Discussione generale
Data: 
Martedì, 11 Aprile, 2023
Nome: 
Roberto Morassut

A.C. 338-B

Grazie, Presidente. Colleghi, la proposta di legge che oggi ci apprestiamo a discutere rischia di rimanere una grande occasione mancata per i professionisti italiani. La proposta, infatti, affronta il tema importantissimo dell'equo compenso: una misura di giustizia e di equità per centinaia di migliaia di professionisti. I professionisti possiedono competenze, frutto di anni di studio e di formazione, attraverso le quali svolgono ruoli indispensabili per il progresso e la tenuta del nostro Paese. Ai professionisti sono affidate funzioni delicate e importanti, nella sanità, nella giustizia, nell'economia, nella salvaguardia dell'ambiente e del territorio, nella cultura, funzioni socialmente rilevanti nella vita dei cittadini, per lo sviluppo delle imprese e per il progresso del nostro Paese. A questi ruoli, tuttavia, molto spesso, anzi troppo spesso, non corrisponde una remunerazione adeguata. Spesso il lavoro dei professionisti è sottopagato, a volte addirittura c'è la pretesa che tale lavoro non debba essere retribuito. E purtroppo, molto spesso, è proprio la pubblica amministrazione - ministeri, regioni, comuni - ad emanare avvisi e bandi con richiesta di prestazioni a titolo gratuito. Così migliaia di professionisti, soprattutto giovani, hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese, perché sottopagati, soggetti alla concorrenza sleale delle grandi strutture, alla piaga della falsa partita IVA e al potere contrattuale dei grandi committenti, che oggi determinano al ribasso il valore delle prestazioni professionali.

Per affrontare questo e altri problemi del mondo del lavoro professionale, nelle ultime legislature si era perseguita la strada dell'universalismo dei diritti del lavoro e della fine delle categorie che lo frammentano e lo dividono in mille pezzi, compromettendone le tutele. Con la legge n. 81 del 2017 sono state ricucite delle fratture tra mondi del lavoro dipendente e autonomo, allargando a quest'ultimo tutele importanti in materia di congedo parentale, infortunio, malattia e maternità, oltre a defiscalizzare gli investimenti in formazione, continuando, con formazione continua dei professionisti, a garantire la loro possibilità di accedere a fondi europei. Si tratta di norme che sono state tutte costruite attraverso il dialogo e il confronto continuo con le associazioni, i sindacati di settore, oltre naturalmente agli ordini professionali e alle Casse di previdenza, nello spirito di raccogliere tutte le esigenze in un mondo che, dall'epoca dell'istituzione degli ordini, è molto cambiato, è profondamente cambiato, e il legislatore non può non prenderne atto. Anche per questo, l'ultima norma approvata in Parlamento, che affrontava il tema dell'equo compenso nel 2017, aveva un orizzonte largo: norma che, occorre riconoscerlo, è rimasta inattuata.

Abbiamo più volte messo in luce gli ostruzionismi, le perplessità delle strutture ministeriali, i pareri avversi delle Authority e della concorrenza, spesso lesivi addirittura del potere del legislatore.

Questi ostacoli hanno, evidentemente, spinto la discussione parlamentare a riprendere il tema dell'equo compenso, con l'obiettivo anche giusto di rafforzare questo principio di rango costituzionale e di difendere i diritti dei professionisti.

Per tali ragioni, memori dei problemi e degli errori del passato, si sarebbe dovuto procedere con maggiore attenzione. Nella scorsa legislatura vi è stato un confronto che in molti punti ci ha lasciato insoddisfatti, pur nella generale condivisione di un provvedimento che avevamo sostenuto, anche se poi la chiusura anticipata dei lavori parlamentari ne ha impedito l'approvazione. Oggi, per quella che potremmo definire un'ansia da risultato del centrodestra e per l'incapacità, diversamente da quanto diceva prima di me la collega di Fratelli d'Italia, di ascoltare e di comprendere i rilievi mossi dalla grandissima maggioranza delle rappresentanze del mondo professionale, si è riusciti a mettere tutti d'accordo che il testo aveva bisogno di modifiche, ma non si è stati capaci, la maggioranza non è stata capace, di approvarne nessuna. Tutto questo ha generato un testo che noi giudichiamo insoddisfacente. È insoddisfacente perché non garantirà l'equo compenso ai professionisti, se non in una misura molto marginale. Non è soltanto l'opinione del Partito Democratico, ma un effetto di ciò che è scritto nella legge. In primo luogo è scritto che l'equo compenso sarà applicato nei rapporti con imprese che hanno più di 50 dipendenti o ricavi annui maggiori di 10 milioni di euro. Basta guardarci intorno per capire e comprendere. Quante sono le imprese con più di 50 dipendenti in Italia? Ce lo dice l'Istat: lo 0,62 del totale. Quante sono le imprese con più di 10 milioni di ricavi? Lo dice il MEF: l'1,6 del totale. Con questi numeri la maggioranza ha avuto il coraggio di bocciare l'emendamento che, abbassando tali parametri, avrebbe permesso di includere effettivamente un numero congruo di professionisti e di andare al cuore del problema.

È stato scritto che il professionista che percepisce un compenso sotto soglia viene automaticamente sanzionato dall'ordine di appartenenza, riuscendo così a violare tre principi in una volta. Il primo principio è' legale, relativamente agli ordinamenti, che attribuiscono la definizione della disciplina deontologica e delle relative sanzioni all'autonomia regolamentare degli ordini; il secondo principio è di equità, perché vengono sanzionati i soli iscritti agli ordini, dimenticando attività - pensiamo, per esempio, agli organi di controllo societari - svolte congiuntamente da iscritti e non iscritti; il terzo, più grave, è il principio logico, perché si è ritenuto che la sanzione a carico del professionista sia addirittura motivo di autodifesa, trascurando il fatto che, se c'è bisogno di una legge sull'equo compenso, è proprio nei casi in cui il professionista contraente è debole. Allora, in un contesto, in cui c'è una parte debole e una parte forte, il deterrente si mette a carico del contraente forte, non di quello debole. Invece, con la sanzione sul professionista sottopagato, la maggioranza, con quel testo, ha messo in mano al committente il miglior strumento possibile di autotutela. Quale professionista denuncerà il committente che non paghi l'equo compenso, se a quel punto sa che incorrerà nella sanzione? Insomma, si è riusciti nell'impresa di scrivere la prima legge al mondo che sanziona il soggetto, il professionista, che invece dovrebbe essere tutelato, e si è avuto il coraggio di bocciare l'emendamento del PD che aboliva questa sanzione.

La terza questione è che avete confermato un'impostazione incentrata sul ruolo degli ordini professionali, invece che sulla tutela dei professionisti, iscritti e non, negando, come nell'istituzione dell'Osservatorio sull'equo compenso e l'associazionismo dei professionisti, quella dignità ricevuta fin dalla legge n. 4 del 2013. Insomma, il provvedimento, per quanto meritevole negli intenti di affrontare un tema così importante come quello dell'equo compenso, parte già con gravi limiti. Sembra infatti incredibile che quegli stessi ordini, che oggi non riescono a vigilare sul rispetto dei diritti e dell'equa retribuzione dei propri partecipanti e tirocinanti, possano riuscire domani a vigilare sul rispetto dell'equo compenso di tutti i loro iscritti. C'è, sì, un problema di povertà del lavoro, che dal mondo del lavoro dipendente si allarga ai liberi professionisti. C'è un tema di precarietà, che non può essere dimenticato quando si parla di equo compenso. Non si può, ad esempio, dimenticare l'unicum europeo degli avvocati italiani, costretti dalla legge ad aprire partita IVA e a non poter essere indipendenti. Non si può dimenticare la condizione di povertà e precarietà dei farmacisti dipendenti, vessati da una pesantissima doppia contribuzione, o ancora la frammentazione degli ammortizzatori sociali che la pandemia ci ha insegnato a essere un percorso a ostacoli per i professionisti.

Nella scorsa legislatura siamo riusciti ad approvare l'ISCRO, il primo ammortizzatore sociale per gli iscritti alla gestione separata, ma manca ancora il prezzo degli ammortizzatori per gli iscritti agli ordini e collegi e la finanziaria, ad esempio, con l'abolizione della doppia tassazione sui contributi versati alle casse professionali. Le nostre richieste - le ribadisco qui dopo la lunga discussione nelle Commissioni di merito - sono in sostanza quattro: allargare la platea dei liberi professionisti che hanno diritto all'equo compenso; allargare la platea delle società tenute a riconoscere l'equo compenso, riducendo i limiti dimensionali delle imprese (dipendenti e fatturato), al cui sussistere scatta l'obbligo di equo compenso, e allargando le tipologie di imprese tenute a riconoscerlo, ad esempio, le agenzie di riscossione; abrogare l'obbligo di sanzione disciplinare per il professionista che accetta compenso non equo, perché se è parte debole non può essere anche sanzionato; introdurre una norma transitoria che imponga alle convenzioni in essere di adeguarsi alle regole sull'equo compenso.

Sono tutti argomenti che ci ricordano la necessità e l'imprescindibilità di affrontare i diritti dei lavoratori, autonomi e professionisti, in un'ottica di universalità, senza tornare a divisioni di un mondo del lavoro che non esiste più. La legge che oggi ci apprestiamo a discutere è un'occasione mancata, perché deriva da una incapacità di ascolto della maggioranza delle proposte da parte dell'opposizione, ma soprattutto da parte degli stakeholder che hanno partecipato alla discussione che si è prodotta fino a questo momento.