Discussione generale
Data: 
Lunedì, 11 Ottobre, 2021
Nome: 
Paolo Lattanzio

A.C. 43-A

Grazie Presidente. Colleghi e colleghe, sottosegretario, ringraziando quanto illustrato dall'onorevole Fusacchia, io non voglio fare subito il guastafeste, però dobbiamo partire da alcuni dati. Infatti, all'interno di un week-end - citato da chi è intervenuto prima di me - già molto cupo, sono arrivati anche i dati Istat, sui livelli di istruzione e partecipazione alla formazione in Italia per il 2020.

Sono dei dati non solo negativi, ma anche gravi, che chiamano in causa le responsabilità di tutti. Ne riporto alcuni. In primo luogo, riguardo alla presenza in Italia di cittadini e cittadine con almeno un diploma: in Italia, abbiamo il 62,9 per cento; in Unione europea, una media del 79 per cento. Riguardo ai laureati: in Italia 20,1 per cento, in Unione Europea 32,8. Ancora, potremmo sperare nella crescita per recuperare questo gap, ma, ahimè, non è così, perché in Italia la crescita annuale è dello 0,5 per cento, nel passaggio dal 2019 al 2020, mentre la media europea è dell'1,2. D'altra parte ci rincuora - ma parzialmente - il divario di genere, che questa volta è invertito, perché, come è risaputo, in Italia, sono di più le laureate (23 per cento) rispetto ai laureati (17,2 per cento), anche se questo impone una riflessione, che questo Parlamento non può continuare a trascurare, sulla presenza nei luoghi di grande responsabilità delle donne nel nostro Paese, che sono sistematicamente in minoranza, pur essendo maggioranza dei laureati, quindi, pur avendo una formazione più elevata. Per questo credo che vada salutata con piacere la giunta messa in piedi dal sindaco Sala, che ha una perfetta parità di genere anche in ruoli importanti per la città di Milano.

Veniamo alle differenze geografiche, perché anche quelle nel nostro territorio contano e molto. Come il sottosegretario e mio concittadino sa, al Sud siamo messi ancora una volta molto peggio del resto del Paese e non, ovviamente, per responsabilità degli studenti e delle studentesse, ma per una serie di croniche difficoltà, che ormai credo sia indispensabile affrontare con i fondi del PNRR . Nel Sud Italia e nel Mezzogiorno, abbiamo il 16,2 per cento di laureati, rispetto al 24,2 del Centro e al 21,3 del Nord.

Ultimo dato, riguarda i cittadini di origine straniera. Se fino a dieci anni fa c'era una sostanziale uniformità riguardo al diploma e, quindi, i dati erano molto simili fra italiani e stranieri e rimangono simili in Europa, nel nostro Paese adesso, invece, c'è un peggioramento enorme anche di questo dato, con un abbassamento ulteriore del livello di formazione dei cittadini di origine straniera in Italia. Ciò non è un mero dato statistico, ma il dato di una difficoltà nell'inclusione e nella partecipazione alla vita democratica del nostro Paese.

Detto tutto questo, sicuramente sono d'accordo con il sottosegretario Sasso e con l'onorevole Fusacchia, perché quella che scriviamo oggi e che si concluderà auspico in tempi molto brevi è una pagina importante per il Parlamento e per la Commissione cultura, perché abroghiamo finalmente un divieto, che risaliva al regio decreto del 31 agosto 1933, una norma che sostanzialmente nasceva con una finalità differente, in un mondo differente, quasi cento anni fa, in un mondo all'interno del quale gli studenti e le studentesse, anzi, gli studenti in questo caso, erano molto pochi, dovevano rimanere concentrati sullo studio e, subito dopo il conseguimento della laurea, dovevano essere immediatamente collocati in un mondo del lavoro tendenzialmente abbastanza schematico e semplificato, se guardato con gli occhi di oggi della contemporaneità. La ratio legis, quindi, prevedeva una grande concentrazione e la necessità di percorsi formativi ed educativi che avessero delle traiettorie precise e unidirezionali. Così come è arrivato a noi, letto oggi, questo divieto ci crea un bel po' di difficoltà e sono contento che la Commissione cultura lo abbia voluto affrontare, anche se, in realtà, già nella XVII legislatura, con una proposta di legge del collega Marco Meloni del Partito Democratico, si era lavorato su questo fronte, senza arrivare a compimento. Ma sono contento che la Commissione cultura se ne sia occupata, partendo da due riflessioni che guardano alla nostra Costituzione, che, da un lato, all'articolo 3, prevede il compito per la Repubblica di rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano libertà e uguaglianza dei cittadini per il pieno sviluppo della persona umana, e, nell'articolo 9, prevede che la Repubblica promuova lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Bene, credo sia altrettanto evidente che un divieto di questo tipo stoni con la nostra Costituzione.

Non mi soffermo sui passaggi tecnici, sulle congiunzioni e disgiunzioni, sulle quali, in maniera magistrale, il collega Fusacchia è intervenuto, perché sono passaggi già molto chiari, ma sostanzialmente la possibilità di una doppia iscrizione, che includa corsi di laurea, master, PhD, scuole di specializzazione, con eccezioni soltanto nel campo medico, permette di fare un passo in avanti molto, molto importante in quella direzione che guarda e che permette di rispondere a un mondo complesso, a un mondo articolato, a un mondo della formazione che fa della versatilità, della complessità e della modalità di acquisizione di questa complessità i propri punti di forza. Un dato ulteriore e aggiuntivo rispetto a quanto è stato detto finora è che in passato - anzi, fino a oggi - il paradosso era che non ci si poteva iscrivere a 2 corsi contemporaneamente ma si poteva essere iscritti a un corso di laurea e a una pluralità di corsi di formazione non accademica a pagamento, il che crea e ha creato inevitabilmente una stortura sia nella possibilità di accesso a questi corsi a pagamento sia anche nella gestione di un percorso universitario ampio, dettagliato e certificato da parte dei nostri atenei.

Veniamo ad alcuni benefici immediati, in primo luogo per gli studenti e per le studentesse. Con la possibilità della doppia iscrizione i percorsi di laurea potranno essere più larghi e trasversali, ossia sarà possibile intercettare alcuni dei principali cambiamenti che, non solo a causa della pandemia da COVID-19, il mondo complesso e globalizzato sta ponendo davanti alla nostra vita quotidiana e, quindi, alla formazione che siamo chiamati a strutturare. Adesso l'evoluzione delle competenze, la sperimentazione, la trasversalità e l'arricchimento non lineare iniziano a essere degli aspetti premiati e permessi anche dalle università, andando a valorizzare così una circolazione elevata sia dei saperi sia delle conoscenze ma anche delle possibilità di offrirsi al mondo del lavoro e, quindi, di pensare a degli interventi che permettano di caratterizzare in maniera molto chiara come uno studente o una studentessa voglia presentarsi nel mondo del lavoro. L'interdisciplinarità, quindi, permetterà di costruire dei percorsi, che andando a unire - e penso alla mia regione, alla Puglia magari - competenze sui beni culturali, con percorsi di laurea sui beni culturali e quelli in management piuttosto che le forti competenze sulle professioni sociali presenti nelle regioni in questo caso, con competenze e percorsi di laurea di tipo più manageriale ed economico, potrebbero dar luogo, nei territori e per gli studenti (quindi, all'interno dei corsi di laurea che sceglieranno), a delle nuove professioni in grado di iniziare a colmare quel gap che non è soltanto quantitativo ma anche qualitativo - perché questa cosa in Europa si poteva già fare da anni - rispetto ai coetanei degli altri Paesi europei. Un dato incoraggiante è che anche le risorse umane aziendali, quelle più illuminate e quelle più moderne nel nostro Paese, hanno ormai capito - e chiunque di noi sia solito partecipare a dei colloqui lo nota in maniera diretta - che oggi il vero valore e la centralità delle nuove professioni si trova nel coordinamento fra sapere e saper fare, anche grazie a quelle competenze trasversali - e torniamo a ciò che la nostra proposta di legge permette - e a quelle soft skill che di qui a breve affronteremo in quest'Aula, quindi sostanzialmente a una visione di cultura, di istruzione e di formazione completamente diversa.

La proposta di legge arriva dalla Commissione cultura e, oltre a essere un motivo di orgoglio per me, che ho la fortuna di sedere in quella Commissione, per questo ha e porta con sé degli ulteriori valori. In primo luogo, è una proposta di legge parlamentare, cosa che in questa fase non è assolutamente scontata. È una proposta di legge parlamentare con l'importante contributo del CNEL, che ha depositato una propria proposta di legge ovviamente. Il secondo punto di merito è che è una proposta di legge che arriva in Aula con un'unanimità in Commissione e questo testimonia, ancora una volta, il particolarissimo laboratorio che si è creato nella VII Commissione. Ma ancora di più è importante, perché questa proposta di legge - e credo che lo possa testimoniare e sia la migliore testimonianza del valore che porta e della capacità di intervento che ci permette di avere - è sopravvissuta a 3 Governi e a 4 Ministri. Sono contento di sottolineare che tutti dall'inizio, il Ministro Bussetti, il Ministro Fioramonti, il Ministro Manfredi e l'attuale Ministra Messa, hanno dimostrato, seppure con sfumature diverse che ci hanno imposto di rivedere e di lavorare sulle sfumature, una grande apertura e un grande appoggio a questa proposta di legge. Credo, quindi, che una sensibilità particolare, che arriva dal Parlamento e dalle Commissioni, vada tenuta in particolare conto.

Ancora, quindi, torno sulle ricadute positive, anche perché nessuno ha mai mollato su questa legge, non solo in Parlamento ma anche fra gli studenti e le studentesse, e l'attenzione è stata sempre molto alta. Forse il relatore Fusacchia ricorderà alcune mozioni del Consiglio nazionale degli studenti universitari già in data 2015 e 2017 nelle quali veniva chiesta l'abrogazione del divieto di doppia iscrizione, questo a dimostrazione ancora che, anche se noi continuiamo a chiamarle generazioni X, Y o Z, gli studenti sono capaci di una grande partecipazione e chiedono una grande partecipazione, arrivando con evidente anticipo anche a noi, così come è stato per il caso dello studente Leonardo Girino, che ha fatto una battaglia europea per vedere riconosciuto il suo titolo di master in Irlanda al quale poi ha dovuto rinunciare. Quindi, gli studenti hanno dimostrato questa presenza, questa vicinanza e questo interesse e il beneficio diretto per loro - lo accennavo prima - è che si potrà procedere a tratteggiare in maniera più adeguata sia alle proprie specificità sia alle proprie ambizioni sia alla propria lettura dei fenomeni che stanno cambiando il mondo del lavoro il proprio percorso di studi e questo può essere un vantaggio competitivo davvero importante.

Ma anche l'università italiana è chiamata a recepire questo cambiamento e sarà un luogo fondamentale di accelerazione e di attuazione di ciò che stiamo realizzando. Il sistema universitario italiano ha l'occasione di fare dei passi in avanti decisivi e di essere anche nel suo insieme maggiormente competitivo, perché - è inutile nasconderlo - le università si dovranno adeguare. Non è una partita soltanto amministrativa; è una partita di volontà, di politica universitaria che dovranno giocare. Io sono molto incoraggiato da quanto ci è stato raccontato riguardo alle interlocuzioni con la CRUI e dalla sensibilità che ho trovato nei rettori delle università con cui ho avuto il piacere di dialogare, ma quello che mi interessa è anche sottolineare come questa sia una grande opportunità per contrastare il calo delle iscrizioni - delle immatricolazioni - e al tempo stesso valorizzare quelle specificità territoriali delle quali ogni territorio nel quale le università risiedono è portatore, perché fare l'università a Bari è diverso dal fare l'università a Trieste (parlo dei 2 estremi anche geografici). Quindi, credo che questa disponibilità data agli studenti possa essere un ulteriore stimolo per adeguare e aggiornare l'offerta formativa e didattica delle università e anche - fatemelo dire - per lavorare sull'aggiornamento nell'interlocuzione con il mondo del lavoro che le università sono chiamate a compiere e ad accelerare.

Ma questa proposta di legge, l'abrogazione dell'articolo 142 del regio decreto n. 1592 del 1933, ha anche una valenza europea, perché viene finalmente equiparato il diritto di formazione italiano, degli studenti e delle studentesse italiani, a quello europeo, perché - ripeto - in Europa era già possibile questo. Quindi, quando ci lamentiamo, quando ci siamo lamentati a lungo delle fughe dei cervelli e del mancato rientro, questa mancanza, questa lacuna era una delle concause che comportavano quelle difficoltà. D'altra parte, la Commissione europea il 23 marzo 2021 - quindi quest'anno, pochi mesi addietro, grazie anche alla campagna comunicativa e di sensibilizzazione che la Commissione cultura (devo darne atto al sottosegretario Sasso) ha portato avanti - si è interessata al perché non venisse approvata in Italia questa proposta di legge e, pur non riscontrando discriminazione di fatto, ha avviato un'interlocuzione con il nostro Governo perché ha ravvisato nel divieto una potenziale restrizione della libera circolazione degli studenti e ha avviato, quindi, un'interlocuzione con l'Italia per capire sostanzialmente quali fossero i motivi ostativi nel portare a termine questa riforma. Adesso finalmente potremo dare una risposta che arriva direttamente dal Parlamento.

Questa azione della Commissione europea deriva dall'attività indefessa di sensibilizzazione, e credo sia giusto darne merito, fatta dal professor Antonio Visicchio con petizioni alla Camera e al Senato nel 2019 e con una petizione al Parlamento europeo, la n. 328 del 2020. Ricaduta ulteriormente positiva è che un cambiamento così importante, di stampo e di respiro europeo, non farà altro - in questa fase ne abbiamo un gran bisogno - che aggiungere, rafforzare lo spirito, la sensibilità, l'approccio ad una cultura e ad una sensibilità europee nella società italiana e soprattutto nei giovani. Vado a concludere: come spesso succede, il divieto precedente, ancora in atto, speriamo per poco, colpiva di fatto soltanto i più deboli e i meno abbienti perché rimaneva un beneficio che era tutto nelle mani di chi per ragioni familiari poteva permettersi una seconda iscrizione all'estero, e anche in questo caso a costo di enormi difficoltà burocratiche.

Adesso invece - è un passaggio importante - sarà possibile procedere alla doppia iscrizione, e quindi prendere il secondo titolo accademico, grazie ad una liberalizzazione equa, perché la tassazione, e quindi la possibilità di non pagare le tasse laddove si rientri nella no tax area, che fra l'altro abbiamo anche allargato, rimane invariata anche per il secondo titolo. Questo vuol dire che è una grande possibilità, per chi abbia voglia di sperimentarsi e di competere ulteriormente, di acquisire nuovi strumenti sul mercato del lavoro, mentre chiaramente i benefici legati al diritto allo studio sono usufruibili soltanto in uno dei due casi, ma la parità di trattazione per quanto riguarda la tassazione credo sia davvero molto importante. La centralità di questa proposta di legge, che, lo sottolineo, è di iniziativa parlamentare, risiede quindi nella nuova possibilità data agli studenti e alle studentesse italiane, nell'innovazione per le università italiane e nelle nuove opportunità di disegnare percorsi accademici aggiornati, e va assolutamente di pari passo con la centralità che istruzione, formazione e cultura hanno per l'attuale Governo.

Abbiamo tutti e tutte notato con grande piacere che la prima cabina di regia, il primo confronto, rendicontando cosa sta succedendo dal punto di vista di fondi e di riforme per il PNRR, è stato fatto proprio sui temi della scuola e dell'università. Quindi credo che sia un messaggio davvero importante che arriva da questo Parlamento, in consonanza con l'attività governativa, quello di voler rimuovere un divieto obsoleto e ostativo ad una crescita ampia e solidale per tutti gli studenti e le studentesse italiane.