicabile sia all'università sia gli enti, quindi possono essere conferiti a coloro che abbiano conseguito il titolo di dottorato e con un limite massimo di quattro anni. Questo è ciò che vogliamo fare per evitare il cosiddetto precariato. Nell'articolo 5 e 6 - ne avete parlato - c'è un percorso tenure track ossia un contratto da ricercatore identico tra università e enti che consenta di entrare in ruolo senza fare un nuovo concorso, acquisita la valutazione positiva e l'abilitazione nazionale, in un periodo minimo di 3 anni dal dottorato e massimo di 7 a seguito di valutazioni e titoli che attestano la qualità. Questo mi sembra legittimo, mi sembra giusto; sono persone che stanno già in quel mondo, che hanno già dimostrato molto, moltissimo, e, quindi, è giusto che vengano valorizzati. Altro punto che sottolineo e a cui tengo molto è la possibilità di valorizzare i giovani, i ricercatori in tenure track nelle università e negli enti di ricerca, con l'immissione in ruolo incrociata: un ente può assumere in ruolo un ricercatore in tenure nell'università e viceversa, rendendo flessibili le scelte. È un nuovo approccio al sistema della ricerca pubblica che mi sembra molto importante. C'è una quantità di innovazioni che favoriscono un contesto di equilibrio e che riescono a dare una visione, una visione che c'è in questo provvedimento. Ci siamo arrivati, questo lo voglio dire, ci siamo arrivati, c'è stata la pazienza del relatore, c'è stata l'interlocuzione con tante persone, tante associazioni: tutti coloro che hanno voluto dire qualcosa, hanno parlato con noi o con i rappresentanti dei gruppi. Credo che, alla fine, ci sia un equilibrio in questo provvedimento che, naturalmente, è sempre pronto ad essere rivisto - noi siamo disponibili -, però, certamente, mi pare un buon punto di partenza per il futuro del nostro Paese nell'alta formazione e nella ricerca scientifica.