Data: 
Lunedì, 17 Ottobre, 2016
Nome: 
Anna Maria Carloni

A.C. 4008

 

Grazie Presidente. In apertura di questo mio intervento, vorrei ricordare una splendida figura di dirigente sindacale meridionale e di parlamentare del Partito comunista italiano, che è morto proprio la settimana scorsa, a novant'anni. Si tratta di Peppino Vignola. È stato parlamentare per tre legislature e proprio da quest'Aula con grandissimo impegno, per primo, ha denunciato i caporali autotrasportatori. Credo che il corpo di diritti che abbiamo saputo conquistare nei decenni passati per i lavoratori agricoli e di contrasto allo sfruttamento in agricoltura si debba anche a uomini come Peppino Vignola, che ho voluto in questo momento ricordare.
Lo scorso giovedì la polizia ha sgominato l'ennesimo sistema di caporalato. Le storie che sono emerse sono quelle che abbiamo sentito tante volte, storie di miserie umane, di abbandono e di sfruttamento, schiavi del ventunesimo secolo pagati una miseria, vestiti spesso in modo inadatto al lavoro nei campi. Addirittura si è detto di un ferito gravissimo, con la gola tagliata, abbandonato in un ospedale, mascherando l'accadimento con la scusa vaga di un incidente domestico.
Questo terribile scenario richiama alla mente quanto accade ogni giorno nelle campagne calabresi e nella raccolta dei pomodori in Campania e Puglia oppure nella raccolta degli  agrumi siciliani. Tuttavia, questa volta è diverso. Il sistema di caporalato sgominato giovedì scorso è stato scoperto dalla procura di Prato e riguardava i vitigni del Chianti in Toscana, culla di civiltà rinascimentale, Umbria ed Emilia Romagna. Tra i terreni coinvolti vi è perfino quello di un famoso cantante inglese, che però risulta estraneo alla vicenda. Quanto appena detto dimostra come il caporalato non rappresenti più un fenomeno confinato alle regioni meridionali. Questo ci dice quanto questa legge, a lungo attesa, sia importante per tutto il nostro Paese.
  Io stessa ho presentato durante la passata legislatura un disegno di legge di contrasto, firmato da tanti colleghi senatori, che nasceva da un lavoro condiviso con le organizzazioni sindacali nella provincia di Napoli. In questa legislatura, invece, numerose sono state le proposte presentate a riguardo e sono contenta che il testo che discutiamo oggi sia una felice sintesi delle sensibilità che le diverse proposte di legge presentavano.
  Del resto, che siamo di fronte ad un ritorno allo schiavismo, trasportato nelle nostre terre ed attualizzato ai tempi di oggi, non ce lo dicono solo i fatti orribili come quelli scoperti in ultimo dalla procura di Prato. Invito a consultare il rapporto sulle agromafie della FLAI CGIL, presentato lo scorso maggio in collaborazione con l'Osservatorio Placido Rizzotto, che – voglio ricordare ai più giovani – fu tra i primi sindacalisti a pagare con la vita il suo impegno contro l'oppressione mafiosa nelle campagne siciliane del marzo 1948. Perché è di questo che parliamo: dietro al caporalato vi è spesso la criminalità organizzata e, quando non è così, vi sono comportamenti di stampo mafioso di imprenditori senza scrupoli. Chi pensa che questo sia un fenomeno minore senza gravi conseguenze sull'economia sbaglia di grosso. Da quelle campagne, da quelle storie di emarginazione, parte un business stimato solo in Italia tra i 14 e i 17 miliardi di euro.  Il caporalato è solo lo step iniziale di una filiera criminale, che influenza negativamente la gestione del mercato del lavoro, l’import-export di prodotti alimentari, l'imposizione di forniture al dettaglio, oltre a comportare l'infiltrazione della filiera del trasporto, della logistica e degli impianti mercatali, fino ad arrivare alla frode verso i progetti cofinanziati dall'Unione europea nel settore delle rinnovabili.
  Voglio, infatti, ricordare che la politica agricola comune, la cosiddetta PAC, è la prima fonte di spesa dell'Unione, con un budget di circa 100 miliardi di euro nel ciclo di programmazione 2014-2020, di cui oltre 10 miliardi destinati all'Italia. È inutile dire quanto il cercare di attingere a questi fondi rappresenti un'occasione criminale importante per le agromafie. Dicevamo come alla base di questo negativo giro d'affari, vario quanto vasto, vi siano i campi e il lavoro nei campi. Ieri come oggi, come aveva ben visto quel grande dirigente che è stato Giuseppe Di Vittorio: decisivo è il rapporto tra lavoro nei campi, stagionalità e flussi migratori. Oggi però, a differenza di allora, i flussi migratori sono di ben altra portata globale. Di che cosa parliamo, dunque, quando parliamo di caporalato ? Innanzitutto abbiamo a che fare con l'immigrazione e la clandestinità, tema cruciale dei nostri tempi. I due fenomeni sono strettamente interconnessi. Ogni giorno in televisione vediamo barconi carichi di disperazione, tuttavia, dove noi vediamo i profughi che scappano dalla fame e dalla guerra, i caporali vedono la forza lavoro, che attualmente è stimabile in circa 400 mila unità irregolari sul territorio nazionale, utilizzati come braccianti nei campi. La paga difficilmente va oltre i 25 euro (esattamente la metà di quanto in teoria è garantita dal contratto collettivo nazionale), le ore di lavoro oscillano tra le otto e le dodici, spesso senza accesso all'acqua potabile e ai servizi igienici. Non vi sono limiti di età, non vi sono tutele per le lavoratrici madri e solitamente le donne e i minori ricevono retribuzioni inferiori a parità di lavoro svolto.
  Il caporalato è stato enormemente favorito dalla legislazione in materia di immigrazione. Alleata preziosa dei caporali è stata la legge Bossi-Fini, che ha reso i lavoratori sprovvisti di permesso di soggiorno oltremodo ricattabili. Il contrasto a questo fenomeno, però, è in crescita e questa è la buona  notizia. Le Forze dell'ordine, grazie anche a questo Governo e alla sensibilità di chi ne fa parte poiché viene dal mondo del contrasto a questi fenomeni, hanno spinto molto sulle nuove norme di tutela del lavoro agricolo e penale. Nel 2015 ben 8862 aziende sono state ispezionate, il 59 per cento in più rispetto al 2014. In questo senso la legge che oggi discutiamo rappresenta uno strumento supplementare importante nel contrasto al caporalato. Resta davvero ancora molto da fare, non si può non vedere come vi sia davanti a noi quasi un perverso gioco del domino, dove una tessera richiama un'altra. Il caporalato inteso strettamente come lavoro nei campi necessita di persone e queste persone vengono reclutate tra i migranti costretti alla irregolarità. Dunque, senza una politica europea di accoglienza e contrasto efficiente al traffico di persone, sarà difficile sottrarrei ai caporali il loro bene primario, i nuovi schiavi di cui si servono.
  In senso esteso il caporalato è legato al trasporto e, fin quando l'ossatura del nostro sistema commerciale sarà su gomma, il controllo della frastagliata miriade di società di autotrasporto sarà sempre difficile, una lotta di Davide contro Golia. È quindi necessario spingere, come si sta iniziando a fare sugli investimenti in logistica, in particolare il trasferimento delle merci dalla gomma al ferro, in strutture più centralizzate e più facilmente controllabili.
  Infine il caporalato necessita di venditori al dettaglio, costretti e/o conniventi, nonché di accesso ai mercati locali. In questo campo sono necessarie azioni di contrasto al racket e maggiori controlli sulle concessioni nei mercati, un campo spesso paragonabile ad una giungla, come chi viene da esperienze amministrative nei comuni, purtroppo, sa bene.
  Dunque questa legge è oggi benvenuta, al contempo è bene avere in mente che questo è solo un passo e che non basta una legge a fermare una pratica tanto radicata. Ma questo disegno di legge, con la confisca dei beni alle aziende colpevoli, l'arresto in flagranza, l'indennizzo alle vittime, è un passo importantissimo per contrastare lo sfruttamento in agricoltura.