Dichiarazione di voto
Data: 
Mercoledì, 13 Ottobre, 2021
Nome: 
Chiara Gribaudo

A.C. 301​-1979​-2192​-2741​-3058

Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la proposta di legge che oggi la Camera discute affronta un tema importante e delicato, quello dell'equo compenso per i professionisti, importante e delicato perché riguarda la vita di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici italiani che rappresentano un settore altamente specializzato e di grandissimo valore per la nostra economia. I professionisti sono l'ingranaggio che fa muovere i rapporti fra privati e fra privati e pubblica amministrazione, possiedono competenze frutto di anni di studio e formazione indispensabili per il progresso organizzativo, tecnologico ed economico delle imprese italiane, eppure, purtroppo, migliaia di giovani professionisti hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese, perché sono sottopagati, soggetti alla concorrenza sleale delle grandi strutture, alla piaga della falsa partita IVA e al potere contrattuale dei grandi committenti che oggi determinano al ribasso il valore delle prestazioni professionali.

Per affrontare questo e altri problemi del mondo del lavoro professionale, in questa – ma, soprattutto nella scorsa - legislatura si è perseguita, fino ad oggi, la strada dell'universalismo dei diritti del lavoro e della fine delle categorie che lo frammentano e lo dividono in mille pezzi, compromettendone le tutele. Con la legge n. 81 del 2017 sono state ricucite delle fratture fra mondi del lavoro dipendente e autonomo, allargando a quest'ultimo tutele importanti in materia di congedo parentale, infortunio, malattia e maternità, oltre a investire nella formazione continua dei professionisti e a consentire loro di accedere ai fondi strutturali europei. Non dimentichiamo, poi, la cancellazione degli aumenti dell'aliquota previdenziale della “riforma Fornero” e l'introduzione del regime forfettario, particolarmente conveniente per i giovani professionisti.

Si tratta di norme che sono state tutte - tutte - costruite attraverso il dialogo e il confronto continuo con le associazioni, i sindacati di settore, oltre ai tradizionali ordini professionali, nello spirito di raccogliere tutte le esigenze di un mondo che, dall'epoca dell'istituzione degli ordini, è mutato e profondamente cambiato, e il legislatore non può non prenderne atto. Anche per questo, l'ultima norma approvata in Parlamento che affrontava il tema dell'equo compenso aveva un orizzonte molto più largo: sto parlando delle norme introdotte in fase di conversione del decreto-legge 16 ottobre del 2017, n. 148, all'articolo 19. Quell'articolo oggi, ce lo dobbiamo dire, però, è rimasto in parte inattuato, poiché i decreti ministeriali per la regolazione dei rapporti fra professionisti e grandi committenti non sono ancora stati emanati. Chi, come me, si è occupato a lungo della materia conosce bene gli ostruzionismi, le perplessità delle strutture ministeriali che sono state ricordate, i pareri avversi dell'Authority della concorrenza che non ho mai esitato a giudicare lesivi dei poteri del legislatore. Questi ostacoli hanno evidentemente spinto la discussione parlamentare a riprendere il tema dell'equo compenso, con l'obiettivo, anche giusto, di rafforzare questo principio di rango costituzionale e di difendere i diritti dei professionisti. La fretta, però, colleghi, è cattiva consigliera. Ritengo che l'ansia da risultato del centrodestra e l'accelerazione impressa da Fratelli d'Italia al provvedimento abbiano prodotto norme, a mio parere, imperfette, che necessiteranno, al Senato, di un'ampia riflessione e valutazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), come è stato già detto - lo voglio sottolineare, Presidente -, perché i promotori della legge, infatti, si sforzano di dare agli ordini professionali un ruolo che non hanno mai avuto, trasformandoli da enti terzi, a tutela della fede pubblica a soggetti che, per conto del professionista, andrebbero ad espletare azioni giudiziali o, addirittura, a contrattare con i clienti l'ammontare del compenso, considerato che vi è prevista la possibilità, per i singoli ordini, di stipulare convenzioni con i committenti. Attribuzioni e poteri questi, che, oltre ad essere incompatibili con le funzioni degli ordini, potrebbero contrastare non tanto gli interessi dei committenti, quanto quelli degli stessi professionisti, senza considerare i profili di incompatibilità con le norme sulla concorrenza, fino ad arrivare al paradosso che, in caso di violazione del principio dell'equo compenso, non viene sanzionato il committente disonesto, ma il professionista sottopagato, esattamente il contrario di ciò che dovrebbe fare una norma a tutela del professionista, con l'ulteriore paradosso che tale sanzione colpirebbe non tutti i professionisti, ma soltanto gli iscritti agli ordini. O, ancora, ulteriore discriminazione questa volta nei confronti dei professionisti non iscritti agli ordini, la creazione di un osservatorio sull'equo compenso, dove la partecipazione viene fortemente limitata, negando all'associazionismo dei professionisti quella dignità che ha ricevuto fin dalla legge n. 4 del 2013. Per finire, poi, a quella che rischia di essere una vera beffa: la legge, infatti, non garantisce il rispetto del principio dell'equo compenso in tutti i rapporti instaurati con i professionisti, ma soltanto in quelli di natura convenzionale, lasciando scoperta una larga fetta degli incarichi assegnati dalle pubbliche amministrazioni e dai grandi committenti. Non sono casuali le critiche, quasi unanimi, arrivate in questi giorni proprio dal mondo professionale, nonché dallo stesso CNEL, che ha proposto modifiche migliorative che non sono state prese in considerazione. Insomma, questa legge, per quanto meritevole di affrontare un tema così importante come quello dell'equo compenso, avrà bisogno di un ampio approfondimento nel suo prossimo esame parlamentare al Senato. C'è, sì, un problema di povertà del lavoro che, dal mondo del lavoro dipendente, si allarga ai liberi professionisti, ma c'è un tema di precarietà che non può essere dimenticato quando si parla di equo compenso. Sto parlando dei praticanti degli ordini, ai quali vengono dati compensi da fame o, ad esempio, non si può dimenticare l'unicum europeo degli avvocati italiani, costretti dalla legge ad aprire partita IVA e a non poter essere dipendenti. Voglio ricordare anche la condizione di povertà e precarietà dei farmacisti dipendenti, vessati da una pesantissima doppia contribuzione o, ancora, la frammentazione di ammortizzatori sociali che la pandemia ci ha insegnato essere un percorso a ostacoli per i professionisti. Nella legge di bilancio siamo riusciti ad approvare l'ISCRO, tutti insieme, il primo ammortizzatore sociale per gli iscritti alla gestione separata, ma manca ancora il pezzo degli ammortizzatori per gli iscritti agli ordini e collegi, da finanziare, ad esempio, con l'abolizione della doppia tassazione sui contributi versati alle casse professionali. Anche questo, un unicum tutto italiano. Sono tutti argomenti che ci ricordano la necessità, l'imprescindibilità di affrontare i diritti dei lavoratori autonomi e professionisti in un'ottica di universalità, senza tornare a divisioni di un mondo del lavoro che non esiste più.

Ecco, allora, come si capisce, il nostro sarà un voto favorevole, perché crediamo nel principio dell'equo compenso, sennò non l'avremmo introdotto noi la scorsa legislatura, ma condivido le perplessità che ho sentito, a cui sommo la necessità, per gli argomenti che ho portato e perché dobbiamo ragionare guardando al futuro del lavoro, al futuro delle professioni, al futuro dei giovani professionisti, di dire che questo testo va migliorato, e mi auguro che al Senato venga fatto.